Che il sipario si apra, il primo attore faccia la sua entrata, e il silenzio cali in sala. Già, perché nel mondo di Joe Wright tutto il mondo è veramente teatro. Lo è nella Russia ottocentesca di Anna Karenina, lo è nella terra siciliana di Cyrano, ma soprattutto lo è nel parlamento inglese de L'Ora più buia e in quello italiano della serie in otto puntate M. Il figlio del secolo.
Filtrati dalla cinepresa di Wright, l'ascesa al potere totalitario di Mussolini, la manipolazione delle masse, il controllo della stampa, diventano uno spettacolo di prestigio, una performance del mostro travestito da mefistofelico, ammaliante, attore, che declama le proprie battute confondendo i pensieri, conquistando le menti, distruggendo il futuro; dopotutto, "la democrazia è bellissima. Ti dà un sacco di libertà, anche quella di distruggerla".
"Noi siamo il nuovo"
Ma non è un encomio alla figura di Mussolini, lo spettacolo inscenato dalla regia di Joe Wright: come ogni gioco ("play", per l'appunto, come direbbero gli anglofoni riferendosi alle performance teatrali) tutto si mostra alla superficie rivelandosi per qualcosa che non è, celando all'interno un contenuto di denuncia, un'avvisaglia sociale, un avvertimento alle masse; dopotutto, come ci ricorda "l'attore" Mussolini (interpretato da un vero attore, così magistrale, magnetico e mimetico come Luca Marinelli) l'amore è un sentimento che ancora scorre nelle terre italiane: loro, i fascisti, sono ancora qui, sono ancora tra noi. E allora, dietro l'estetica accattivante, la regia dinamica, un montaggio serrato e a tratti surrealistico, lo spettacolo perde la sua funzione di intrattenimento, per farsi spettacolo di pura paura.
Il corpo mostruoso in un contenitore elegante
Quello tratto dal romanzo di Antonio Scurati (edito da Bompiani) non è solo un resoconto in immagini e parole degli eventi che hanno permesso a Mussolini di scalare i gradini del totalizzante controllo del paese; M. Il figlio del secolo è, dal punto di vista tecnico e visivo, la quintessenza dello stile registico di Joe Wright stesso. Un cinema che potremmo definire "fisico", perché improntato sulla potenza semantica dei gesti, sul comparto sentimentale ed emotivo nascosto dietro determinate parti del corpo. È un cinema dove i personaggi si nutrono del linguaggio non verbale, restituendo onde emozionali di concetti, pensieri, che a volte non necessitano di tante parole. Ritornano, quindi, nell'universo seriale di M. cifre stilistiche come gli sguardi in camera, i dettagli delle mani, degli occhi, i riflessi dei volti su specchi e superfici riverberanti mille sfumature di una personalità in combutta con gli altri e/o con se stessa. Ritornano, cioè, quegli strumenti corporei di un cinema artigianale con cui il regista comunica concetti e lotte interne, diatribe e sconvolgimenti interiori, così complessi e inutili da riassumere in mille parole.
Mussolini, o il burattinaio di nero vestito
A intaccare M. Il figlio del secolo è dunque una fisicità corporea del linguaggio cinematografico derivante dal passato stesso di un regista dislessico, figlio di burattinai londinesi. Un passato che adesso Wright riversa direttamente nel proprio protagonista, ribaltandone i ruoli. Mussolini non è più soltanto l'ultima creatura uscita dal laboratorio fantastico di Wright; non è, cioè, un burattino a cui infondere la vita, ma è il burattinaio stesso che tutto manovra e giostra a proprio piacimento. Un Mangiafuoco politico che condurrà il proprio popolo in un paese dei balocchi vestito di incubo. Il Mussolini di Wright manovra gli altri, tira le fila dei loro destini, per poi recidere, come una Moira romagnola, le loro esistenze.
