Come svela la recensione di Mi chiamo Altan e faccio vignette, il mitico Altan vince la proverbiale refrattarietà a mostrarsi davanti l'obiettivo per un documentario che prende per mano lo spettatore e lo porta a scoprire la carriera del disegnatore, la genesi dei suoi personaggi, ma anche il suo privato. Il titolo della nostra recensione è mutuato da una battuta di Altan stesso, che ha apprezzato molto il film di Stefano Consiglio, ma che non ama vedersi sul grande schermo. In realtà la figura di Altan, con il suo bonario cinismo, il sorriso sornione, la barba bianca e gli occhiali, è dotata di notevole carisma e il regista ne è ben consapevole tanto da porre Altan come narratore di se stesso.
Come racconta Stefano Consiglio, l'idea di Mi chiamo Altan e faccio vignette nasce proprio a Torino da un incontro con Altan stesso. Dopo aver accettato a malincuore di partecipare al film, pare che il vignettista si sia immediatamente pentito e abbia esclamato: "Oh Dio, in che cosa mi sono cacciato." Lo spirito irriverente di Altan permea un film che alterna un ritratto dell'autore, mostrato nella sua quotidianità della casa di campagna di Aquileia, ereditata dal nonno, dove il vignettista vive insieme alla moglie Mara, conosciuta in Brasile, alla cronaca della sua carriera. Largo spazio viene dedicato alle vignette e ai personaggi creati da Altan, ma anche alle graphic novel in cui il disegnatore rivela uno spirito completamente diverso. L'elemento più originale è, però, rappresentato dalle sue vignette drammatizzate con l'aiuto di Stefania Sandrelli e Paolo Rossi e Angela Finocchiaro, irresistibili nella versione in carne ed ossa di Ugo e Luisa.
La poetica dell'uomo comune
"Altan non va in televisione. Non rilascia interviste con piacere e non ama parlare di sé" svela il regista Stefano Consiglio, eppure Mi chiamo Altan e faccio vignette raccoglie una gustosa ricostruzione degli esordi della carriera di Altan, dagli studi di architettura ("ero consapevole che nella vita non avrei mai fatto l'architetto e passavo tutto il tempo a disegnare, ma ho anche dato 29 esami") all'avventura in Brasile, da dove farà ritorno con una moglie e una figlia. Foto in bianco e nero e materiali di repertorio ci aiutano a ricostruire lo spirito avventuroso del disegnatore, che viene inviato in Brasile a seguito della Rai pur senza avere alcuna competenza, a detta sua. Là dove non arriva Altan stesso ci pensano gli amici storici Paolo Rumiz, Michele Serra e Stefano Benni a raccontare gustosi aneddoti, mentre la moglie Mara svela un inedito lato romantico del riservato artista che ha saputo e sa raccontare il mondo con lucidità e dolcezza.
Alla base dell'arte di Altan vi sono concetti fondamentali come la stonatura, il ribaltamento del punto di vista e la "poetica della finestrina". Il risultato sono battute fulminanti messe in bocca a personaggi comuni e scambi quali "Poteva andare anche peggio." / "No." Oppure: "Gli italiani sono troppo individualisti, Gaetà!" / "E chi se ne frega, cazzi loro". Un linguaggio vicino al sentire dell'italiano medio proprio perché Altan è distante dai salotti borghesi e ammette di documentarsi attraverso le fonti di tutti: giornali, radio, tv o magari il panettiere di fiducia. "Questo mi dà la sicurezza che tutti sappiano di cosa sto parlando: abbiamo le stesse informazioni". All'apice di questo processo sta Cipputi, l'operaio definito dagli estimatori "archeologia del vero", "emblema dell'etica del lavoro e della dignità umana" o come sostiene Vittorio Foa "simbolo di chi lavora bene".
Altan, cinico gentile
Se le graphic novel rappresentano il lato più maturo e dark di Altan, la sua natura giocosa e tenera si riversa nella Pimpa, il celebre bracco a pois rossi nato quasi per caso da un momento giocoso tra Altan e la figlia che, all'epoca, aveva due anni. "Non era bella come adesso, oggi è molto più carina, in questi 47 anni si è evoluta" svela Altan che, grazie a questo personaggio ha avuto e ha occasione tutt'ora di lavorare a stretto contatto coi bambini sfoderando tutta la pazienza e la disponibilità che non sembra avere nei confronti degli adulti, soprattutto di coloro che lo costringono a stare davanti a un obiettivo. "Ai bambini non interessa che sono l'autore, mi dicono 'Come la fai bene'. È come se la copiassi da qualche parte, ma meglio" racconta lui. "E' questo ciò che amo dei bambini. Di recente ho fatto un incontro e quando i giornalisti hanno chiesto a un bambino cosa ne pensasse di me lui ha risposto 'E' l'autore, ma è gentile".
Conclusioni
Come denota la recensione di Mi chiamo Altan e faccio vignette, il documentario dedicato al leggendario vignettista Altan è un lavoro piacevole che aiuta il pubblico a scoprire lati inediti del riservato artista. Il film mescola interviste ad Altan e ai suoi amici storici, sguardo sul privato dell'autore che si rintana nella campagna di Aquileia nella casa ereditata dal nonno e rappresentazione fisica delle vignette attraverso la complicità di Angela Finocchiaro e Paolo Rossi. Una ricchezza di materiali che ci aiutano a scoprire meglio l'origine del suo cinico humor.
Perché ci piace
- Altan risulta un artista carismatico e interessante.
- Il tono leggero del documentario agevola la visione.
- Lo spazio riservato agli inserti fumettistici strappa spesso risate grazie alle battute fulminee.
- Simpatica ed efficace la rappresentazione delle vignette, ingrediente originale che arricchisce il film.
Cosa non va
- Il film si sofferma più sulla personalità di Altan che sulla sua opera, lo spazio riservato a Pimpa è davvero veloce.