Le Assaggiatrici, stesso piatto, diverso gusto: le differenze tra romanzo e film

Il film di Silvio Soldini aveva un compito non sempre facile: trasporre sul grande schermo l'acclamato romanzo di Rossella Postorino. Ma quali sono le differenze sostanziali tra le due opere? Scopriamole insieme.

Le Assaggiatrici differenze film e romanzo

Il cibo che scende non ha nulla di piacevole. Nel suo passaggio tra lingua ed esofago non c'è alcun senso di goduria a placare la fame di una pancia vuota. Ogni cibo masticato, e poi gettato con fatica giù per la gola, per Le Assaggiatrici nate dalla penna di Rossella Postorino e ora portate in vita da Silvio Soldini, può tramutarsi, infatti, in arma letale.

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Il tavolo della paura

Rosa, Elfriede, Leni, Heike e le altre, non sono donne qualunque; sono cittadine tedesche chiamate a svolgere un compito tanto appagante sulla carta, quanto pericoloso nella sostanza: assaggiare le pietanze destinate a Hitler così da confutare se siano avvelenate o meno. La mano che tiene a stento una forchetta, tra le pagine della Postorino si sporca di angoscia, come un abito su cui si getta del sugo. Sono parole intinte in un pinzimonio di timore, paura, e poi fatte rosolare a fuoco lento. Uno stato di allerta che Silvio Soldini restituisce perfettamente nella potenza di una ripresa abbassata e frontale, inquadratura atta a immortalare chi è chiamato a rimanere seduto a tavola.

Le Assaggiatrici, o voce del verbo "restare sedute"

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Le attrici insieme al regista

Ed è così che Rosa e le altre vengono immortalate: sedute... sedute su una sedia, su un prato, su un'altalena. I loro sono corpi bloccati in un'eterna posizione e - per esteso - perennemente rinchiusi nel loro ruolo di assaggiatrici. Non corrono, non ballano, Rosa e le altre. Al massimo si distendono nell'assaggio fugace di un desiderio, di una passione, di un cuore che torna a battere al ritmo di costanti sensi di colpa. Una limitazione di gestualità, movimento e prossemica, che il film di Soldini esacerba, allontanandosi dal romanzo della Postorino.

Un ballo, un incontro in bagno, o la donazione di un abito: sono tanti e piccoli eventi che gli sceneggiatori (tra cui lo stesso Soldini e Cristina Comencini) decidono di eludere, sacrificandoli sull'altare di un ruolo entro cui le stesse protagoniste vengono imprigionate. Sarà solo con l'attentato ai danni di Hitler del 20 luglio 1944 (passato alla storia come "Operazione Valchiria", che la Postorino racconta, mentre Soldini solo accenna) che qualcosa finalmente si rompe e Rosa e le altre assaggiatrici potranno alzarsi da tavola e imparare a (soprav)vivere in un mondo fatto di sfumature di grigio.

Troppe sfumature di grigio

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Una scena de Le Assaggiatrici

Eppure, nel romanzo della Postorino qualche colore sembra far breccia tra le pagine. Lo fa nella descrizione degli abiti eleganti di chi "viene dalla capitale", come quelli della sua protagonista; lo fa nel cielo che fa da coperchio agli incontri clandestini tra la donna e il suo amante/aguzzino nel fienile dei suoi suoceri; lo fa quando la guerra viene un attimo messa in pausa e il nastro della vita lasciato momentaneamente scorrere. Nel film di Soldini, invece, non c'è spazio per un verde speranza, o un giallo acceso, se non nello spazio di un fagiolino, o di una torta forse avvelenata. Tutto nel mondo de Le Assaggiatrici è rivestito da una crosticina bruciata, decorata dalla polvere di un incubo che assorbe la luce, colorando tutto di grigio.

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Limare il livore personale, e perdere di umanità

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Rosa e Albert amanti ne Le Assaggiatrici

È praticamente impossibile compiere pedissequamente la traduzione di un libro nella sua versione cinematografica: è impossibile perché vanno compiute delle scelte dettate dal tempo, dalla tipologia di pubblico a cui rivolgersi, e soprattutto dalla versione personale che di quel libro sceneggiatori e realizzatori hanno prodotto nella propria mente. Eppure, tra Le Assaggiatrici della Postorino e quelle di Soldini vige una differenza sostanziale che va a ritrovarsi nell'animo stesso della sua protagonista. La Rosa del romanzo è una donna in attesa di un marito che chissà se tornerà, ma è anche una donna fatta di carne e ossa, pronta a cadere nella tentazione. E ogni sera Rose cederà tra le braccia del suo amante (il comandante delle SS Albert Ziegler). Lo vuole, Albert, anche se sa che non è giusto: non lo è nei confronti del marito in guerra, non lo è nei confronti dei suoi suoceri, e nemmeno per sé, o per i suoi valori.

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Rosa nelle fasi finali del film

Si anima in lei un disgusto personale che coglie, smuove e allontana il personaggio di Rosa da se stessa, ma che paradossalmente la spinge bruscamente, come una corrente sulla battigia, verso quell'uomo da cui si sente attratta e forse innamorata. Una lotta interna che il film di Soldini lima fino a ridurre al grado 0. La relazione clandestina viene mostrata, l'attrazione viene magicamente restituita, ma quell'orrore per se stessa, lo sconforto e il senso di ripugnanza che affligge la donna, si perde invano. Ed è proprio sulla scia di tale mutamento che si muove sottilmente un ulteriore scarto tra le due opere: la presenza/assenza di Gregor.

Fotografie di un marito passato

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Un attimo di allegria

Tra le pagine della Postorino il marito di Rosa è un fantasma onnipresente; sebbene non faccia capolino sulla scena, è un pensiero talmente profondo, un'idea talmente assillante da far sentire lo stesso la sua tangibile presenza. I ricordi scorrono danzando con il dolore del presente; la fotografia che la donna osserva, o le lettere che legge, prendono vita, teletrasportando illusoriamente l'uomo a fianco la donna amata. Nell'opera di Soldini, Gregor si riduce invece a un solo ritratto fotografico. È un nome, un ruolo ("mio marito"), ma nulla più. Questa limitazione è essenziale per acuire il ruolo giocato dalla donna e dal suo amante, ma allo stesso tempo per svuotare Rosa di ogni sostrato umano. Lei deve rimanere un'assaggiatrice, un automa privo di sensazioni. Ecco spiegato il motivo per cui tante scene compiute in bagno, lungo la riva di un lago, o nella sala di un cinema, vengono tralasciate. Soldini e i restanti sceneggiatori sembrano piuttosto estinguere ogni slancio umano delle proprie protagoniste, così da rinchiuderle in quei ruoli a loro affidati, tra l'orrore e il piacere, la bontà e la nausea, la paura e il godimento.

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Rosa e i suoceri

Per quanto debole nella restituzione di quel senso di orrore che affigge ogni pensiero della propria protagonista, Le Assaggiatrici di Soldini è un'opera che va lodata per la volontà di trasporre una pagina inedita su quella che è stata (e purtroppo ancora è) l'ordinarietà bellica; una pagina plausibile di civili sacrificati (soprattutto se di sesso femminile) in un gioco a eliminazione non così distante da quello contemporaneo. Un gioco macabro pronto a ripetersi come il rito di un pasto mal digerito, e pronto a essere riversato sul piatto dell'angoscioso terrore.