La morte di Michael K. Williams, a soli 54 anni, lascia orfani il cinema e la televisione di un interprete non solo di eccezionale bravura, ma simbolo di un riscatto che non interessava solo i suoi personaggi, ma la sua vita. Da The Wire a Boardwalk Empire, da Bessie a When They See Us, Williams era diventato uno dei volti più conosciuti dal grande pubblico, di quelli che magari non connetti subito ad un nome, ma che non puoi fare a meno di apprezzare per energia e carisma. La sua vita, la sua carriera, i personaggi che interpretato, rimangono iconici, tra i più importanti degli ultimi anni nella serialità televisiva. La sua carriera, brillante ma atipica, lo ha connesso ad un periodo tutt'altro che privo d'importanza per la comunità afroamericana, per la sua rappresentazione culturale, di cui è stato un alfiere tra i più innovativi.
Una carriera sbocciata all'ultimo
Michael K. Williams il successo se l'è dovuto sudare. La sua non è stata una vita facile, mai. Nato a Brooklyn, Williams ebbe una giovinezza abbastanza travagliata, venendo coinvolto in scontri tra gang e rischiando sovente di scivolare definitivamente tra le tenebre.
Fu la passione per il teatro a salvarlo, ad essere la sua ancora di salvezza, anche quando sembrò che la sua vita avesse preso una piega inaspettatamente amara, costringendolo a lavori saltuari e a rinunciare alle sue aspirazioni artistiche, cominciate al tempo del National Black Theater.
A 25 anni fu coinvolto in una rissa in un bar, che gli procurò una terribile cicatrice sul volto, elemento che, col senno di poi, paradossalmente contribuì a renderlo iconico e riconoscibile, donandogli un fascino sofferto che si sarebbe rivelato decisivo negli anni a venire.
Abbandonato il suo lavoro relativamente sicuro alla Pfizer, decise di fare il ballerino e sfondare nel mondo dello spettacolo, per perseguire tale obiettivo, si ritrovò per diversi periodi della sua vita a non avere fissa dimora, vivendo per strada.
Nella prima metà degli anni 90, però, cominciò a ritagliarsi qualche ruolo in alcuni videoclip e grazie all'appoggio del fotografo LaChapelle, diventò uno dei modelli più richiesti a New York.
Dopo qualche piccola particina, nel 1996 fu scritturato per interpretare il fratello di Tupac Shakur nel film Bullet, dove recitò al fianco del leggendario rapper, Adrien Brody di Mickey Rourke. Impressionò per naturalezza e presenza scenica, finendo occasionalmente in serie come Law & Order e I Sopranos.
Williams aveva cominciato più tardi di molti altri, ma non per questo aveva meno talento, di lui affascinava soprattutto il connettersi in modo automatico al Method Acting, la sua capacità di donare credibilità a personaggi duri, tormentati, rappresentativi della difficilissima realtà nei ghetti afroamericani negli anni '90.
Poi, nel 2002, gli arrivò l'occasione che lo avrebbe consegnato ai posteri come uno dei personaggi più iconici della storia della serialità americana, arrivò la chiamata da David Simon, per una nuova serie della HBO: The Wire.
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I primi anni e il successo con The Wire
The Wire ebbe Michael K. Williams fin dalla prima stagione, nei panni di un atipico gangster e aspirante dominatore delle strade degradate e senza speranza di Baltimora: Omar Little. La serie è ancora oggi indicata come la più cruda, realistica e profonda sulla realtà del mercato della droga e e dei ghetti, dove essa è la sola fonte di sostentamento, con buona pace del buonismo attivista dei progressisti e liberal estranei a quel mondo. Omar era un guerriero della strada, un killer spietato e ambizioso, ma anche un uomo con un codice d'onore, una coerenza, che lo resero in pochissimo tempo uno dei beniamini del pubblico. Il suo personaggio era basato sull'ex criminale di strada Larry Donnell "Donnie" Andrews, che poi sarebbe diventato un famoso artista e anche avvocato. In lui, Williams riversò ogni oncia del suo talento, ma anche la sua profonda e tragica conoscenza della mentalità dei criminali di strada, delle regole che rendono quella giungla, un mondo a se stante.
Il risultato fu a dir poco straordinario. Omar emerse come il personaggio più contraddittorio ed assieme viscerale, un cavaliere solitario a cui si contrapponevano le varie gang impegnate a farsi fuori a vicenda. Tale fu l'attenzione verso di lui, armato con quella cicatrice, che Simon decise che Omar sarebbe stato protagonista fino alla fine della serie, cosa che sicuramente gli permise di venire identificato come uno dei volti attoriali emergenti di maggior prospettiva. La sua carriera subì un grande impulso, con la partecipazione a serie come The Kill Point, The Philanthropistt, prima che gli venisse dato un altro ruolo dark, un altro personaggio criminoso ma impossibile da non rispettare e non amare: Chalky White, gangster di colore nell'Atlantic City assediata dal proibizionismo.
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La consacrazione con The Boardwalk Empire
Se The Wire è vista come incredibilmente sottovalutata, rivalutata solo con il tempo per il capolavoro che era, Boardwalk Empire - L'impero del crimine invece si guadagnò fin da subito l'apprezzamento della critica e del pubblico. Mix perfetto di fiction e realtà, la serie di Terence Winter poggiava inizialmente sulle spalle di Steve Buscemi e Michael Pitt, in una sorta di contrapposizione shakespeariana tra padre e figlio, colpa e vendetta. Cruda, violenta, caratterizzata da un profondo realismo storico, da una regia magnifica, vide Williams acquistare sempre maggior spazio fin dalla seconda stagione, quando White si erse a totem di quel mondo criminale afroamericano, che il cinema e la televisione avevano sovente messo in un angolo. Come per Omar, il suo viso sfregiato, il suo sorriso sardonico e la grande espressività, furono la base per dipingere un criminale, che in sé portava però il carico della volontà di riscatto e emancipazione di un'intera comunità, usata come carne da macello dai criminali bianchi.
Il ruolo gli fruttò altri premi e riconoscimenti, ma soprattutto lo fece ancora di più entrare nel cuore del grande pubblico, che negli anni a seguire, lo avrebbe visto portare il suo stile autoironico e umanissimo, al servizio di serie come Lovecraft Country, Bessie o When They See Us. Sul grande schermo, il rimpianto è oggi quello di non averlo visto in altri ruoli se non quelli di caratterista, come in RoboCop, 12 anni schiavo, Kill the Messenger o The Road, senza mai dargli l'opportunità di mettersi maggiormente in luce. Forse a contribuire a tale utilizzo limitato, fu anche la sua tossicodipendenza, cominciata in giovinezza, riaccesasi paradossalmente ai tempi di The Wire, come conseguenza del suo avvicinarsi anche troppo al mondo di perdizione di Omar. Ebbe molte volte più di un problema con la legge. Di certo con lui oggi scompare un artista che ha avuto forse meno di quanto il suo talento e capacità meritassero, capace di dare un nuovo volto alla disperazione dei ghetti, la stessa di cui parlava apertamente nei convegni e negli incontri pubblici. Michael K. Williams era prismatico, era come certi attori del cinema italiano sperimentale o di genere, quelli sfuggiti da un degrado che rivivevano sul set, interpretando sovente più che personaggi, se stessi. E per questo ci piaceva, perché sapeva perfettamente di cosa ci stava parlando.
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