In una celeberrima sequenza di Acque del sud, un classico del cinema d'avventura diretto da Howard Hawks nel 1944, una ragazza appena diciannovenne si rivolgeva con sfrontata malizia al "duro" per eccellenza del grande schermo, Humphrey Bogart, pronunciando le seguenti battute: "You don't have to say anything and you don't have to do anything. Not a thing. Oh, maybe just whistle. You know how to whistle, don't you, Steve? You just put your lips together and... blow".
La bionda e bellissima femme fatale che "insegnava" a Bogey a fischiare rispondeva al nome di Betty Joan Perske, ma fin dall'inizio della sua carriera il pubblico l'ha sempre conosciuta come Lauren Bacall: ad assegnarle questo pseudonimo fu proprio Hawks, convinto dalla moglie Nancy a convocare per un provino quella giovanissima modella comparsa in una piccola foto su Vogue. Hawks e sua moglie Nancy ci avevano visto giusto: Acque del sud, difatti, avrebbe segnato l'esordio di una delle più grandi dive della Golden Age di Hollywood, il cui sguardo, carico di fierezza e di magnetismo, le sarebbe valso vita natural durante il soprannome The Look.
Un'icona senza tempo
Nella giornata di ieri Lauren Bacall ci ha lasciato con discrezione, mentre il mondo del cinema era ancora in pieno lutto per la scomparsa di un'altra icona della settima arte come Robin Williams. La dipartita di Lauren, tuttavia, non è stata affatto scioccante e drammatica come quella di Williams: la signora Bacall si è spenta in serenità, nel suo appartamento nell'Upper West Side di Manhattan, affacciato su Central Park. Il suo cuore, giunto alla soglia dei novant'anni (li avrebbe compiuti il prossimo 16 settembre), ha semplicemente smesso di battere. Eppure, a dispetto dell'età avanzata, l'idea della pensione proprio non piaceva alla nostra Lauren: appena due anni fa aveva recitato in The Forger, piccolo film indipendente in cui affiancava l'idolo dei teenager Josh Hutcherson, mentre negli scorsi mesi aveva prestato come doppiatrice la sua inconfondibile voce, straordinariamente roca e sensuale, per il film d'animazione Ernest & Celestine e per un episodio della serie I Griffin.
Del resto, una delle ragioni dell'immensa popolarità della Bacall risiedeva proprio nella sua capacità di adattarsi al trascorrere del tempo e ai mutamenti dell'industria hollywoodiana pur rimandendo fedele a sé stessa, come ebbe occasione di osservare anche Robert Altman, che nel 1994 l'aveva diretta nel cast corale del film Prêt-à-Porter: "Non è mai rimasta bloccata nel passaggio da un'epoca all'altra. Pensate a quanti cambiamenti sociali e nei costumi si sono verificati, eppure la Bacall è sempre rimasta unica". Un'unicità che ha permesso alla sua carriera di proliferare ben oltre l'età d'oro del noir, affrancandosi dall'immagine di dark lady per continuare a regalare interpretazioni di gran classe in ogni stagione della sua vita.
La consacrazione e il matrimonio con Bogart
Nel nostro immaginario collettivo, Lauren Bacall è ricordata soprattutto accanto ad Humphrey Bogart in quattro pietre miliari del genere thriller e noir degli anni Quaranta: dopo l'esplosivo Acque del sud, i due attori tornarono a recitare fianco a fianco ne Il grande sonno (1946), capolavoro del filone hard-boiled tratto dal romanzo di Raymond Chandler, sempre per la regia di Hawks, e poi ne La fuga di Delmer Daves (1947) e ne L'isola di corallo di John Huston (1948). La strepitosa alchimia fra Bogey e la Bacall, seconda forse solo a quella fra Katharine Hepburn e Spencer Tracy, rispecchiava del resto il legame che avevano instaurato anche nella vita privata. Il colpo di fulmine, manco a dirlo, era scoccato sul set di Acque del sud, ma nonostante il rischio di uno scandalo che avrebbe distrutto la neonata carriera della Bacall (Bogart a quel tempo era già sposato) i due avevano deciso di non rinunciare al loro amore, e nel 1945 erano diventati marito e moglie: un legame che sarebbe durato fino alla morte di Bogart, nel 1957. Il profondo feeling nella coppia trapelava con evidenza anche sullo schermo: basti pensare a un cult come Il grande sonno, in cui Lauren impersonava l'ammaliante Vivian Sternwood, la ragazza che irretiva il detective Philip Marlowe. I dialoghi del film, attraversati da sottintesi erotici clamorosamente trasgressivi per quegli anni, sono entrati nell'antologia del cinema: si ricordi soltanto la scena in cui Bogart e la Bacall discutono - in apparenza - di corse di cavalli, quando lui le dice "Lei ha classe, però non so se resiste alla distanza", e lei di rimando replica "Dipende da chi ho in sella...".
