Last Words, la recensione: uno strano film sulla (ri)nascita dell'uomo

La recensione di Last Words: la crisi climatica e il cinema come salvezza. Quello di Jonathan Nossiter è un film post-apocalittico che spinge sull'umanità ritrovata. Bella l'idea, un po' meno la messa in scena.

Last Words, la recensione: uno strano film sulla (ri)nascita dell'uomo

Che film strano, Last Words. A tratti risulta addirittura indecifrabile, nella sua disarmante purezza d'intenti. Intenti che si sovrappongono, che si sostituiscono, che si affiancano. Al centro, un'idea ben precisa. L'arte. L'arte come salvezza, come obiettivo, come speranza. E, soprattutto, l'arte cinematografica come profonda testimonianza, in quanto "se vieni filmato, esisterai per sempre". Per questo, Last Words, diretto da Jonathan Nossiter, è da intendere come una sorta di lascito, affidando al cinema stesso i frammenti di una memoria interrotta. Una memoria spezzata che il regista - come può e come crede - prova a ricostruire per mezzo dello stesso cinema, a cui dedica quello che potrebbe essere definito un post-apocalittico umano, lontano dalla realtà fantascientifica ma vicinissimo alla realtà di un futuro non così lontano.

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Last Words: una scena del film

Jonathan Nossiter, il cui film sarebbe dovuto essere presente all'edizione di Cannes 2020, mozzata dal Covid (scelto originariamente come titolo in selezione ufficiale), attraverso la sua - a tratti - bizzarra opera dichiara profondo amore verso la terra (tant'è che ora fa l'agricoltore) e verso la Settima Arte, elevandola quasi ad atto salvifico, a gesto miracoloso. Ma una salvezza - e quindi un miracolo - può essere possibile solo se prima c'è l'abisso più profondo. E oggi, secondo la sceneggiatura di Nossiter, firmata insieme a Santiago Amigorena (autore del libro da cui è tratto il film), l'abisso più pericoloso è anticipato dall'attuale e tutt'ora sottovalutata crisi climatica. Un mostro che incombe, inesorabile e gigantesco. È lì, sullo sfondo, un brusio fastidio, una pioggia più intensa, un grado in più sotto il sole. Eppure, il cambiamento drammatico è in atto. Non c'è più tempo.

L'ultimo uomo sulla terra

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Last Words: una scena del film

Ciononostante, Last Words non è il "solito" film green a tematica ambientale. È chiaro quanto l'argomento stia a cuore al regista, anche perché è proprio il climate change la scintilla che porterà l'azione in medias res: siamo nel 2086, l'anno che potrebbe segnare definitivamente la fine dell'umanità. Siccità e grandi alluvioni hanno resto la Terra un posto inospitale. Kal, interpretato dal non-attore Kalipha Touray (rifugiato gambiano, che ha "già vissuto la fine del mondo", secondo il regista), sta vivendo "l'orrore di essere l'ultimo uomo rimasto". Intorno a lui non c'è più nulla, né cultura, né bellezza, né natura. Tuttavia, dopo un lungo cammino, si ritrova in quella che una volta era Bologna.

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Last Words: una scena del film

Nello specifico, nel luogo che una volta era la Cineteca di Bologna (intravediamo un cartello...). Qui, incontra un vecchio regista che si fa chiamare Shakespeare (si vola basso...), col il volto stropicciato di Nick Nolte. L'uomo, spiega al ragazzo che l'unica strada che porta alla salvezza è quella che spinge a credere in qualcosa. Quel qualcosa, è il cinema stesso. Per questo, Kal, insieme a Shakespeare, intraprenderanno un percorso lastricato da personaggi assurdi (interpretati da diversi interpreti di peso, da Charlotte Rampling ad Alba Rohrwacher, fino a Stellan Skarsgård) e dalle macerie di una vita ormai lontana, si mette alla ricerca dei frammenti del cinema sperduto, con lo scopo di renderlo... ritrovato.

Il cinema come rinascita

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Last Words: una scena del film

Scrivendo la recensione di Last Words, cerchiamo di dissipare le inconsuete sensazioni provate durante la visione. Il motivo? La scrittura, e nello specifico l'idea, è di per sé folgorante: immaginare un mondo vittima di qualcosa di scientificamente annunciato, e immaginarlo come una landa deserta asciugata da qualsiasi bellezza. Un post-apocalittico dell'anima, lontano dai paradigmi sci-fi ma comunque legato alla forza dell'immaginazione. Sarà proprio l'immaginazione, sotto forma di cinema, a salvare l'uomo, e in un certo qual modo, a salvare lo stesso film di Nossiter. Profondamente legato all'Italia, il regista statunitense sceglie numerose clip di film italiani (c'è pure Totò!) per delineare il suo concetto salvifico, facendo sì che il cinema, mezzo d'altri tempi, diventi l'innovazione in un mondo che ha perso la sua anima. Perdere e ritrovare, uno spunto notevole, dal forte carattere narrativo.

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Last Words: una scena del film

In mezzo però c'è l'idea arruffata di Nossiter, sbilenco nel districare la sceneggiatura all'interno di una messa in scena che scricchiola, che si sciupa alla ricerca di un effetto che, alla fine, risulta sopito proprio per la costipazione dei diversi stili con cui Jonathan Nossiter si confronta. Non c'è dubbio che Last Words, per lui, sia stato un film dal forte valore personale: una causa sposata in pieno, la sua carezza verso la cinematografia, un atto di speranza che possa allontanare la parola fine. Come? Mantenendo viva la memoria, e quindi proiettandola su un telo bianco, in cui le emozioni tornano a splendere. Tutto bello, tutto giusto. Peccato la forma.

Conclusioni

Lo abbiamo scritto all'inizio della recensione: Last Words è un film strambo nella sua messa in scena, ma forte nella sua idea narrativa. Un mondo asciugato dalla bellezza e un futuro senza umanità, che potrebbe essere salvato dal cinema stesso. Per questo il regista, che oggi ha scelto di darsi alla terra (fa l'agricoltore), dichiara il suo amore per la Settima Arte, risultando però sconnesso nell'idea registica che vorrebbe dare alla sua pellicola.

Movieplayer.it
2.5/5
Voto medio
2.4/5

Perché ci piace

  • L'idea.
  • La scenografia.
  • Il cinema inteso come salvezza.

Cosa non va

  • La messa in scena, stramba e sconnessa.
  • Il doppiaggio italiano.