Si può raccontare l'irriverenza, l'incanto, l'anarchia e la sregolatezza della Londra tatcheriana e punk di fine anni '70 con i toni di un piccolo racconto di formazione?
Con il suo London Town, Derrick Borte - sconosciuto ai più se non per la sua dark comedy d'esordio The Joneses - dimostra di poterlo fare costruendo un classico coming of age cadenzato dalle note dei Clash.
Il regista si appropria del connubio musica-cinema sviluppandolo secondo una propria nostalgica visione dell'epoca e affidandogli il compito di tratteggiarne le tensioni sociali e il tessuto culturale.
Una caleidoscopica carrellata sui sogni di una generazione affidata agli occhi di un ingenuo ragazzino di quattordici anni, Shay (Daniel Huttlestone), cresciuto nei sobborghi londinesi con papà Nick (Dougray Scott), scozzese, e una sorellina alquanto precoce (la vera rivelazione del film, sagace controparte in molto degli umoristici siparietti disseminati all'interno della pellicola).
Un piccolo grande uomo
Shay è a scuola è davvero in gamba, sa anche suonare il piano, ma più per volontà del padre che non per le proprie velleità artistiche; è lui che si preoccupa di gestire le questioni domestiche, lui che si prende cura della sorella più piccola, ed è sempre lui a far trovare una cena calda a Nick, un uomo stanco e disilluso, proprietario di un negozio di strumenti musicali quando non deve guidare il taxi per riuscire a sbarcare il lunario e far quadrare i conti a fine mese.
Shay è cresciuto in fretta, una madre praticamente non l'ha mai avuta: ha imparato velocemente a farne a meno da quando Sandrine (Natascha McElhone) li ha lasciati per trasferirsi a Londra e seguire le proprie ambizioni di cantante rock passando da uno squat all'altro.
Ora, all'inizio dell'estate che accompagnerà il suo passaggio verso l'età adulta, Shay non sa che quel viaggio lo farà insieme a una bizzarra sequela di personaggi: una madre sfuggente, ribelle e hippy, una giovane e brillante ragazza punk, Vivian (Nell Williams) e un inedito Joe Strammer (Jonathan Rhys Meyers).
Crescere con Joe Strummer
London Town non è un biopic sui Clash come erroneamente si potrebbe essere portati a pensare da una campagna promozionale ingannevole, ma è semplicemente la storia di un giovane uomo che dovrà sporcarsi le mani nella Londra delle lotte operaie, degli skinheads, delle contestazioni e delle manifestazioni 'anti-immigrati'.
La musica dei Clash diventerà la sua ossessione: lo vedremo tingersi i capelli di nero, rockeggiare nella sua cameretta, imparare a fare a pugni nel bel mezzo degli scontri (lui che "l'anarchia non sa neanche cos'è") e suonare al piano "White riot".
A parte qualche superficialità perdonabile e limiti tecnici dovuti con ogni probabilità ad un budget molto ridotto, il film rivela, pur ingabbiato in una struttura convenzionale, una sua coerenza e grazia.
Sorprendono i giovani interpreti tutti perfettamente a loro agio e spicca su tutti la performance dell'irlandese Jonathan Rhys Meyers, che in molti ricorderanno nei panni del protagonista glam di Velvet Goldmine: il suo dinoccolato Joe Strummer abbandona la dimensione dell'icona per diventare una sorta di fratello maggiore, guida quasi virgiliana del protagonista nel sottobosco del punk inglese.
La musica non si limita quindi a semplice orpello, ma mostra tutto il suo potere salvifico, perché a volte può cambiare una vita, smuovere le coscienze e fermare le guerre. E concerto dopo concerto, canzone dopo canzone, il nostro piccolo grande uomo imparerà che "ne vale la pena solo se ne vale la pena".
Movieplayer.it
3.0/5