Il nome Madhouse probabilmente dirà poco alle persone poco esperte di animazione giapponese. Eppure se si tirano in ballo serie televisive famose anche in Italia come Jenny la tennista, Pesca la tua carta Sakura, Trigun e le più recenti Nana e Death Note, oppure film di Satoshi Koncome Tokyo Godfathers e Paprika, usciti anche nelle nostre sale e acclamati dalla critica, le idee si fanno decisamente più chiare. E soprattutto si incomincia a capire come lo studio di produzione Madhouse, anche se meno rinomato di firme quali Toei Animation o Studio Ghibli, negli ultimi trent'anni è stato responsabile di quasi tutte le novità più interessanti che hanno caratterizzato il panorama dell'animazione nipponica. Un vero e proprio vulcano creativo in eruzione permanente, che nel corso della sua attività ha saputo spaziare dai generi più vari e ha ospitato autori del calibro di Osamu Dezaki, Rintaro, Yoshiaki Kawajirie per l'appunto Satoshi Kon. La chiave del successo della Madhouse è proprio la capacità di diversificare costantemente il proprio prodotto, riuscendo a spaziare dalle serie di più ampio riscontro commerciale alle sperimentazioni più raffinate e di nicchia (come le "follie" di Masaaki Yuasa). Tutto questo partendo da un'unica missione, ovvero la qualità del prodotto prima di ogni altra cosa, che discende direttamente dalla lezione del maestro Osamu Tezuka, in un certo senso il padre spirituale della Madhouse. Gran parte dei fondatori della Madhouse (tra cui l'animatore Masao Maruyama, oggi responsabile della produzione) sono, infatti, originari della Mushi Production, la casa fondata da Osamu Tezuka, e alcuni allievi dell'"imperatore del manga", come il Rintaro di Metropolis, hanno proseguito sulle sue orme.
Vale la pena, quindi, anche in Italia cercare di approfondire la conoscenza di uno studio che sta diventando sempre più internazionale e globale, come dimostrano le numerose coproduzioni avviate con Stati Uniti (Animatrix, Batman: Gotham Knight, Stitch!), Francia (Yona Yona Penguin) e presto anche Cina. Un punto di partenza ideale è stata la rassegna "Trent'anni di animazione giapponese nei film della Madhouse", organizzata a ottobre dall'Istituto Giapponese di Cultura, in collaborazione con la Sony Pictures Home Entertainment. Un ciclo di quattro incontri che hanno consentito di approfondire un particolare aspetto produttivo dello studio, vale a dire la realizzazione di lungometraggi per il cinema. Infatti, nonostante la Madhouse nel corso della sua storia si sia concentrata maggiormente nella produzione di anime per la televisione, è spesso dal cinema che arrivano i progetti più sperimentali e formalmente più elaborati. In questo senso l'emblema della ricercatezza in ambito autoriale è proprio Satoshi Kon, vero e proprio artista a tutto tondo che ha spinto al massimo le potenzialità espressive del mezzo. Non a caso la retrospettiva omaggia l'autore con ben due opere (uscite, pur fugacemente, anche nelle sale italiane) Tokyo Godfathers e Paprika, che non potrebbero essere più diverse tra loro. Il primo è, infatti, un omaggio al cinema narrativo tradizionale (per la precisione si tratta di un rifacimento non dichiarato del western di John Ford In nome di Dio). In questa commedia natalizia sui generis, in cui un trovatello è accudito da due senzatetto e da un travestito, la raffinatezza del tratto (iper)realistico (cui Kon ci ha sempre abituati) si mescola alla vocazione umanista e alla denuncia sociale.
Con Paprika, che a oggi è l'ultimo film del regista, Satoshi Kon torna invece alle atmosfere cupe e oniriche e all'attenzione verso le figure femminili che hanno caratterizzato da sempre la sua filmografia (da Perfect Blue, a Paranoia Agent, a Millennium Actress). Tratto da un romanzo di Yasutaka Tsutsui, Paprika è una straordinaria sinfonia in costante bilico tra sogno e realtà, che esalta il potere immaginifico dell'animazione e di tutto il cinema in generale.Ma gli appuntamenti dell'Istituto giapponese di cultura hanno spaziato dal passato al presente, mostrando la continua evoluzione dello stile Madhouse. Si è partiti da Unico di Toshio Hirata, datato 1981, vera e propria chicca della rassegna (vista la sua difficile reperibilità in Italia). Questa favola umanista che ha per protagonista un tenero unicorno è un omaggio ad Osamu Tezuka, e prende le mosse proprio dal manga e dalla serie tv omonima ideata dal maestro. A concludere la rassegna è stata invece una delle ultime fatiche dello studio, La foresta del pianoforte (Piano no mori), presentato con successo al festival di Annecy e alla scorsa edizione del Future Film Festival di Bologna. Il film segna l'esordio al lungometraggio di Masaiuki Kojima, regista di numerose serie tv per la Madhouse tra cui gli anime di culto Master Keaton e Monster. La foresta del pianoforte si incentra sul rapporto tra amicizia e arte che si instaura tra due ragazzini: Shuei, che studia con impegno per diventare pianista e Kai, l'unica persona in grado di suonare un pianoforte misterioso abbandonato in una foresta. Il risultato è un'opera poetica che si muove in bilico tra il realismo intimista dell'ambiente scolastico e fantasiosi tocchi di magia, legati a una rappresentazione "spirituale" della natura. Il film è stato preceduto da una conferenza introduttiva del regista Kojima e del produttore Maruyama, con i quali abbiamo avuto occasione di chiacchierare a trecentosessanta gradi sulla Madhouse. Moderatore dell'incontro Luca Della Casa, selezionatore del Future Film Festival di Bologna, che ogni anno propone con costanza le novità dello studio. Sarà lecito pertanto attendersi anche quest'anno qualche assaggio di serie tv (c'è l'imbarazzo della scelta tra la nuova versione di Kyashan - il ragazzo androide, dal titolo Casshern Sins, Hellsing Ultimate e Stitch!), e magari anche un nuovo film, chissà...