Una delle difficoltà più comuni affrontate dagli spettatori che seguono più o meno assiduamente serie televisive - e che affligge molto meno quelli cinematografici - è costituita dallo sforzo di abituarsi a vedere un attore, a lungo associato a un personaggio conosciuto, in un nuovo ruolo. Come riuscire a non far coincidere più nella propria mente il grande Hugh Laurie con House dopo anni di "visite" settimanali e imparare a identificarlo con un altro protagonista della TV? Basti pensare alle dissociazioni esperite dai britannici che hanno amato l'inglese imbranato Bertie Wooster e se lo sono ritrovato trasformato in un medico americano geniale e scorbutico. Negli Stati Uniti, molto più che da noi, il londinese Idris Elba è Stringer Bell, metodico spacciatore di The Wire che fa penare per cinque stagioni il poliziotto McNulty e mezza polizia di Baltimora. Recentemente, il massiccio attore è passato dall'altra parte della barricata per trasformarsi in John Luther, poliziotto controverso e dal fragile equilibrio psicologico.
Luther, miniserie in sei episodi alla prima stagione di BBC, segue vita privata e professionale del suo eponimo, investigatore della polizia di Londra che torna in attività dopo un lungo periodo di ritiro. Il cacciatore di serial killer è l'ultimo di una nutrita lista di profiler finzionali dotatissimi e troppo coinvolti dal proprio lavoro: brillante e straordinariamente intuitivo, Luther riconosce il colpevole al primo sguardo, ne comprende i meccanismi psicologici con precisione e ne prevede in anticipo le mosse, ma si lascia trascinare a fondo da una moralità "flessibile" che fa impallidire i polizieschi più manichei e favorisce una distinzione quasi impalpabile fra Bene e Male. Luther racchiude in sé molte caratteristiche di suoi predecessori: gigante dall'intelligenza superiore con il bisogno di fare giustizia a tutti i costi (quasi più del Goren di Criminal Intent), si è macchiato di un delitto compiuto ai danni di un assassino odioso (come il Thorne dell'omonima miniserie inedita) e si affida a consulenze "rischiose" come il Will Graham nato dalla penna di Thomas Harris e portato sul grande schermo da William Petersen nell'algido Manhunter e da Edward Norton nel mediocre Red Dragon. Come l'originale letterario di Graham, Luther ha le capacità necessarie per catturare assassini inavvicinabili da chiunque altro, paga la sua eccellenza con la prostrazione psicologica che lo costringe a lunghi periodi di ritiro dall'attività investigativa e si affida alla consulenza di serial killer per catturare altri serial killer.
La finzionalità pullula di cacciatori di assassini inghiottiti dalle tenebre che avvolgono le loro prede, tuttavia Luther manifesta un indubbio vantaggio fisico, che, a differenza di analoghi come la Sam Waters di Profiler, lo Spencer Reid di Criminal Minds, il Will Graham di Manhunter, consegna nelle sue mani l'opportunità di eliminare fisicamente gli omicidi che si macchiano dei "crimini più perversi" piuttosto che soccombere al primo incontro ravvicinato. Questa peculiarità, associata a una soglia reattiva molto bassa, rende Luther una risorsa inaffidabile per la polizia e tuttavia inestimabile: come per Colombo - con cui condivide anche un'ossessione per la moglie - al detective basta uno scambio di battute per riconoscere il colpevole, con il quale ingaggia una sfida intellettuale che culmina con la disfatta dell'assassino.Tuttavia la britannica Luther, come rifugge la divisione manichea di Bene e Male che caratterizza i polizieschi e procedural d'Oltreoceano (tanto che tra le poche serie in cui la distinzione si fa meno netta c'è proprio Criminal Minds, di cui è showrunner un inglese, Simon Mirren), rigetta anche la costante necessaria del trionfo della Legge sul crimine a tutti i costi. Il primo caso di Luther, infatti, segna la disfatta del detective nei confronti di Alice, ex-ragazza prodigio interpretata dalla poliedrica Ruth Wilson di Jane Eyre e The Prisoner che stermina la propria famiglia perpetrando il delitto perfetto.
