Martin Eden, secondo film italiano in concorso a Venezia 2019, rappresenta il salto di qualità per Pietro Marcello. Il regista, apprezzato per i suoi documentari lirici, stavolta si accosta alla fiction adattando il celebre romanzo di Jack London. A interpretare Martin Eden, marinaio incolto che scopre la cultura grazie all'amore per una giovane di un ceto sociale superiore, è Luca Marinelli, ormai una garanzia nel cinema italiano. "Avevo letto il romanzo 20 anni fa, mi era stato regalato proprio da Maurizio Braucci, il mio co-sceneggiatore" spiega Pietro Marcello. "Dopo 20 anni abbiamo deciso di farne una liberissima trasposizione".
Affrontare un classico della letteratura può rivelarsi un'impresa titanica - ne abbiamo parlato anche nella nostra recensione di Martin Eden - ma Pietro Marcello ha deciso di approcciarsi a Jack London senza tradire il suo stile né lo spirito del suo cinema: "Quando fai un film non pensi alla sfida. Mi sentivo tranquillo perché avevo vicino a me Maurizio Braucci. Abbiamo preso un classico della letteratura anglosassone e lo abbiamo trasportato a Napoli perché è una città accogliente, tollerante". Parlando della sua presenza in concorso a Venezia, Marcello aggiunge: "Questa è la fossa dei leoni. La Mostra ci ha accolto e noi ci siamo per partecipare. Il concorso è una roulette, ci sono film straordinari, ma l'importante è aver finito il film".
Una rappresentazione che attraversa il '900
Chi è il moderno Martin Eden interpretato da Luca Marinelli? Per Pietro Marcello, come per Jack London, è "un eroe negativo". Per l'attore è "un essere umano. E' un avventuriero come lo era lo stesso Jack London. Ammiro molto gli scrittori avventurieri, che avevano voglia di scoprire la vita in prima persona. Se dovessi scegliere un archetipo che mi rappresenta direi Indiana Jones". Marinelli svela la sua fascinazione per il cinema di Pietro Marcello: "Quando ho visto Bella e perduta ho pianto e ho pensato 'Spero che questo regista mi chiami' e così è successo. La costruzione del personaggio è un lavoro che abbiamo fatto assieme, anzi, ringrazio Pietro per avermi fatto leggere questo libro. Sono stati questa lettura del libro, insieme a quella della sceneggiatura, ad aiutarmi. E poi abbiamo provato molto in un teatro, lavorando sul corpo e sul dialetto".
In linea con le opere precedenti, in Martin Eden Pietro Marcello ha fatto largo uso dei materiali di repertorio di varia natura, inserendoli nel film con l'obiettivo di "attraversare il nostro novecento. Abbiamo scritto in un modo, poi sul set abbiamo usato ciò che potevamo. Volevo usare i materiali di repertorio come contrappunto, ci sono i repertori dei migranti, i marittimi e poi ci sono alcune scene che ho girato io perché volevo raccontare questa storia attraverso il montaggio". Per il regista casertano, Martin Eden non rappresenta una rottura rispetto al passato, tutt'altro, come ammette lui stesso: "Questa è l'evoluzione del mio cinema. Non ho mai avuto grandi strumenti per fare cinema, così come Martin Eden diventa scrittore senza aver frequentato scuole".
Come proteggersi dalle delusioni del sistema culturale? Restando fedeli a se stessi
Martin Eden racconta il tentativo di riscatto di un uomo attraverso la cultura. Nella visione pessimistica di Jack London il salto di classe sociale, per il suo protagonista, porterà solo dolore e sofferenza. "Questa disillusione culturale sperimentata da Jack London appartiene a tutte le epoche. Basta pensare a tutti quegli artisti che perdono il rapporto con la realtà e col quotidiano, uno per tutti Michael Jackson. Martin Eden rinnega le proprie origini, tradisce la classe di appartenenza e tutto questo gli procura solo sofferenza". Come sono sfuggiti Pietro Marcello e Luca Marinelli alla frustrazione o al rischio di bruciarsi? "Io mi sono protetto e non ho voglia di tradire il mio mandato" spiega il regista. "Dobbiamo cercare una necessità in quello che facciamo. Nella società dell'edonismo l'importante è farsi domande. La società si cambia solo attraverso la cultura, ma il nostro obiettivo è anche differenziarsi. Bresson diceva che non dobbiamo avere modelli e noi abbiamo provato a fare qualcosa di diverso". Luca Marinelli aggiunge: "L'importante è rispettare se stessi e mantenere i piedi per terra. Rimanere fedeli a se stessi e alle proprie sensazioni. Questa è la mia strada".