La nuova traduzione de Lo Hobbit: intervista a Wu Ming 4

Dopo più di cinquant'anni, è uscita la nuova traduzione de Lo Hobbit, opera prima di J.R.R. Tolkien, a cura di Wu Ming 4.

Lo Hobbit, versione cinematografica

L'incipit de Lo Hobbit è stato annoverato diversi anni fa dal New York Times, in un sondaggio fatto con esperti e lettori, tra i dieci incipit più influenti della storia della letteratura del Novecento. Questo per sottolineare quanto fuori Italia gli scritti tolkieniani non siano sia solo del "semplice" fantasy, ma tanto di più. C'è da dire tuttavia che negli ultimi decenni, anche grazie alle varie trasposizioni cinematografiche, le opere del professore di Oxford sono state sdoganate(qua in Italia) da quell'aura del "fantasy per ragazzi", riassestando l'immaginario tolkieniano come uno dei classici del fantastico e non solo.

Ecco perché la nuova traduzione del suo primo romanzo Lo Hobbit, può rappresentare un vero e proprio nuovo spartiacque per i tanti "nuovi" lettori che si approcciano a Tolkien. Sì perché tutti parlano di Signore degli Anelli, o adesso degli scritti precedenti alla Terza Era, ma mai pubblicati da Tolkien stesso e ci si dimentica da dove tutto ebbe inizio: appunto Lo Hobbit.

Lo Hobbit Copertina
La copertina della nuova edizione

La novità, in Italia, è che per la prima volta dopo cinquant'anni questa storia avrà una nuova traduzione e non più un rimaneggiamento della traduzione "classica", com'era stato nel 2013, ma un rifacimento integrale, realizzata dallo scrittore Wu Ming 4, autore del gruppo Wu Ming e socio fondatore dell'Associazione Italiana Studi Tolkieniani. Il libro (in uscita dal 23 ottobre) è accompagnato non solo dai disegni realizzati da Tolkien per le varie edizioni, ma anche con l'aggiunta dei bozzetti e di tutte le mappe, da lui stesso utilizzate per scrivere la storia, per un totale di ben cinquantatré illustrazioni.

La copertina finalmente ricalcherà quella dell'edizione britannica, che a sua volta richiama quella della prima edizione del 1937, isolandone un dettaglio in un tondo al centro, nel quale sopra le vette dei Monti Brumosi spunta un sole rosso e con le rune a fare da cornice. Proprio per questo motivo, considerando l'importanza dopo così tanto tempo di una nuova traduzione per uno dei romanzi più straordinari del Novecento, che abbiamo deciso di raggiungere il traduttore Wu Ming 4 per un'intervista.

Lo Hobbit: la nostra intervista a Wu Ming 4

Lo Hobbit Disegno
Lo Hobbit: un disegno tratto dal libro

Come è stato viaggiare con Bilbo e i nani con la consapevolezza di donare all'Italia una traduzione a 360 gradi?
Ogni volta che ho riletto Lo Hobbit e ripercorso quel viaggio insieme a Bilbo e ai nani ho scoperto qualcosa di nuovo. Ma questa volta è stata speciale, perché la traduzione ti obbliga a ragionare su ogni parola, a entrare nel modo di scrivere dell'autore. Mi era già successo con C.S. Lewis, traducendo uno dei romanzi del ciclo di Narnia, di accorgermi che solo in traduzione entri nella testa di un autore, perché sei costretto a sintonizzarti sulla sua lunghezza d'onda. È una cosa che fa un certo effetto.

Quanto è importante questo libro per un tolkieniano (e non solo)?
Posso parlare solo per me stesso. Per me Lo Hobbit è un romanzo fondamentale, perché è il punto di partenza della carriera di narratore di Tolkien. Noi siamo abituati a considerare il legendarium come precedente, perché sappiamo che Tolkien iniziò a scrivere le storie del Silmarillion già durante la Prima guerra mondiale, quando gli Hobbit erano di là da venire. Ma il caso ha voluto che a vedere la luce editoriale fossero proprio loro, mentre Il Silmarillion è stato pubblicato soltanto postumo. E questo ha cambiato la prospettiva di tutta l'opera tolkieniana. Nella nota introduttiva del figlio Christopher, inclusa in questo nuovo volume, viene raccontato come Tolkien, mentre scriveva Lo Hobbit, che aveva inizialmente concepito come una storia senza contesto particolare, piano piano vide il suo mondo immaginario prendere spazio nella vicenda. O meglio: vide la storia che stava scrivendo entrare sempre più dentro un contesto che era quello di Arda e della Terra di Mezzo. Il punto di svolta nella sua carriera di narratore è quello, quando una storia per ragazzi che aveva come protagonista un omuncolo che vive in una casa scavata sottoterra incontrò il mondo delle leggende e dell'epica di Arda. Quello è stato uno dei momenti più felici della storia della letteratura fantastica.

Martin Freeman, nei panni di Bilbo, esplora la Terra di Mezzo in The Hobbit: An Unexpected Journey
La versione cinematografica de Lo Hobbit. Era il 2012

La differenza tra leggere Tolkien in lingua e approcciarsi alla sua traduzione, qual è stata per Wu Ming 4?
Non me ne sono mai sentito davvero all'altezza. Nemmeno adesso. Ho fatto del mio meglio pur sapendo che non poteva bastare, perché non basta mai. Ho certamente commesso degli errori e forse azzeccato qualche scelta. Ma qualunque traduzione è imperfetta, e alla fine è solo un punto di vista individuale. Potenzialmente si potrebbe non smettere mai di parlare delle traduzioni e di criticarle e smontarle e revisionarle. Ed è giusto così.

