Le Vele Scarlatte (L'Envol), la recensione: il realismo magico di Pietro Marcello è grande cinema

La recensione de Le Vele Scarlatte (L'Envol): Pietro Marcello conferma il suo incredibile talento registico portando sul grande schermo l'omonimo romanzo datato 1923 e scritto da Aleksandr Grin. Tutto, filtrato tramite una lente artigianale che restituisce il senso del cinema più puro. Presentato a Cannes 75 e poi alla Festa del Cinema di Roma 2022.

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Le vele scarlatte: un momento del film

L'essenzialità filmica per un cinema dalla forte visione primordiale, che torna alle radici del racconto per farsi testimonianza artigianale del realismo magico. Pietro Marcello con Le Vele Scarlatte (L'Envol, titolo originale) dirige il suo primo film francese, liberamente ispirato all'omonimo romanzo di Aleksandr Grin, proseguendo il discorso iniziato con lo splendido Martin Eden. Ma solo in parte, però. Infatti, il film, presentato alla Quinzaine des Réalisateurs di Cannes 75, e poi passato alla Festa del Cinema di Roma 2022, è - per sua stessa ammissione - un film femminile, che ci porta nel passato ma, come avvenuto per Martin Eden, è osservato con uno sguardo moderno, quasi d'avanguardia. Tutto, filtrato tramite la puntuale visione di Juliette (Juliette Jouan), che fa slittare la soggettività di Pietro Marcello dal maschile di Eden ad un nuovo spazio femminile. Sottolineando questo aspetto nella nostra recensione de Le Vele Scarlatte, il paradigma tra Martin Eden e Juliette prosegue finendo per annullarsi nell'evoluzione narrativa e visiva: da una parte una figura di rottura, che tradisce le proprie origini, dall'altra una bambina poi donna che accetta di restare in una comunità matriarcale, almeno fino alla morte di suo padre.

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Le vele scarlatte: una sequenza

Prendendosi le sacrosante licenze poetiche, Pietro Marcello (su sceneggiatura di Maurizio Braucci, Maud Ameline e Geneviève Brisac) ci porta in un indefinito angolo nel nord della Francia. La Prima Guerra Mondiale è terminata da pochi mesi, e le trincee ancora bruciano di sangue e di petrolio. Come vediamo dai filmati d'epoca, intelligentemente inseriti e ristrutturati con un vivido croma, c'è voglia di normalità e c'è voglia di casa. Non senza difficoltà, Juliette - orfana di madre - riaccoglie suo padre Raphaël (Raphaël Thiéry) tornato dal fronte. Non è un uomo cattivo, piuttosto potremmo dire che è burbero, dai modi alquanto grezzi. Insomma, tutto l'opposto di sua figlia, spirito solitario e appassionata di musica e di canto. La vita della ragazza pare essere confinata in una dimensione ristretta, almeno fin quando una stramba fattucchiera (Yolande Moreau) le predice che presto arriveranno delle vele scarlatte che la porteranno lontano, via dal suo villaggio.

La modernità in 4:3

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Le vele scarlatte: un'immagine tratta dal film

Per comprendere meglio Le Vele Scarlatte bisogna necessariamente tornare alle origini del film. Origini che si diramano dal romanzo di Grin, autore nato alla fine dell'Ottocento che, spunto dai moti socialisti, cominciò a scrivere le prime novelle dopo la rivoluzione russa del 1905. Il romanzo in questione venne scritto durante la Guerra Civile, mantenendo in sé un tono decisamente antimilitarista, nonché spirituale e romantico, che gli precluse il benestare degli editori dell'epoca. Tono che nel film di Marcello prende quasi le stesse strada, con le immagini in 4:3 che si rimpallano tra la figura di Raphaël e quella di sua figlia Juliette. Il loro rapporto è il filo conduttore del film, finendo per decostruire il concetto iniziale nell'esatto momento in cui si spezza: seguendo una direzione meravigliosamente anarchica Le Vele Scarlatte inizia a giocare con i tempi e con gli squarci naturali che intervallano l'evoluzione, portando in rilievo una modernità nascente rappresentata dall'arrivo di Jean (Louis Garrel) che incarna la fragilità e l'insicurezza maschile. Tutto il contrario di Raphaël, tutto il contrario dei preconcetti patriarcali e tossici. Ma gli elementi moderni all'interno dell'opera non finiscono qui, e anzi continuano nelle sfumature comunitarie che formano la famiglia allargata di Raphaël e di Juliette.

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Il realismo magico per un cinema puro

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Le vele scarlatte: un'inquadratura

Dietro gli aspetti narrativi, che si diramano tra racconto contadino e guizzi da inaspettata commedia, Le vele scarlatte annulla il concetto di film storico e azzera i modelli pre-costruiti, rifacendosi ad un metodo personale che mette al centro la fotografia e la musica. La creazione dell'opera da parte di Pietro Marcello (che dimostra ancora una volta la sua assoluta capacità registica) è essenziale e mai banale, rifacendosi ad un linguaggio capace di infondere freschezza ad una storia di partenza che potrebbe risultare all'apparenza estrema. Ad aiutarlo, come fossimo in pieno tumulto espressionista, la fotografia di Marco Graziaplena, che dona un respiro splendidamente artigianale alla visione, e la colonna sonora firmata da Gabriel Yared.

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Le vele scarlatte: un'immagine

Che sia la sceneggiatura, il romanzo iniziale, oppure la fotografia o la musica, l'insieme generale de Le Vele Scarlatte diventa l'esempio da proteggere: il cinema può e deve ancora essere qualcosa di puro e di assoluto, affiancandosi ad una dimensione produttiva la più umana possibile. Perché alcune volte, quando non si hanno confini all'orizzonte, si tende a strafare e ad inseguire un'artificiosità che depotenzia il senso ultimo di un racconto. E Pietro Marcello, che sia accompagnato da un dolce bufalo, da un marinaio o che riveda in chiave futuristica un romanzo del 1923, resta fedele alla sua idea e alla sua natura, finendo ancora per stupirci con quel realismo magico tanto vicino al concetto di sogno e di cinema stesso.

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Conclusioni

Una dimensione magica per un romanzo del 1923: concludiamo la nostra recensione de Le Vele Scarlatte rimarcando il talento registico di Pietro Marcello, capace di farci riappropriare di un cinema artigianale, nonché dai tratti leggeri e brillanti.

Movieplayer.it
4.0/5
Voto medio
4.2/5

Perché ci piace

  • La regia di Pietro Marcello, dalla dimensione artigianale.
  • La fotografia, che ci trasporta in uno spazio rurale e contadino.
  • La modernità della sceneggiatura.
  • I toni che si diramano tra un realismo magico e una sorprendente leggerezza.

Cosa non va

  • Ovviamente non è un film rivolto ad un pubblico troppo generalista.