Accade, non di rado, che nel bel mezzo del marasma digitale spuntino all'improvviso quei film che abbiamo aspettato per settimane, mesi o, addirittura, anni. E non è raro nemmeno che questi titoli, un po' a sorpresa, scalino immediatamente le top dei più visti, rimarcando un concetto che pare ormai sbiadito: anche a casa una grossa fetta di utenti (o spettatori, ça va sans dire) cerca la qualità. Allora, ecco che in streaming su Netflix spunta un film di immediata presa, di ottima fattura e di sconcertante attualità. Subito, capiamo che dietro quel titolo, Luce, potrebbe esserci nascosto altro. Molto altro. Stratificato, sotterrato, forse represso dietro una coltre di apparenza e di concetti che hanno (o almeno avrebbero) reso grande gli Stati Uniti d'America. Patria di libertà, individualità, speranza. Per capirlo meglio, bisogna accennare alla bio del regista, Julius Onah, che ha scritto il film insieme a J. C. Lee. Sì, lo stesso Julius Onah scritturato dalla Marvel per Captain America: New World Order, di sangue nigeriano e poi cresciuto nelle Filippine, a Togo e nel Regno Unito, finendo poi per laurearsi alla New York University.
Alla NYU, grazie al programma di laurea, ha girato il suo primo lungometraggio, The Girl is in Trouble, prodotto tra gli altri da Spike Lee. Ecco. I riverberi mostrati in Luce, infatti, sembrano riecheggiare nella poetica narrativamente arrabbiata di Lee. A cominciare dall'architrave che sorregge la storia: l'integrazione, e la successiva tokenized, ossia la simbolizzazione superficiale che mira ad includere un individuo appartenente ad un'etnia diversa in un contesto lavorativo, sociale o, come nel caso del film, educativo. Ma attenzione, per merito della scrittura, Luce ribalta di nuovo il concetto, instaurando nello spettatore i dubbi che si propagano come un'influenza, spingendolo - appunto - ad andare ben oltre le apparenze, districandosi dalla correttezza di pensiero. E se non fosse tutto così... luminoso? E se dietro la stessa integrazione ci fossero dei tarli insanabili? Un pensiero pericoloso, che ha scosso, in primis, la platea del Sundance Film Festival, dove il film è stato presentato nel 2019 prima di essere acquisito dalla NEON per la distribuzione US.
Luce, la trama: essere o apparire
Ma qual è il pensiero pericoloso che si annoda dietro Luce? Bisogna innanzitutto partire dalla trama: Luce Edgar (Kelvin Harrison Jr.), nato tra le bombe scoppiate in Eritrea, è un liceale modello. Adorato dagli altri studenti e amatissimo dai suoi genitori adottivi, Amy e Peter (Naomi Watts e Tim Roth). Educato, gentile, affascinante, bravo a scuola e atleta prestante. Insomma, si presta perfettamente ad essere considerato emblema di integrazione ed equilibrio. Ciononostante, qualcosa non torna: nutre una certa animosità nei confronti di Harriet Wilson (Octavia Spencer), la professoressa di storia che ha fatto espellere dalla squadra il suo amico DeShaun (Astro), dopo aver trovato della marijuana nell'armadietto. Ma non è tutto: secondo la professoressa, Luce cova in fondo all'anima brutalità, insofferenza e ferocia, provenienti dai traumi subiti da bambino, quando impugnava le armi.
A dimostrazione, un tema scritto da Luce che, immedesimandosi in Frantz Fanon, rivoluzionario politico, dice che il colonialismo può essere abbattuto solo con la violenza. Se non vi basta, un'altra "prova": frugando nell'armadietto del ragazzo, Harriet ha trovato dei fuochi d'artificio illegali. Da qui in poi, il film di Julius Onah si smembra, disseminando a dovere inquietanti domande capaci di spaccare il pensiero. Da quale parte stare? Credere alla professoressa Harriet, spaventata dai comportamenti ambigui di Luce (ad un certo punto, potrebbe anche averla minacciata velatamente), forse vicino all'ennesima strage scolastica, oppure fidarsi dell'affabile ragazzo, che è davvero l'alunno speciale che tutti vedono?
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Molte domande, molte risposte
Mettiamolo subito in chiaro: alcuni film potrebbero rispondere alle stesse domande che pongono, altri invece - come Luce - prendono ulteriore distanza lasciando che sia il pubblico a scegliere. Tuttavia, al netto della straordinaria forza visiva (è girato in pellicola Kodak 35mm, e questo potrebbe essere uno dei motivi per apprezzarlo) la forza del film risiede nel fatto che i quesiti siano necessari per catalizzare l'attenzione sui preconcetti e sul significato sconnesso di integrazione. Il consiglio, è quello di lasciar fluire la visione senza arrovellarsi su quale spiegazione potrebbe esserci dietro i "piani" dei protagonisti, calati in una sorta di dimensione parallela molto simile a quella di un palcoscenico. Non è un caso che Luce sia tratto dall'omonima opera teatrale di J.C. Lee, portando in scena il cortocircuito di una coppia che scopre il lato estremista del loro figlio adottivo.
Nel film di Julius Onah, la famiglia svolge sì un ruolo cruciale (e fallibile), ma è il contesto sfocato e non-geolocalizzato a stupire e inquietare, intanto che il regista commenta in modo diretto ed esplosivo le insidie celate dietro le apparenze, commentando con estrema capacità la questione razziale. C'è qualcosa di malvagio negli occhi di Luce (il lavoro di Kelvin Harrison Jr. è pazzesco), ma quella malvagità potrebbe essere indotta dai nostri ideali standardizzati e stereotipati, alzando un polverone umano che lascia strascichi anche alla fine del film, un attimo prima che sia rivelata (forse) la verità. Ma ogni verità, racchiusa in un secondo, può essere ri-vista da infinite angolature: mentre sale forte la colonna sonora di Geoff Barrow e Ben Salisbury, dai toni quasi orrorifici, ci rendiamo conto che la profondità dell'opera è abissale, e che niente dovrebbe mai essere dato per scontato. Le conseguenze sarebbero disastrose.
Conclusioni
Concludendo la recensione di Luce, rimarchiamo l'attualità dei temi e la forza con cui vengono trattati. Da questo spunto, il film rivolge domande agli spettatori, aprendo ad una sorta di doppio binario: verità e apparenza. In mezzo, l'integrazione come spunto per analizzare strumentalizzazione e apparenza. Girato in 35mm.
Perché ci piace
- La storia.
- Gli interpreti.
- Le domande che rivolge al pubblico.
- Girato in 35mm.
Cosa non va
- Forse dieci minuti in meno avrebbero giovato.