Le colline della vendetta
Il connubio tra western australiano e festival di Berlino qualche anno fa aveva prodotto The Proposition, crudo e insuperabile racconto di riscatto e vendetta, capace di dire davvero qualcosa di nuovo sul genere. Quest'anno, nell'edizione del sessantenario, sempre nella sezione Panorama, è la volta di Red Hill, film di spessore chiaramente inferiore, ma gustoso western, molto essenziale e diretto, smaccatamente commerciale, ma capace di un entusiasmo "rock" contagioso.
Dopo una gravidanza finita male, apparentemente per motivi di eccessivo stress, al giovane ufficiale di polizia Shane Cooper e a sua moglie viene consigliato di trasferirsi in una realtà più quieta e confortevole. Ottenuto il trasferimento nella silente Red Hill, Cooper si trova catapultato in uno scenario irreale, da wecchio western, con tanto di strade non asfaltate e cavalli e una gestione delle forze di polizia alquanto ambigua. Ma prima di terminare la sua prima noiosa giornata, l'improvvisa notizia dell'evasione di prigione dell'omicida Jimmy Conway sconvolge l'equilibrio della silente cittadina, pronta a diventare teatro di una sanguinolenta vendetta che nasconde una grave colpa di cui si è macchiata la comunità.
La sceneggiatura è talmente esile da sembrare quasi quella di uno slasher, sia negli sviluppi e negli approfondimenti psicologici, che nella figura del vendicatore furioso e silente che potrebbe essere un perfetto epigono di Michael Myers e che si dimostra figura scenica divertente e carismatica, con tanto di twist finale giustificatorio che porta l'audience definitivamente dalla sua parte. Ryan Kwanten, noto per il ruolo del mitico Jason Stackhouse nella serie True Blood, sostanzialmente non è capace (ce ne eravamo già ampiamente accorti nella serie cult di Alan Ball) ma è paradossalmente a suo modo perfetto per un ruolo così fumettoso, con quella sua eterna e sublime espressione da macho per caso che genera riso e tenerezza allo stesso tempo.