La Napoli degli anni '70 era un crocevia di movimenti: il teatro di avanguardia, la musica, la politica e l'arte visiva erano vivissimi. Ed è in questo fermento culturale che avviene l'incontro di Mario Martone con il cinema, è lui stesso a raccontarlo durante la masterclass di cui è protagonista alla Festa del Cinema di Roma: "Facevo teatro, avevo 17 anni e andavo ancora a scuola. Diverse persone con cui poi ho continuato il mio cammino erano miei compagni", come Andrea Renzi e Toni Servillo che poi sarebbero diventati i protagonisti del suo esordio cinematografico Morte di un matematico napoletano. Il regista di Nostalgia, il film italiano scelto per la corsa agli Oscar, parte proprio da qui per raccontarsi in una lunga chiacchierata con il pubblico.
Gli esordi a teatro, gli amici e la Napoli degli anni '70
Ricordi indimenticabili soprattutto quelli con Toni Servillo, una storia d'amicizia lunghissima che li ha portati fino a Qui rido io. Insieme, ma ciascuno con il proprio movimento ("lui con il teatro Studio di Caserta, io con Falso movimento a Napoli"), si sono nutriti delle suggestioni di quegli anni: da un lato c'erano Coppola, Scorsese e De Palma, dall'altro le visioni alla Cineteca Altro di Mario Franco, dove "insieme ai reumatismi" coltivavano la passione per il cinema espressionista di Fassbinder, Herzog e Wenders. "L'Italia" - ricorda Mario Martone - " allora pullulava di questi luoghi, scantinati dove potevi vedere Carmelo Bene o Leo de Berardinis".
A Napoli all'epoca la tradizione teatrale era quella dei De Filippo e De Simone, ma Martone guardava altrove soprattutto all'avanguardia americana di Bob Wilson: era il suo un teatro ibrido, contaminato, fatto di spettacoli in cui montava spezzoni di fotogrammi rubati alle Super 8 noleggiate in videoteca: "Tagliavo dei pezzi di pellicola e poi li proiettavo sullo sfondo. Ero pessimo, ma volevo farlo e non avrei saputo come ottenerlo diversamente", continua. Il cinema quindi è stata sempre una sua pulsione, che si concretizzò con la conclusione della parabola di Falso movimento: "Si era liberata dentro di me l'esigenza di fare film, misurarmi con dei testi e raccontare delle storie".
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La genesi di Morte di un matematico napoletano: il cinema come arte della realtà
Ogni film di Martone parte da una visione ("faccio film perché riesco a vederli prima") e nel caso del suo debutto fu l'immagine di una porticina su cui si affacciava la finestra della sua camera da bambino: era quella della casa di Renato Caccioppoli, che poi sarebbe diventato il protagonista di Morte di un matematico napoletano: "Quasi per magia qualcuno mi inizia a parlare di Renato Caccioppoli, un leggendario matematico napoletano, professore all'università, figura totalmente eccentrica, comunista, grande pianista, insomma una figura meravigliosa di cui però non c'era nulla di scritto, solo tanti racconti", racconta. Coincidenza vuole che avesse vissuto "nel palazzo dove avevo abitato con i miei a Napoli, la finestra della mia camera si affacciava sulla porticina del suo appartamento. Era un'immagine insignificante, ma si caricava di tanti rimandi e risonanze umane". Proprio lì Caccioppoli si sarebbe tolto la vita sparandosi nel 1959, "che è l'anno in cui sono nato", fa notare il regista. Sarà quindi quella porticina a fondare il cinema di Martone, "è la soglia attraverso la quale entro in contatto con il mondo che sento di voler raccontare. Questo è il cinema, come diceva Pasolini, un'arte della realtà, quindi quella storia la potevo raccontare solo e soltanto al cinema, perciò ho girato nel mio palazzo". Fu un film fatto con pochissimi soldi e "una brigata di esordienti", come Fabrizia Ramondino che con Martone scrisse la sua prima sceneggiatura.
"Non ero mai stato su set, non sapevo come si facesse un film; ci ero stato una sola volta, ero andato a trovare Mauro Bolognini per cercare quantomeno di capire qualcosa. Con Fabrizia decidemmo che il protagonista sarebbe stato Carlo Cecchi, anche lui non aveva fatto mai film se non di avanguardia. L'idea era quella di raccontare l'ultimo giorno di questo matematico, che successivaete sarebbe diventato una settimana. E poi arrivarono anche i contributi del Ministero: 500 milioni di vecchie lire". Con quei soldi Martone realizzò il film, che nel 1992 avrebbe anche vinto il Leone d'Argento alla Mostra di Venezia. "Fu Gillo Pontecorvo a volerlo a Venezia ma mi ha sempre detto che mancava un primo piano, anche se non mi ha mai detto dove. Oggi penso di sapere in quale scena". Ma allo stesso tempo riconosce che non toccherebbe una virgola di nessuno dei suoi lavori, e non per presunzione ma perché "un film prima che un prodotto è un processo". Da quella porticina a oggi il metodo di lavoro è sempre rimasto lo stesso: niente storyboad, ma un lavoro di riscrittura continuo. "Non so disegnare e non mi piace immaginare come è fatta una sequenza, vado nei luoghi in cui girerò, li fotografo e scrivo moltissimo. Di Qui rido io abbiamo scritto sette stesure".