"And the Oscar goes to... by a nose, Nicole Kidman". È rimasta proverbiale la frase con la quale, il 23 marzo 2003, Denzel Washington annunciò il premio Oscar come miglior attrice a Nicole Kidman, che nei mesi precedenti aveva polarizzato l'attenzione della stampa e i commenti del pubblico non soltanto per la sua sofferta interpretazione nel ruolo della scrittrice Virginia Woolf, ma soprattutto per il naso finto che i truccatori le avevano fatto 'indossare' nel film The Hours, appannando così l'avvenenza della fascinosa diva di Moulin Rouge e The Others.
Ancora oggi, il naso finto di Nicole Kidman continua ad essere considerato il simbolo di una regola non scritta, ma applicata assai di frequente dai giurati dell'Academy e delle varie associazioni di premi: tramutare il proprio aspetto, in particolare quando si tratta di 'imbruttirsi' per esigenze di copione, è un espediente che di rado passa inosservato fra chi stabilisce come distribuire candidature e trofei nel corso della awards season. Una regola che, del resto, ha dato adito a molte annotazioni - più o meno smaliziate - su quanto il 'nasone' della Woolf abbia influito sull'Oscar alla Kidman.
L'Oscar e il make up: da Redmayne e Carell, tornando al passato
Si tratta di un episodio emblematico all'interno di una casistica estremamente ampia e variegata, come del resto tutti gli appassionati della Oscar race ben sapranno: cambiare le proprie sembianze, tramutarsi in un personaggio celebre e avere a disposizione un buon truccatore sono elementi in grado di attirare l'interesse di critica e spettatori (spesso anche più del dovuto). E gli esempi, in tal senso, non sono mancati neppure nel corso dell'ultima edizione degli Oscar: da Eddie Redmayne, vincitore del premio come miglior attore anche grazie ad una stupenda performance in grado di restituire con aderente fedeltà il ritratto dello scienziato Stephen Hawking, affetto da una progressiva paralisi, nel biopic La teoria del tutto, a Steve Carell, candidato nella stessa categoria per la parte del milionario John du Pont in Foxcatcher - Una storia americana, che ha richiesto a Carell di ricorrere ad una discreta quantità di trucco prostetico (e, pure in questo caso, a un naso posticcio); senza dimenticare Meryl Streep in versione fattucchiera nel musical Into the Woods, che è valso alla First Lady di Hollywood la sua diciannovesima nomination all'Oscar vestendo i panni di una spaventosa strega dai capelli blu elettrico.
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La suddetta tendenza, da sempre ben presente fra i membri dell'Academy, sembra tuttavia essersi intensificata in misura esponenziale negli ultimi anni, come si può rilevare anche limitandosi a prendere in considerazione soltanto i vincitori dell'Oscar (tenendo conto pure dei 'semplici' candidati, gli esempi si moltiplicherebbero in maniera impressionante). Una tendenza abbastanza contenuta, tutto sommato, negli anni Novanta, per i quali i casi più eclatanti rimangono quelli di una coppia di stimatissimi veterani della recitazione ricompensati per ruoli che hanno richiesto un ausilio a dir poco abbondante da parte del reparto make up: Martin Landau, che nel 1994 ottenne l'Oscar come miglior attore supporter prestando il volto all'ex divo dell'horror Bela Lugosi nel film Ed Wood (che non a caso vinse una seconda statuetta per il miglior trucco); e Judi Dench, alla quale nel 1998 bastarono appena otto minuti sullo schermo per aggiudicarsi l'Oscar come miglior attrice supporter per Shakespeare in Love, in cui la Dench si calava nei regali panni di Elisabetta I con l'aiuto di una vistosa parrucca e di cipria in gran quantità.
Dive trasformiste: Hilary Swank, Nicole Kidman e Charlize Theron
Nel 1999, è una Hilary Swank appena venticinquenne a conquistare il premio Oscar come miglior attrice per la sua struggente prova nel ruolo di Teena Brandon, ventenne transgender nata donna, ma spinta dalla propria natura più intima ad assumere il look di un maschio, in Boys Don't Cry, pellicola tratta dalla reale vicenda di Brandon Teena. La Swank, all'epoca un'emergente pressoché sconosciuta, stupì il pubblico per la sua capacità di rendere alla perfezione l'androginia del protagonista, il cui animo maschile prende il sopravvento sul sesso di origine. Non si è trattato dell'ultima performance in cross dressing ad essersi meritata i favori dell'Academy in questa categoria, come dimostrano le nomination nel 2005 per la splendida Felicity Huffman di Transamerica e nel 2011 per la magnetica Glenn Close in abiti maschili in Albert Nobbs. Il 2002 segna invece il trionfo di Nicole Kidman, alla quale il naso finto permette di risultare ancora più simile a Virginia Woolf nel suo segmento del dramma al femminile The Hours.
