Ce lo ricordiamo tutti marzo 2020. Noi di Movieplayer.it eravamo appena tornati dal Festival di Berlino e ci siamo ritrovati in un'Italia diversa da quella che avevamo lasciato due settimane prima. Berlino era stata una bolla, una parentesi di normalità lavorativa in cui quel che accadeva in patria arrivava con un debole riverbero, un'eco lontana e irreale. Tre anni dopo, ancora a Berlino, quel periodo è tornato protagonista con il documentario di Stefano Savona di cui vi parliamo in questa recensione de Le mura di Bergamo.
Un titolo chiaro e diretto che esplicita subito dove si concentrerà l'attenzione del regista, già apprezzato qualche anno fa per La strada dei Samouni: siamo nell'area da cui tutto è iniziato, almeno da noi, per fare un tuffo in quei drammatici mesi e riviverli con la giusta e doverosa distanza temporale, quella necessaria a osservare e riflettere.
L'occhio su Bergamo
Stefano Savona ci riporta a Bergamo tre anni dopo quei momenti drammatici e irreali, che hanno visto la città come epicentro della situazione che si stava sviluppando nel nostro paese. Una Bergamo rintanata dentro le sue mura, come il titolo lascia intuire, ferita da un morbo che ancora non ci era ben chiaro, isolata nei confronti dell'esterno e nelle strade deserte. Una città ferita che però cerca di reagire come può, con le forze a sua disposizione, con le persone che cercando di trovare un ruolo in quello che sta accadendo. Lo fanno ovviamente medici e personali sanitario, ma lo fanno anche quelli che non sono direttamente coinvolti nella tragedia in atto, che si mettono a disposizione della comunità.
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L'aspetto umano
Questi individui sono al centro del racconto de Le mura di Bergamo, perché è attorno a loro che Stefano Savona costruisce la storia che ci vuole raccontare. Una storia di un'umanità che non ha intenzione di arrendersi e che rappresenta la linfa vitale della città che è protagonista: Savona ci mostra e racconta la Bergamo di quelle difficili settimane, ma lo fa mettendo in primo piano le persone che la rendono viva, seguendole durante e dopo i momenti più difficili del marzo 2020, focalizzandosi sulle loro storie, sottolineando parole e sguardi, enfatizzando i collegamenti tra loro per dimostrare come e quanto rappresentino il tessuto connettivo della città.
Da marzo a marzo, la giusta distanza
Per questo Stefano Savona insiste poco sull'aspetto politico della situazione, perché è sulle persone che intende soffermarsi, per capire come è stato affrontato quel periodo così unico e difficile. Ed è giusto proporci questo spaccato a distanza di tre anni, da quella cosiddetta giusta distanza che ci permette di osservare il trauma con la freddezza necessaria per non riviverlo ed analizzarlo più nel profondo. Una distanza emotiva dalla quale le immagini sono forti, anche se non tra le più drammatiche viste nelle settimane più calde della situazione pandemica italiana, e colpiscono. Abbiamo iniziato a dimenticare quel che è stato, quello che abbiamo vissuto, e un documento come Le mura di Bergamo di Stefano Savona serve anche a questo: non permetterci di dimenticare quei volti, quelle persone, quei drammi.
Conclusioni
Presentato a Berlino e ora in sala, il documentario di Stefano Savona di cui vi abbiamo parlato nella recensione de Le mura di Bergamo è un documento prezioso su quelli che sono stati i primi mesi di pandemia nella città lombarda, la prima a essere colpita in modo doloroso nel nostro paese. Il regista ci mostra immagini che è giusto non dimenticare e racconta storie che è giusto conoscere e comunicare al pubblico.
Perché ci piace
- Le immagini di quel marzo 2020, preziose pur nel loro dolore, perché documento importante di quanto accaduto in quelle difficili settimane.
- L’attenzione alla componente umana che ha tenuto insieme la comunità nel corso di quel periodo difficile.
- La mano di Savona, abile nel cogliere sguardi, parole e storie.
Cosa non va
- Qualcuno potrebbe preferire non tornare a vivere quel periodo.