Martin Freeman approda al Lucca Film Festival e la città si mobilità per la premiere di Ghost Stories. L'horror inglese, già rivelazione in patria, arriverà nelle sale italiane il 19 aprile con Adler Entertainment. Nel frattempo il festival lo omaggia con un'anteprima esclusiva, subito sold out, e una mostra a tema spettri (di cui potete vedere alcune foto nella gallery che segue) Ghost: Art Noir. Nonostante lo schivo Freeman abbia più volte dichiarato di detestare selfie, autografi e tutti i riti della notorietà, il calore nei suoi confronti si fa sentire eccome e lui ricambia con generosità concedendosi ai fan su un red carpet bagnato, ma strapieno di ammiratori.
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Dopo il passaggio a Roma, la star de Lo Hobbit e Sherlock scopre le meraviglie di una Toscana affascinante, anche se piovosa. Un lieve disappunto per l'attore che ammette di essere venuto in Italia soprattutto "per sfuggire al clima inglese". Divertito, Freeman commenta la sua prima volta nella cittadina medievale: "Non ero mai stato a Lucca. Di solito quando vengo in Italia vado a Sud. Ieri sera, mentre tornavo a piedi in hotel, cercavo di convincermi quanto fosse romantica la pioggia italiana. Mi sentivo come se fossi in Chiamami col tuo nome. Ho visto anche un paio di bei ragazzi per la strada. Fatemi aggiungere che sto scherzando, la mia addetta stampa sta per avere un infarto".
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Cinefilo puntuale, Martin Freeman dimostra di avere il polso delle nuove tendenze. Nonostante i numerosi impegni lavorativi, non rinuncia ad andare al cinema e durante la conversazione dimostra di aver visto molti dei titoli più interessanti usciti negli ultimi mesi. Ma i riferimenti diretti di Ghost Stories si radicano nel passato, per l'esattezza nel mondo degli horror inglesi degli anni '50-'60, la mitica stagione d'oro della Hammer Films, così quando gli chiediamo quale sia il suo horror preferito, Freeman ammette di aver difficoltà a scegliere: "Sono molto legato agli horror di tradizione britannica perché ci sono cresciuto, li ho visti in tv decine di volte, all'epoca erano già antichi. Amavo Incubi notturni, Le cinque chiavi del terrore e La furia dei Baskerville. Tra gli horror recenti il migliore è senza dubbio Scappa - Get Out".
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"La vita trova sempre la sua strada". Questa è una delle battute più suggestive di Ghost Stories ed è anche il modo in cui Freeman commenta la sua scelta di diventare attore. "Il mio primo incontro con il cinema? Avevo sette anni quando vidi il trailer di Psycho in tv. Poco tempo dettero il film intero e mia madre mi disse 'È un classico, lo devi vedere assolutamente'. L'ho guardato e sono rimasto terrorizzato per i due anni successivi, ma l'ho amato molto. Da lì è iniziato il mio amore per il cinema e per Hitchcock. Un altro ricordo che ho molto chiaro risale a pochi anni dopo. Un weekend sono andato a vedere Piccoli gangsters e Guerre stellari. Il lunedì dovevamo raccontare in un compito cosa avevamo fatto nel weekend, quasi tutti abbiamo parlato di come Luke Skywalker faccia esplodere la navicella spaziale".
"Una buona commedia riesce a comunicare messaggi molto più efficaci di qualsiasi altro format"
Una risata ci seppellirà
Dall'infanzia al successo sono passati un po' di anni. Anni di una lunga gavetta culminata nel primo incredibile successo, The Office, serie BBC che ha lanciato il trentenne Freeman nell'olimpo. "Sono stato fortunato. All'epoca passavo dieci ore al giorno sul set a cercare di non buttar via le battute". La comicità è rimasta nel DNA dell'interprete di Bilbo tanto da spingerlo a ritenerla strumento essenziale per sensibilizzare il pubblico nei confronti di tematiche importanti: "Non credo che i film di genere siano necessariamente il modo migliore per comunicare, ormai sentiamo il bisogno di categorizzare tutto. Ho voluto fare l'attore perché volevo raccontare storie, è una necessità umana. Recentemente ho recitato in una pièce comica a Londra sugli ultimi anni del Labour Party. La risata è uno dei modi migliori per rendere le persone consapevoli. Guardate Morto Stalin, se ne fa un altro, ci faceva capire una serie di eventi storici grazie alla slapstick. Una buona commedia riesce a comunicare messaggi molto più efficaci di qualsiasi altro format".
Una certa dose di humor british permea anche Ghost Stories, anche se il film ruota di fatto attorno al soprannaturale. "Non so se esista o meno, nessuno lo sa. Cerco di non essere dogmatico, per me tutto è possibile. Ho scelto di fare il film perché la sceneggiatura mi spaventava anche mentre la leggevo di primo mattino con davanti una tazza di caffè. Alcuni momenti mi hanno fatto battere il cuore. E poi conoscevo bene i registi, sapevo che con loro sul set mi sarei divertito". Il momento più spaventoso, durante la lavorazione del film, non è però dovuto allo script, ma è l'elezione di Trump. "Una mattina sono arrivato sul set e i due registi avevano le facce stralunate. Nessuno di noi credeva che potesse vincere. Abbiamo condiviso il lutto sul set e poi abbiamo deciso di continuare a lavorare in un'atmosfera straniante".
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Il mio modello? Michael Caine
Il momento amarcord arriva quando Martin Freeman rievoca l'esperienza sul set neozelandese di Lo Hobbit. "Eravamo una gang, quasi tutti maschi. Abbiamo condiviso spesso spazi angusti, ma non siamo mai arrivati alle mani nonostante il testosterone. Lì sono nate alcune delle amicizie più importanti della mia vita e Peter Jackson è un maestro" commenta l'attore sottolineando che, da uomo, il suo modello di virilità non corrisponde agli standard del machismo. "Mi attraggono gli uomini che non temono di mostrare le proprie fragilità. Quando il pubblico si trova davanti un eroe privo di difetti o debolezze, capisce subito che è finto. A me piace raccontare l'umanità".
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Tra i modelli di riferimento il principale è senza dubbio Michael Caine. "L'ho scoperto in Gli insospettabili e mi ha colpito come riuscisse a essere attraente e virile senza essere super sexy. Ha rivoluzionato la recitazione. Ma amo molto anche Al Pacino, Robert De Niro e Anthony Hopkins". Non sappiamo da chi Freeman abbia mutuato la parlantina sciolta, suo marchio di fabbrica che sfodera anche davanti al pubblico lucchese, ma lui si schernisce: "È per non annoiare il pubblico. Non voglio farlo addormentare". Prima di salutarci, Martin non si sottrae a un quesito soprannaturale. Alla domanda se preferirebbe affrontare uno zombie, un fantasma o Smaug afferma sicuro: "Smaug. Vedendolo, forse ci potrei ragionare".