"Gli americani? Amano l'Italia!". Non abbiamo fatto in tempo a chiedere a Michael Maggi, tra i protagonisti di Those About to Die, serie peplum ambientata nell'antica Roma, se anche lui è tra quelli che, almeno una volta al giorno, pensano all'Impero Romano. Tuttavia, con l'attore, 31 anni, e volto perfetto per quell'esportabilità oggi ritrovata dal cinema, abbiamo parlato di quanto la serie targata Peacock e in streaming su Prime Video, sia "qualcosa che il pubblico non ha mai visto. Una ricostruzione emozionante, che si avvale di personaggi complessi e sfaccettati". Complessi come Rufus, personaggio "chiave" dalla serie diretta da Roland Emmerich e Marco Kreuzpaintner, nonché basato sul romanzo di Daniel P. Mannix.
Michael Maggi, che abbiamo già visto in Blocco 181, ma anche in Another End di Piero Messina, recita al fianco di un cast internazionale e italiano, tra cui il protagonista, Anthony Hopkins, che interpreta l'Imperatore Vespasiano. Mezz'ora di intervista esclusiva, che si è aperta con la riflessione, da parte dell'attore, su quanto oggi gli attori italiani abbiano molte opportunità lavorative, anche grazie alle produzioni streaming. "Oggi riusciamo a mescolarci meglio, e posso dire che gli attori italiani non hanno nulla meno di altri. È importante che queste grandi produzioni tornano a sceglierci. Dopo uno stallo, lo streaming ha agevolato a dismisura le occasioni. Ci sono tanti film e tante serie. C'è più lavoro".
Michael Maggi, la nostra intervista esclusiva
Ma la quantità coincide anche con la qualità? Non sempre è così, anzi. "In sostanza, il troppo non è per forza indice di qualità", spiega Maggi. "Non voglio definire io cosa sia la qualità, però forse la cosa più controproducente è tirare fuori prodotto a tutti i costi. Oggi alcune progetti nascono e vengono prodotti in modo troppo veloce. Non c'è tempo di crescita".
Vendendo Those About to Die, e il grande impatto visivo che possiede, non possiamo non riflettere con lui su quanto la serialità sia ormai sovrapponibile al cinema. Almeno in alcuni casi. "Sicuramente si è persa una netta distinzione, prima c'era una differenza che separava i mondi. Molti registi incredibili hanno avuto modi di esprimersi nella serialità. C'è più tempo, un budget maggiore, soprattutto ora che al cinema ci si va poco, tranne per le grandi produzioni americane. La stra-grande maggioranza del pubblico alle certezze. Sono a favore di questa mescolanza, tra cinema e streaming, perché almeno a casa si guardano anche i film che non arrivano in sala".
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L'ansia del provino
Michael Maggi ha avuto un'esperienza diretta con quella che è appunto un'enorme produzione televisiva. Ciononostante, il provino svolto è stato una sorpresa "In realtà, è stato un po' un sogno, sono andato a fare il provino per un altro progetto americano, e non avevo ancora conosciuto Michela Forbicione, la casting. Mi ha chiesto come ero messo a memoria, e mi da questa scena da provare. Ho avuto una fortuna inaspettata. Mi ci sono connesso, e dopo un mese, sul set di Piero Messina, mi chiama l'agente per il provino su parte, per Rufus. Dopo tre settimane, mi hanno detto che Emmerich mi aveva puntato come prima scelta. Per tre mesi la stessa telefonata, niente di nuovo. Intanto lavoravo, andavo avanti. Poi, la chiamata che aspettavo...".
Ma come vive, un attore, l'attesa post provino? "Quando ero piccolo, facevo fatica ad arrivare ad un provino. Sfiorarlo e raggiungerlo era un'angoscia. Mio papà mi diceva di stare tranquillo, di non impazzire tutte le volte. Poi, con il tempo ho provato a disconnettermi, Quando esco dalla stanza provo a disconnettermi, per salvaguardarmi. Se offri il tuo istinto per un personaggio, tutto è al di fuori del tuo controllo. Non ha senso impazzire, non è facile, ma va fatto".
L'impero romano di Those About to Die
Scenografia e messa in scena di forte impatto, Those About to Die per Michael Maggi porta gli spettatori in "Una Roma che non ha mai visto. Questa serie arriva da una nostra cultura, poi rifatta dagli USA, alla loro maniera, anche per amore per la nostra cultura. L'amore di Roland verrà fuori, anche secondo la scrittura dei personaggi, rendendo sfaccettata la serie. Una serie piena di vita. Emmerich riesce a farti credere che ogni realtà può essere vera, il pubblico resterà sorpresa".
E prosegue: "Gli americani, per noi, provano amore sconfinato, oltre che apprezzare la nostra storia e la nostra architettura, la cosa più bella è che ritrovano tanta umanità, cibo, l'ascolto, il gusto, l'arte. La cultura del coltivare l'ingrediente, Molti di loro non erano mai stati in Italia, e quando arrivano qui c'è lo shock della bellezza, poi cominciano a scoprire che siamo un popolo straordinario".
Il cinema di Micheal Maggi
Da qui, una riflessione su quanto oggi la poetica statunitense stia vivendo un momento di flessione. "Secondo me viviamo ancora molto l'american dream. Anche solo dal punto di vista musicale. Forse sentiamo meno il distacco, perché viviamo tutto con meno distacco. Non è tanto il problema del cinema, ma il mercato che tende ad ovattare tutto quanto. Se non vediamo il supereroe al cinema, il resto cade in sordina. Non è il pubblico, è il tipo di film che promuovi per loro. E poi ci sono tanti film bellissimi, rispetto ai canoni attuali. Come Povere Creature!. Credo che il pubblico sia stanco non del cinema americano, ma del monopolio di genere".
Ma con quale cinema è cresciuto Michael Maggi? "La mia famiglia è fan del cinema, da sempre. Hanno sempre prediletto il cinema italiano, che guardo con papà. Mi ha cresciuto il cinema americano, però. Guardando la tv, sono venuto su con l'american dream, mi sono approcciato in un piccola scuola di recitazione, dove l'insegnate era un fan incredibile di Brando, e poi James Dean e Montgomery Clift. Ho consumato i film di Elia Kazan, poi mi piace Steven Spielberg, Tarantino e David O. Russell, regista molto sottovalutato".