Il gioco seriale dell'arte
Vi erano due modi per tradurre in immagini le parole di Scurati: prediligendo un approccio filologico e fedele al testo di partenza, oppure compiendo una totale rivoluzione, atta a stravolgere i canoni del racconto classico, per tradire le aspettative e disorientare lo spettatore. Wright propende ovviamente per la seconda opzione. Lo fa non solo optando per una riproposizione totale del proprio modus operandi, ma dialogando anche con ogni forma d'arte, da quella teatrale, a quella pittorica fino, soprattutto, a quella cinematografica. Coadiuvato da un montaggio caleidoscopico come quello di Valerio Bonelli, Wright decostruisce il proprio stile di racconto per renderlo camaleontico, perché capace di mutare in base agli eventi affrontati, alle tematiche toccate, alle personalità incontrate. Affondando a piene mani nel giacimento aureo della Settima Arte, Wright coglie, cioè, quelle correnti artistiche capaci di enfatizzare la portata storica e umana di un dato momento: le rivolte popolari si affideranno così al cinema sovietico di Pudovkin ed Ėjzenštejn.
Gli incontri con Margherita Sarfatti (Barbara Chichiarelli), prenderanno luogo in un ambiente dalle scenografie richiamanti opere come Thaïs, e per questo care a quello stile futurista a cui la donna è vicina. Le scene notturne, di un mostro che prende vita, per poi partorire i frutti della sua ambizione sotto forma di attacchi e violenze contro i ribelli, si affidano invece al cinema espressionista di Fritz Lang. La marcia, le bastonate, gli incendi e le esecuzioni si fanno invece coreografie compiute con fare violento. Sono danze macabre, memori di quelle compiute da Eric Bana e Saoirse Ronan in Hanna, e che vanno a loro volta a riversarsi su quelle realmente eseguite alla corte di re Vittorio Emanuele III (Vincenzo Nemolato), così simili e fedeli a quelle immortalate in precedenza in Anna Karenina, Orgoglio e pregiudizio, e Cyrano.
Il teatro della morte incombente
Ma il cinema di Wright è, soprattutto, teatro. Teatro della vita, oppure della morte. E come tale si presenta M. Il figlio del secolo. Come un attore a teatro che si rivolge alla platea per trovare un senso di complicità, così il Mussolini di Marinelli pare affidarsi alla rottura della quarta parete per stabilire un rapporto empatico con il proprio pubblico; ma è una sensazione, un'ipotesi, che la cinepresa di Joe ben presto tradirà. Grazie alle sue inquadrature distorte, le riprese inclinate, i piani sequenza colmi d'angoscia, il regista ci offre la portata nefasta di quei monologhi così ben decantati. Ancora una volta l'aspetto visivo, quasi tangibile, predomina su quello verbale, rivelando la vera natura degli intenti del protagonista. E se anche i suoi personaggi dialogano, vomitano parole sul corpo degli spettatori, elucubrando pensieri, imponendo visioni ed esponendo piani di azioni, a inserirsi nello strato più profondo dell'epidermide del proprio pubblico, è la potenza delle immagini, il loro significato intrinseco, i sentimenti sussurrati, come incantesimi a mani giunte.
È un patchwork di ricordi artistici, stilemi personali, influenze e sensazioni nate dalla lettura della sceneggiatura, M. Il figlio del secolo di Joe Wright. Un saggio audio-visivo dove il desiderio di un uomo fattosi attore, prestigiatore e poi autore di un ventennio di sangue, si scontra con quelle che saranno le conseguenze di tali voli icarici. Si brucerà le ali cadendo a testa in giù, Mussolini, ma per ora si deve limitare a un silenzio che lo avvolge nel teatro del parlamento italiano. Nessun applauso fragoroso, nessun battito di mani, solo il vuoto attorno. Ma forse a lui nemmeno interessa: adesso il suo sguardo è ancora lì, rivolto in camera, intento a ricercare quello del proprio pubblico per destarlo dal sonno dell'incoscienza, e ricordargli la portata di un incubo del passato, ora minaccioso di intaccare il dubbio del futuro.