Men, la recensione: le facce orribili del senso di colpa

La recensione di Men: Alex Garland approda nel genere horror con un film disturbante, introspettivo e molto (troppo?) metaforico.

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Jessie Buckley in una scena di Men

Ci sono film a forma di punto interrogativo. Sono quelli che lasciano disorientati, interdetti, persino nauseati. Film che sopravvivono alla proiezione rimanendo sullo stomaco, in attesa di essere digeriti. Ecco, è così che ci sentiamo mentre scriviamo la recensione di Men, terzo film di Alex Garland presentato a Cannes nella sezione Quinzaine. Dopo lo splendido esordio di Ex Machina e l'affascinante Annientamento, il regista londinese abbandona la fantascienza filosofica per abbracciare un horror sofisticato e allegorico. Metaforico dall'inizio alla fine, Men è un viaggio che si addentra nei meandri del dolore. Quello più personale, intimo e privato. Per certi versi inconscio e recondito.

Men Movie
Una scena di Men

Perché se è vero che l'horror è un genere a cui piace abbracciarne altri, questa volta Garland ha contaminato il tutto con un tocco da thriller psicologico in cui la protagonista è quasi in guerra contro se stessa. Nasce così un film eccezionale nella messa in scena, ispirato nel simbolismo, ma con troppa voglia di scuotere il pubblico senza trovare sempre la via migliore per farlo.

L'eco di se stessi

Men Jessie Buckley As Harper
Un frame di Men

Lo aveva già fatto intuire in Annientamento, dove l'avventura si faceva sempre meno "esterna" e sempre più introspettiva. Men continua a ribadire il concetto urlandolo a gran voce: il male più difficile da combattere non è fuori di noi, ma dentro di noi. Annidato in zone remote in cui è scomodo scavare. Nascosto in posti dove è doloroso mettere le mani. Succede anche ad Harper, donna che dopo un grave lutto personale decide di ritirarsi in un'isolata casa di campagna alla ricerca di pace e serenità da ritrovare. Peccato che una volta sul posto accadano due cose molto strane: gli uomini che incontra hanno tutti la stessa faccia e lei sembra proprio non accorgersene. Un elemento straniante che dà inizio a un effetto domino di avvenimenti sempre più inquietanti, prima dosati col contagocce, poi straripanti in ultimo atto forse troppo sovraccarico. La scelta di Garland è drastica: soltanto due personaggi in scena. Lei vittima, lui il carnefice. Lei chiusa in casa, lui libero si assediarla da fuori. La sensazione è quella di essere dentro una vera e propria casa degli orrori in cui ogni stanza racchiude un orrore diverso (ombre, mutilazioni, apparizioni e scomparse). Un gioco in cui Men manipola Harper e noi assieme a lei, perché Garland racconta tutto con grande cura per le messa in scena. I giochi di luce, l'uso molto raffinato del sonoro e delle silhouette. Tutto in Men è costruito come un abile architetto sadico. Un architetto che sotto questo incubo privato ha nascosto una consapevolezza amarissima.

Ex Machina: quando la fantascienza racconta l'essere umano

Dentro la gabbia

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Rory Kinnear in una scena del film

C'è una crepa che attraversa tutto Men. Perché dentro Harper (una bravissima Jessie Buckley) macera un senso di colpa difficile da estirpare. È questo il vero orrore al centro del film: i pensieri martellanti, i fantasmi che ti assillano, le mente che cade sempre nelle solite trappole. Men fa avvertire tutta la fatica di questa donna che si mette sotto assedio da sola, vittima delle sue prigioni nel cuore, nella pancia e nella testa. Un'allegoria lampante ed efficace, che Garland arricchisce con una serie di simboli e indizi che invitano il pubblico a vivisezionare il film per comprenderlo in ogni sua sfumatura. Peccato che, oltre a un certo compiacimento nella costruzione delle allegorie, dopo un primo atto efficace nel costruire la tensione e un secondo che affonda il colpo, il finale di Men deragli. Tutto l'equilibrio raffinato seminato nella prima parte sconfina in un body horror a tratti davvero raccapricciante (ed è un bene) ma anche così carico e insistito da cedere nel ridicolo involontario. Durante la nostra proiezione qui a Cannes molta gente in sala ha riso, e non erano quelle tipiche "risate protettive" davanti a un film horror che fa paura. Non erano risate per esorcizzare una paura autentica. A Men manca di colpo il senso della misura, perché Garland ha voluto impressionare a oltranza, forzando la mano. Quando in realtà lo aveva già fatto nascondendo più che mostrando. Vorremmo fargliene una colpa, ma Men ci invita a lasciar perdere per quieto vivere.

Conclusioni

Inquietante, introspettivo e allegorico. Così abbiamo definito il terzo film di Alex Garland nella nostra recensione di Men. A metà strada tra l'horror e il thriller psicologico, il regista inglese costruisce una grande metafora sul peso doloroso del senso di colpa. Peccato solo per un finale in cui perde tutto l'equilibrio costruito con cura nella prima parte di un film comunque affascinante.

Movieplayer.it
3.0/5
Voto medio
3.9/5

Perché ci piace

  • L'estrema cura della messa in scena.
  • L'uso del sonoro è efficacissimo.
  • Jessie Buckley e Rory Kinnear reggono il film da soli.
  • Il film è un intrigante gioco di metafore...

Cosa non va

  • ...ma la sensazione è che il gioco allegorico diventi troppo compiaciuto.
  • L'atto finale è troppo carico, tanto da cadere nel ridicolo involontario.