La sfida di una nuova traduzione

Ci sono state difficoltà in questa traduzione e delle linee guida da rispettare?
Ho dovuto rispettare la nomenclatura di Ottavio Fatica, per linea editoriale. Non avevo altri vincoli. La parte più difficile sono state le canzoni. Ce n'è una quasi in ogni capitolo, a volte più di una e io non avevo mai tradotto versi. Per fortuna mi ha aiutato Beatrice Masini che ha editato le mie prime versioni. Devo dire però che anche in questo caso ho scoperto aspetti che avevo notato poco. Leggendo Lo Hobbit e Il Signore degli Anelli abbiamo tutti avuto almeno una volta la tentazione di saltare le canzoni più lunghe, troppo impazienti di sapere come proseguiva la storia. Eppure le canzoni sono un momento fondamentale del racconto, lo intervallano, e in particolare quelle dello Hobbit sono sempre canzoni che esprimono uno stato d'animo collettivo. Finché alla fine anche Bilbo compone e canta la sua canzone: Roads go ever ever on. Tolkien indubbiamente si divertiva un mondo a scriverle.

I nani Stephen Hunter, Adam Brown, Mark Hadlow, Jed Brophy e Peter Hambleton in Lo Hobbit - Un viaggio inaspettato
Un momento di Lo Hobbit: Un viaggio inaspettato

La traduzione di Ottavio Fatica ha ricevuto molte critiche, quali sono i rischi di questo Lo Hobbit, anticipando i vari e soliti detrattori?
Nessun rischio che non sia stato messo nel conto. La traduzione verrà fatta a pezzi. E come ho detto, va bene così. Ogni traduzione deve essere distrutta. Più si smonta una traduzione più ci si avvicina al senso dell'originale.

Il passo che ti ha divertito di più?
Senz'altro il dialogo tra Bilbo e Smaug. Mentre lo traducevo mi rendevo conto di quanto sia un pezzo teatrale perfetto. Tradurlo è stato davvero divertente. E aggiungerei anche il dialogo tra Gandalf e Beorn. I tempi comici lì sono perfetti.

La magia di Tolkien

In che punto del libro ti sei fermato e ti sei detto "certo che Tolkien è stato proprio visionario a pensare ad una storia di questo tipo"
Nella Battaglia dei Cinque Eserciti. Lì, improvvisamente, quella che fino a quel momento è stata una fiaba avventurosa, una specie di Odissea, diventa un Iliade, ma la guerra è quella di carneficina, la guerra moderna, che Tolkien aveva conosciuto da vicino. La sua capacità di descrivere ogni movimento e fase della battaglia è stupefacente, è come se tutto venisse ripreso a volo d'uccello, alzandosi e abbassandosi rispetto al terreno degli scontri. Ma queste sono le tecniche del cinema di oggi... niente del genere esisteva nel 1937. Ecco, lì ho pensato: "Questo era un visionario".

Peter Jackson con Martin Freeman sul set di Bag End, durante le riprese de Lo hobbit
Peter Jackson e Martin Freeman sul set de Lo Hobbit

Le tematiche de Lo Hobbit invecchiano o stiamo parlando comunque di un classico intramontabile?
Il protagonista del romanzo è un maschio di mezza età irrisolto, con una vita bloccata, che deve andare a cercare se stesso nel mondo, mettersi alla prova, uscire dall'impasse esistenziale, scoprendo di che pasta è fatto. Mi sembra un tema di un'attualità stringente.

Perche gli Hobbit sono così amati dal pubblico?
Perché sono le uniche creature fantastiche con cui può identificarsi. Gli Hobbit, come dice Tolkien, non hanno niente di fairy. Sono un popolo immaginario, ma sono come noi. Siamo noi trasposti in uno scenario fantasy, con tutte le nostre paure e la nostra pigrizia, ma anche con un desiderio malcelato di vedere cosa c'è oltre il confine della mappa. Edonisti ed eroici a seconda del carattere e delle circostanze, gli Hobbit sono la chiave del successo della narrativa tolkieniana. Il Silmarillion è un'epica meravigliosa e ambiziosissima, ma non riesce a fare calare i lettori nella storia allo stesso modo, proprio perché manca un vettore come gli Hobbit.

Martin Freeman preoccupato in una scena del film The Hobbit: The Desolation Of Smaug
Martin Freeman è Bilbo

Pensi che questo romanzo e fiaba possa ancora essere il giusto principio per far appassionare i bambini al fantasy?
È senz'altro un punto d'ingresso possibile, ma io direi non tanto al fantasy, perché è sempre limitante ragionare per generi letterari, quanto piuttosto alle narrazioni avvincenti. Lo Hobbit è un romanzo che fa tesoro della tradizione letteraria occidentale. Dentro ci ritrovi la Voluspà, la leggenda di Sigurd, i poemi omerici, i romanzi-fiaba di George MacDonald, e perfino un sottotesto antibellicista nemmeno troppo implicito. Perché resta pur sempre anche il romanzo di un reduce, e si vede. C'è molto più di quanto si possa pensare. Con questi ingredienti, sapientemente dosati, il risultato è una delle più belle storie mai raccontate.

Quali sono i sogni di Wu Ming 4 per questa traduzione e per questa "storia" che ha fatto sognare tanti giovani di trent'anni fa?
Magari che Lo Hobbit non venga più considerato come il fratellino sfigato del Signore degli Anelli. Lo Hobbit è nato prima, è il fratello maggiore, e ha una sua specifica bellezza, che va riconosciuta.