Appena un anno dopo è un'altra attrice di indubbia bellezza, Charlize Theron, tra le star più seducenti di Hollywood, a mettere in ombra la propria avvenenza, fino ad imbruttirsi con un trucco tale da renderla semi-irriconoscibile, per un film dal titolo che non lascia dubbi: Monster. Il suddetto titolo, in realtà, è riferito alle azioni 'mostruose' commesse dalla protagonista dell'opera, Aileen Wuornos, una prostituta che lascia dietro di sé una scia di sangue commettendo numerosi delitti. Altro film tratto da una storia vera, come Boys Don't Cry, Monster fa ottenere a furor di popolo alla Theron l'Oscar come miglior attrice del 2003.
Nei panni di un'icona: da Ray Charles alla Hepburn, da Capote a Edith Piaf
Se c'è chi ha vinto un Oscar mettendo in sordina la propria bellezza o la propria femminilità, un metodo ancora più rapido ed efficace per accattivarsi le simpatie dell'Academy è senz'altro - e praticamente da sempre - quello di cimentarsi con il ruolo di un'icona: non a caso i film biografici sono uno dei generi prediletti dai membri delle giurie dei premi, e quando al centro di una pellicola abbiamo un personaggio di straordinaria fama e di immediata riconoscibilità, allora aumentano pure le quotazioni per l'Oscar. Ne sanno qualcosa Jamie Foxx e Cate Blanchett, i quali nell'edizione del 2004 si sono imposti grazie alle loro performance nei panni di due miti dello show business: Foxx si è immedesimato nella parte di Ray Charles, genio del soul e dell'r&b, nel biopic Ray, conquistando la statuetta come miglior attore, mentre la Blanchett ha ricevuto il suo primo Oscar, nella categoria per la miglior attrice supporter, offrendo un vivido ritratto della beniamina assoluta dell'Academy, ovvero la diva hollywoodiana Katharine Hepburn, nel kolossal The Aviator. Non si tratta, però, della 'trasformazione' più sorprendente della bravissima Cate, che nel 2007 riuscirà a lasciarci assai più stupefatti calandosi addirittura nei panni (maschili) di un alter ego di Bob Dylan nel caleidoscopico Io non sono qui.
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Un anno più tardi, nel 2005, è Philip Seymour Hoffman a reclamare l'Oscar come miglior attore per la sua meravigliosa interpretazione dello scrittore Truman Capote, assiduo frequentatore del jet set americano degli anni Sessanta; nel caso di Hoffman, non è soltanto il look adatto a garantire all'attore l'entusiasmo della critica, ma soprattutto il suo lavoro sulla voce, modulata abilmente per replicare quella affettata e un po' stridula dell'autore di A sangue freddo. Altra icona indiscussa è ovviamente Edith Piaf, regina della canzone francese e interprete di sublime talento; così come è sublime il talento di Marion Cotillard, alla quale è affidato il non facile compito di far rivivere il mito e la dolente umanità della Piaf nel film biografico La vie en rose, trasformando la bellezza classica del proprio volto per riprodurre il repentino decadimento fisico del suo personaggio. Grazie alla sua struggente performance, nel 2007 la Cotillard diventa la prima attrice a vincere un Oscar recitando in lingua francese, mentre al film viene attribuita pure la statuetta per il miglior trucco.
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Un'altra performance ammirevole per il suo mimetismo, e in assoluto fra le interpretazioni più premiate degli ultimi dieci anni, è quella offerta da una signora del cinema britannico, Helen Mirren, che nel 2006 impersona nientemeno che il ruolo della sovrana attualmente in carica, Elisabetta II, nel film The Queen: all'esito sensazionale ha contribuito in parte anche il trucco, ma in questo caso va reso onore alla Mirren, ricompensata con l'Oscar come miglior attrice, per l'abilità nell'esprimere le sfumature psicologiche della sua Regina pur con una prova trattenuta e sotto le righe. Ci sono invece casi in cui è un'acconciatura particolarmente bizzarra a stagliarsi nella memoria dello spettatore, tanto da diventare perfino oggetto di parodie a dispetto del carattere sinistro del personaggio in questione: è quanto accaduto al divo spagnolo Javier Bardem, premio Oscar come miglior attore supporter 2007 per il raggelante ruolo del sicario professionista Anton Chigurh nel thriller Non è un paese per vecchi.