Gli anni Cinquanta: Curtiz, Minnelli e Sirk
Dopo aver accompagnato Bogey sul travagliato set de La Regina d'Africa, in compagnia della loro grande amica Katharine Hepburn e del regista John Huston (un'esperienza raccontata dalla Hepburn in un famoso libro), Lauren Bacall aveva deciso di selezionare i suoi progetti con cura, prediligendo la qualità alla quantità. Una scelta che aveva dato i suoi frutti: nel corso degli anni Cinquanta, l'attrice aveva dimostrato la propria versatilità in film di registro differente e molto apprezzati, da Foglie d'oro di Michael Curtiz (1950), accanto a Gary Cooper, alla commedia sbanca-botteghino Come sposare un milionario di Jean Negulesco (1953), uno degli archetipi del female-movie, in cui la sensualità composta e raffinata della Bacall creava un efficace contrasto con quella più frivola e sbrigliata delle sue comprimarie Marilyn Monroe e Betty Grable. Sempre per Negulesco aveva recitato ne Il mondo è delle donne (1954) e Dono d'amore (1958), mentre per la regia di Vincente Minnelli era stata protagonista de La tela del ragno (1955) e della fortunata commedia La donna del destino (1957), insieme a Gregory Peck. Nel 1965 invece aveva affiancato Rock Hudson in Come le foglie al vento, uno dei vertici del melodramma classico hollywoodiano, diretto da Douglas Sirk. Nel frattempo, dopo la morte di Bogart, Lauren Bacall aveva vissuto una breve relazione con Frank Sinatra (i due erano arrivati a un passo dal matrimonio) e, nel 1961, si era sposata in seconde nozze con il collega Jason Robards: un ménage, in questo caso, non troppo fortunato, concluso pochi anni più tardi a causa delle infedeltà di Robards e della sua dipendenza dall'alcool.
Dai trionfi in palcoscenico all'Orient Express
Dal compimento dei quarant'anni, la sempre splendida Lauren aveva diminuito i suoi ruoli al cinema - di questo periodo vale la pena ricordare unicamente Detective's Story (1966), nuova incursione nei territori del noir accanto a Paul Newman - dividendosi fra il set e il palcoscenico: dopo Fiore di cactus (1965), nel 1970 aveva conquistato il pubblico di Broadway interpretando la parte della diva Margo Channing, già impersonata da Bette Davis nel capolavoro Eva contro Eva, per il musical teatrale Applause, ricevendo il beneplacito della stessa Davis e aggiudicandosi il Tony Award come miglior attrice; un secondo Tony sarebbe arrivato nel 1981 per il musical Woman of the Year, questa volta nei panni già indossati da Katharine Hepburn nella commedia La donna del giorno. Il 1974 aveva segnato invece il suo ritorno al cinema nello stupefacente cast all-star di Assassinio sull'Orient Express, fastosa trasposizione del più noto romanzo giallo di Agatha Christie sul detective Hercule Poirot, per la regia di Sidney Lumet. A sorpresa, il film era valso a Ingrid Bergman un bizzarro Oscar come miglior attrice supporter; ma in realtà, a rubare la scena a tutti nella pellicola era proprio la Bacall, che nel ruolo dell'eccentrica e autoritaria Mrs. Belinda Hubbard riusciva a mettere in ombra perfino il Poirot di Albert Finney. Due anni più tardi, nel 1976, aveva recitato accanto ad altre due leggende della "vecchia Hollywood", John Wayne e James Stewart, ne Il pistolero, malinconico e crepuscolare western di Don Siegel, mentre nel 1980 aveva pubblicato un'autobiografia best-seller dal titolo Lauren Bacall by Myself, per la quale aveva conquistato il prestigioso National Book Award.
Gli ultimi ruoli e l'Oscar alla carriera
La sua "terza età", inaugurata dalla partecipazione a film come Misery non deve morire e Prêt-à-Porter, aveva procurato a Lauren Bacall nuove soddisfazioni professionali: il Cecil B. DeMille Award alla carriera ai Golden Globe del 1993, il premio César alla carriera nel 1995 e l'onoreficenza del Kennedy Center Honors nel 1997, per citare solo i maggiori trofei in riconoscimento per il suo contributo al mondo dello spettacolo. E finalmente, dopo oltre mezzo secolo di attività, anche l'Academy si era ricordata di lei: nel 1996, Lauren Bacall aveva ottenuto infatti la sua prima nomination all'Oscar grazie alla parte della vanitosa e sarcastica Hannah Morgan, la madre del personaggio interpretato da Barbra Streisand nella deliziosa commedia sentimentale L'amore ha due facce, che le era valso pure il Golden Globe come miglior attrice supporter. Un film in cui la Bacall, oltre a risfoderare un fascino senza età, strappava le risate del pubblico con le sue frecciate taglienti, ma suscitava anche momenti di autentica commozione nella sequenza del sincero confronto tra madre e figlia.
In seguito, perfino un cineasta lontanissimo da Hollywood quale il danese Lars von Trier aveva deciso di ingaggiare la diva ormai ottantenne: e la Bacall, che aveva sempre amato le sfide, non se lo era fatto ripetere, accettando di recitare prima nell'acclamato Dogville (2003), accanto a Nicole Kidman, e poi nel sequel Manderlay (2005). Una testimonianza, l'ennesima, della sua indomabile passione per il cinema e per l'arte della recitazione. E il 14 novembre 2009 era arrivato l'ultimo ed il più importante omaggio alla passione di Lauren Bacall per il set: il premio Oscar alla carriera. Accompagnato dal doveroso inchino con il quale l'intera Hollywood aveva celebrato l'ultima, vera diva della sua Golden Age. E la Bacall, radiosa e bellissima, stringendosi la statuetta al petto aveva esclamato, con la consueta ironia: "I can't believe it... a man, at last!". Addio, Lauren, e grazie di tutto.