Nel 1968 Rose Fairbairn si trasferisce con i suoi quattro figli - Jack, Jane, Billy e Sam - nella sua casa di infanzia, lasciando l'Inghilterra da dove viveva da tempo per far ritorno nel natio Maine. Il suo recente passato la perseguita, nelle fattezze di un marito violento e criminale con il quale spera di aver chiuso per sempre i conti: i Fairbairn sono prossimi a cambiare il loro cognome in Marrowbone, per evitare qualsiasi scomodo collegamento.
Come vi raccontiamo nella recensione di Marrowbone, un giorno la madre si ammala gravemente, obbligando i ragazzi a nasconderne il decesso e a farsi vedere in giro il meno possibile fin quando il primogenito Jack non compirà ventuno anni, l'età minima per poter diventare il guardiano legale dei fratelli più giovani. Nel frattempo i ragazzi stringono un legame di profonda amicizia con Allie, una ragazza che abita nella vicina comunità e che sviluppa con Jack un rapporto speciale. Ma con lo scorrere dei mesi quella casa sperduta rischia di diventare sempre più una sorta di prigione, mentre strane e inquietanti presenze sembrano dimorare tra le quattro mura...
Fantasmi che ritornano
Batte bandiera spagnola ma è girato in lingua inglese, con l'ambientazione presunta del Maine che è stata ricreata in realtà nella regione delle Asturie. Una scelta perdonabile in quando la pressoché totalità del racconto è immersa in questa campagna isolata che nasconde un segreto orribile e spaventoso, pronto a svelarsi progressivamente fino a quel colpo di scena finale spiccatamente drammatico, che rimette tutto in un'altra ottica. Reminiscenze, seppur leggermente dissonanti, con un grande classico del genere quale The Others (2001) di Alejandro Amenábar, in una messa in scena dove gli specchi giocano un ruolo predominante e potenzialmente suggeritore, innescando quel senso di mistero sempre più opprimente che avvolge lo spettatore in un vortice di tensione.
10 star televisive alla conquista del cinema horror
Apri gli occhi
L'atmosfera cupa e lugubre è il miglior punto di forza di un'operazione assai godibile per gli appassionati, per quanto come detto derivativa nella gestione di alcuni suoi punti chiave, con la sottotrama romantica tra i personaggi di George MacKay e Anya Taylor-Joy che risulta a suo modo forzata per favorire l'inserimento di un altra figura determinante, ovvero il terzo incomodo di Tom Porter. In generale il cast convince e non sono da meno il Charlie Heaton di Stranger Things e Mia Goth, ormai conclamata scream queen, a comporre questo ritratto non certo idilliaco di questa famiglia problematica, con articoli di giornale e diari provvidenziali a svelare di più su quanto effettivamente avvenuto nel corso degli ultimi anni.
Orfani passati e futuri
Tra i produttori figura J. A. Bayona e non è esagerato dire che la sua influenza si sia fatta sentire a livello stilistico, con una messa in scena e alcune soluzioni a livello visivo che rimandano proprio al suo folgorante film d'esordio, ovvero l'horror The Orphanage (2007). E non è un caso che la regia sia stata affidata a Sergio G. Sánchez, autore della sceneggiatura del suddetto e collaboratore di vecchia data di Bayona, che qui debutta dietro la macchina da presa proprio grazie al più famoso sodale. In Marrowbone opta per una costruzione in crescendo della paura, schivando spesso i facili jump-scare in favore di una gestione più ragionata e inquieta dell'assunto, con quel flashback rivelatore pronto a rivelarci una tragica verità che trasforma l'orrore in dramma, riconsegnando il genere alle sue angosce più primordiali.
Conclusioni
Quattro fratelli devono cavarsela da soli in seguito alla scomparsa della madre, vivendo da reclusi in una sperduta casa di campagna. In fuga da un drammatico passato, si troveranno ad affrontare nuove insidie non soltanto terrene ma anche legate a una presenza che abita quelle quattro mura e non dà loro pace, memore di quel rimosso da nascondere. Come vi abbiamo raccontato nella recensione di Marrowbone, quest'horror di produzione spagnola può contare su un cast giovane ma efficace - George MacKay, Anya Taylor-Joy, Charlie Heaton e Mia Goth - e su una narrazione tetra e inquietante al punto giusto, con tanto di cliffhanger ad alta dose di tragicità. Una gestione della paura che ricerca l'atmosfera più che il facile spavento caratterizza le quasi due ore di visione con efficacia, nonostante qualche sbavatura narrativa qua e là.
Perché ci piace
- Un solido e giovane cast di volti conosciuti dal grande pubblico.
- Atmosfera lugubre che si tinge di dramma nel colpo di scena chiave.
- Una regia che predilige l'inquietudine ai facili jump-scare.
Cosa non va
- La sceneggiatura non è priva di forzature.