Un make up sensazionale e terrificante è quello che nel 2008 permette all'attore australiano Heath Ledger di tramutarsi nell'arcinemico di Batman, il diabolico Joker, nel blockbuster Il cavaliere oscuro. Contraddistinto dal ghigno mefistofelico che si allunga su una maschera di cerone bianco, l'indimenticabile Joker è valso a Ledger un Oscar postumo come miglior attore supporter. E giusto a proposito di Batman, è decisamente peculiare il caso di Christian Bale, interprete britannico noto per gli incredibili cambiamenti a cui, nel corso degli anni, ha sottoposto il proprio fisico: dal muscoloso ed atletico Bruce Wayne nella saga del cavaliere oscuro allo scheletrico protagonista de L'uomo senza sonno, per arrivare nel 2010 ad un altro drastico dimagrimento per la parte dell'ex pugile Dicky Eklund in The Fighter, film che fa vincere a Bale l'Oscar come miglior attore supporter. Ma non è finita qui: nel 2013, infatti, l'ex Batman torna in competizione agli Oscar (questa volta nella categoria principale) grazie ad American Hustle - L'apparenza inganna, in cui al contrario compare grasso, gonfio e pelato, agli antipodi rispetto alla prestanza dell'Uomo Pipistrello.
Performance da Oscar: Lincoln, la Thatcher e la coppia di Dallas
Negli anni più recenti, come abbiamo rilevato in apertura, il binomio fra trasformazione fisica e consenso dell'Academy si è rinsaldato ulteriormente, tanto da aver tirato la volata verso la vittoria ad alcuni dei più talentuosi interpreti del panorama cinematografico. A partire dalla succitata Meryl Streep, che dopo aver inseguito per quasi trent'anni la terza, agognata statuetta della sua carriera, nel 2011 riceve finalmente un altro Oscar come miglior attrice grazie al biopic The Iron Lady. E se la bravura a dir poco mostruosa della Streep non si può certo mettere in discussione, nel film dedicato alla carriera politica del Primo Ministro britannico Margaret Thatcher un imprescindibile valore aggiunto è senz'altro l'opera di un trucco da Oscar che ha permesso alla nostra Meryl di acquisire un'enorme somiglianza con la Lady di Ferro. Ma il trucco si rivela fondamentale pure per modificare i connotati dell'irlandese Daniel Day-Lewis quel tanto che basta per renderlo pressoché identico all'immagine del più celebre fra i Presidenti degli Stati Uniti d'America: Abraham Lincoln. Ed è appunto il dramma storico Lincoln a far guadagnare a Day-Lewis, nel 2012, addirittura il suo terzo Oscar come miglior attore.
Arriviamo così al 2013, quando sul versante maschile a fare piazza pulita di tutti i trofei in palio, inclusi gli Oscar per il miglior attore protagonista e supporter, sono gli eccezionali interpreti di Dallas Buyers Club, dramma sull'AIDS che fa ottenere la statuetta sia ad uno stupefacente Matthew McConaughey, sia a un Jared Leto davvero inedito. Per McConaughey, impegnato nel ruolo biografico di Ron Woodroof, rude texano il quale scopre di essere stato contagiato dal virus dell'HIV, la sfida principale consiste in una clamorosa perdita di peso (circa venti chili) in modo tale da assumere l'aspetto smunto e fragile del suo personaggio. Un impressionante dimagrimento (quasi quindici chili) è pure quello del suo comprimario Jared Leto, per il quale la 'trasformazione' consiste però anche nello sfruttare i suoi tratti delicati al fine di risultare credibile indossando gli abiti femminili dell'aggraziata Rayon, transessuale malata di AIDS che diventerà la socia e l'amica di Woodroof.
Ed infine, continuando a parlare di attori trasformisti, tra le performance più recenti, torniamo a parlare di Eddie Redmayne (ebbene sì, ancora lui!). Dopo l'Oscar vinto per La teoria del tutto, Redmayne è di nuovo candidato per il ruolo dell'artista danese Lili Elbe, il primo transgender di cui si abbia notizia, nel dramma The Danish Girl, in uscita nelle prime settimane del 2016. Una candidatura che appare scontata, dal momento che l'Academy ama così tanto le trasformazioni, l'occasione di ricandidare il "campione in carica" per la parte del primo 'trasformista' della storia nell'ambito dei generi sessuali era veramente troppo ghiotta... gli aspiranti concorrenti sono avvisati!
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