Il complesso rapporto tra profiler e serial killer si è trasformato spesso, dopo la cattura del secondo, in una relazione pericolosa che oltre alla consulenza privilegiata implica un rapporto di attrazione e repulsione. È il caso del solito Graham, che gioca con il fuoco invocando l'aiuto di Lecter/Lektor o del Langston di CSI che accetta a suo rischio e pericolo l'aiuto di Haskell per trovare il Dr.Jekyll. Da parte del serial killer consegnato alla giustizia emerge il desiderio di vendetta per essere stato sconfitto da un'intelligenza superiore e privato della libertà. La relazione tra Goren e Nicole Wallace, avvelenatrice seriale incontrata una mezza dozzina di volte nel corso di Criminal Intent, colpisce per l'ambiguità del rapporto che si instaura tra l'uomo e la giovane, entrambi geniali quanto disturbati, simili ma per sempre separati da azioni e propositi. L'incontro tra Luther e Alice parte da premesse simili, ma evolve in una relazione inedita e imprevedibile. Il primo incontro è sufficiente all'investigatore per riconoscere nella studiosa di astrofisica la responsabile della morte della famiglia, ma nonostante la donna non faccia mistero della sua colpevolezza e anzi cerchi gratificazione nel riconoscimento del suo operato, Luther non è in grado di consegnarla alla giustizia.
Dal primo episodio e per tutto il corso della stagione, interamente scritta da Neil Cross (che si è fatto le ossa con lo spionistico Spooks), la relazione tra Alice e Luther viene registrata nella sua evoluzione: in continua trasformazione, il loro rapporto tende alla declinazione più improbabile, l'amicizia: la giovane è dapprima l'avversaria di Luther, poi la sua stalker, una minaccia reale per la sua famiglia, un angelo custode, un cupido manipolatore, una complice e infine l'unica persona su cui il detective può fare affidamento. La curiosa coppia rappresenta il nucleo primario di interesse della miniserie, e rappresenta la parte che soffre meno di una avvilente lentezza della regia (che si riversa invece sulla costruzione dei casi), mentre il resto della rappresentazione della vita privata di Luther, soprattutto quando legata all'ossessione per l'incolumità della moglie, crea a volte irritazione. Divisa tra l'amore per il marito Luther, convivente impossibile, e l'attrazione per la solidità affettiva incarnata da Mark (Paul McGann, che fu l'Ottavo Dottore del terrificante tv movie del Doctor Who) Zoe (Indira Varma, la Suzie di Torchwood, la cui dipartita viene omaggiata scambiando la Gorecki di Lamb con Breathe Me di Sia) incarna il punto debole del poliziotto e vanta l'invidiabile dono di scatenare in lui l'ira e la prostrazione più repentine e violente.Nonostante la fragilità emotiva John Luther mantiene un'efficienza intellettuale che lo porta sempre a individuare il colpevole: che si tratti di un ometto insignificante che uccide donne per sfogare rabbia e frustrazione nei confronti dei tradimenti della moglie, o di un militare manipolato dal padre e da questi incitato a sterminare le forze di polizia, per l'investigatore non tanto è difficile scoprire la verità quanto non farsi travolgere dall'istanza morale che lo trasforma in giudice, a volte misericordioso, a volte spietato. L'esigenza di subentrare alla Legge nel giudizio dei colpevoli gli aliena la sua amicizia più duratura, quella con il collega Reed (Steven MacKintosh, già poliziotto bugiardo di Criminal Justice), condannata a degradarsi irrimediabilmente fino a mutare in uno scontro all'ultima menzogna e condiziona il rapporto con Alice, che si trasforma in alleanza, e con Ripley (Warren Brown, anche lui nel cast di Criminal Justice nei panni di un secondino viscido), novellino fedele al mentore.
Alla fine, Luther paga con il contrappasso più pesante l'arroganza che lo spinge a esercitare la sua giustizia personale, perdendo il suo bene più prezioso e la benevolenza del dipartimento. Per conoscere le conseguenze sul suo equilibrio psicologico, sulla sua carriera e sul suo singolare rapporto con Alice resta da attendere la seconda stagione. Come John Luther emergerà dall'esperienza è un mistero che vale la pena di aspettare per conoscere, anche se le lunghe puntate del formato inglese e la ricorrente tendenza di queste a uno svolgimento un po' pesante rendono la visione della miniserie innegabilmente faticosa; tuttavia, la consueta e infallibile capacità degli sceneggiatori d'Oltremanica di stupire lo spettatore con l'ardimento di alcune soluzioni narrative si fa perdonare ampiamente la latitanza di ritmo.