"Avresti mai pensato sarebbe capitato a noi?" In questa frase pronunciata dalla protagonista è contenuta una buona parte dell'anima di Leggere Lolita a Teheran il film di Eran Riklis, tratto dall'omonimo romanzo di Azar Nafisi, che racconta la difficile condizione femminile nell'Iran post rivoluzione di Khomeini. Seguiamo infatti le vicende della stessa autrice che nel suo libro racconta della progressiva perdita dei diritti che l'hanno costretta a rinunciare alla sua cattedra come docente di letteratura occidentale, e del suo conseguente atto di organizzare nella sua casa un gruppo di lettura con le studentesse più affezionate.
L'abitazione di Nafisi diventa così un luogo sicuro dove potersi esprimere liberamente e dove sentirsi, finalmente, di nuovo esseri umani con un proprio pensiero e con proprie necessità. Abbiamo parlato di queste tematiche con le attrici Golshifteh Farahani, che interpreta l'autrice e Mina Kavani, volto di Nassrim, una studentessa parte del collettivo di incontri.
Una meticolosa preparazione al ruolo
Come affermavamo anche nella nostra recensione di Leggere Lolita a Teheran ci si rende subito conto di una cosa: non è un film semplice, sia dal punto di vista realizzativo che da quello emotivo e recitativo. Nel chiedere alle attrici come abbiano lavorato sulla loro splendida intesa sul set, abbiamo compreso come dietro quell'alchimia ci fossero ore e ore di prove e studio.
I personaggi, dalla protagonista ai comprimari, sono assolutamente veritieri, giustamente complessi e Farahani ha confermato l'enorme preparazione dietro ogni scena: "Abbiamo fatto molti workshop prima delle riprese con Eran, per lui erano molto importanti. Ci siamo conosciuti, abbiamo lavorato insieme per quasi due settimane. Abbiamo letto la sceneggiatura, abbiamo ballato insieme, mangiato insieme. Il regista voleva creare qualcosa di nuovo, prendere il giusto tempo per la preparazione."
Leggiferare sul corpo delle donne
In un film così intenso era d'obbligo la domanda di rito sula scena più difficile da girare, quella dove le emozioni rischiano di frapporsi alla recitazione. A rispondere è stata Mina Kavani: "È la scena che ho con Golshifteh, quando vado a casa sua per comunicargli che il mio personaggio avrebbe lasciato il paese. Mi ha ucciso perché, beh, prima di tutto, mi ricorda il giorno in cui ho lasciato l'Iran. In particolare dovevo interpretare questa donna che ha lasciato l'Iran 15, 16 anni fa, e entrambe, per tutti questi anni, non siamo mai tornate."
Fuggire da un paese che non riconosce i tuoi più basilari diritti, che non pensa a te come persona giuridica o più semplicemente come essere umano, è una condizione che molte donne si trovano ad intraprendere. Abbiamo chiesto allora alle attrici perché, secondo loro, spesso le campagne elettorali e la politica si facciano sul corpo delle donne che di conseguenza diventa terreno su cui leggiferare. A rispondere è Golshifteh Farahani: "Perché le donne sono come armi da guerra. In pratica, se in Congo hai un problema con un uomo, vai a violentare sua moglie. Le donne sono come una proprietà, sono sempre state viste come proprietà degli uomini perché molti uomini sono deboli, hanno paura e per questo mirano ad indebolire le donne."
Continua poi dicendo: "Penso che non ci sia nulla a questo mondo che possa fermare l'emancipazione femminile. Le donne si emanciperanno, si libereranno. È come l'acqua che scorre, come il fuoco che brucia. Gli esseri umani andranno verso la libertà e l'uguaglianza, si spera."