Bene o male, tutto è rappresentazione. Se reciti bene, inganni gli altri; se reciti male, inganni te stessa. Se non sai ingannare neppure te stessa, non ti restano che i fantasmi.
Due giovani donne si confrontano sulla natura della loro esistenza. Zhang Yimou ce le mostra in piedi l'una accanto all'altra, sul balcone interno del palazzo di loro marito, ciascuna con lo sguardo fisso davanti a sé; come su un palcoscenico, appunto. Vivere o recitare, del resto, è la dicotomia messa di fronte ai personaggi di Lanterne rosse: e se la vita è scandita da una serie di limiti e di norme, se è vincolata ad antichi rituali inviolabili, allora essa non può che somigliare ad una recita, le cui attrici risultano private di un'effettiva libertà. Tutto è rappresentazione, osserva con amarezza Meishan, la Terza Signora, che infatti proviene dal mondo dell'opera lirica e continua a esibirsi come soprano, per quanto ora il suo auditorio sia un cortile deserto. E chi meglio di un'artista può sapere che, in certi casi, recitare è l'unico modo per sopravvivere?
L'auditorio di Meishan è anche la cornice entro cui si svolge la storia raccontata da Zhang Yimou: la dimora nobiliare di Chen Zuoqian è il microcosmo in cui le sue quattro mogli consumano tutte le loro giornate, con ripetitività inesorabile, e rimane l'unica ambientazione dell'intero film ad eccezione del prologo, quando la Songlian di Gong Li, in seguito alla morte del padre, annuncia la propria decisione di abbandonare l'università e di accettare la proposta di matrimonio di Chen. La scelta di Songlian, che da allora vedrà la sua identità confluire in quella della Quarta Signora, è il punto di partenza di Lanterne rosse, adattato nel 1991 da Ni Zhen dal breve romanzo Mogli e concubine, pubblicato l'anno prima dallo scrittore Su Tong. Il 10 settembre 1991 Lanterne rosse viene presentato in contemporanea al Festival di Toronto e alla Mostra del Cinema di Venezia, dove si aggiudica il Leone d'Argento, primo tassello di una trionfale accoglienza in tutto il mondo.
Mogli e concubine nello sguardo di Zhang Yimou
Per il trentanovenne Zhang Yimou, originario di Xi'an, Lanterne rosse è il quarto lungometraggio da regista, dopo l'acclamato esordio nel 1987 con Sorgo rosso (tratto dall'omonimo libro di Mo Yan), il thriller Codename Cougar e il melodramma Ju Dou, prima pellicola candidata per la Cina all'Oscar come miglior film straniero. A un anno di distanza Zhang avrebbe ottenuto una seconda nomination all'Oscar proprio grazie al suo nuovo film, ma stavolta sotto i vessilli di Hong Kong: Lanterne rosse viene bandito infatti dalla Repubblica Popolare Cinese, dal momento che nel suo ritratto di un rigido sistema patriarcale la censura ravvisa una critica non troppo velata alla società e alla cultura nazionali. Osteggiato in patria, Zhang rincarerà la dose un anno più tardi con La storia di Qiu Ju; nel frattempo Lanterne rosse si dimostra un successo inaspettato, in grado di valicare i confini dell'Asia e di raggiungere un ampio pubblico tanto in America, quanto in Europa.
Perché se da un lato la trasposizione del libro di Su Tong si colloca in un contesto ben preciso, quello della Cina settentrionale degli anni Venti, dall'altro la triste parabola di Songlian assume da subito una valenza universale: sia rispetto a una condizione femminile ancora lontanissima da qualunque ipotesi di emancipazione, sia nell'ottica di una scissione fra il sé più autentico e il ruolo che si trova ad interpretare, per volontà o per costrizione. E nel diventare la nuova sposa di Chen Zuoqian, Songlian fa il suo ingresso non solo nello spazio fisico della casa del marito, ma pure in quello virtuale della partita giocata dal quartetto delle mogli-concubine. Una sfida in cui la Prima Sposa, l'ormai matura Yuru (Jin Shuyuan), si limita alla parte di spettatrice più o meno indifferente, lasciando che siano le tre donne venute dopo di lei ad affrontarsi nell'agone domestico per la conquista del massimo simbolo di prestigio: le lanterne rosse che, ogni sera, il padrone fa appendere alla soglia dell'appartamento della favorita di turno.
Il ruggito dall'Oriente: da Lanterne rosse a Lav Diaz, i 'Leoni' del cinema asiatico a Venezia
La Soniglian di Gong Li: vittima o carnefice?
Le lanterne, elemento assente dal romanzo, sono dunque il trofeo attorno al quale va in scena la quotidiana battaglia fra Songlian, determinata a difendere i propri diritti di ultima sposa, la volitiva Meishan (He Saifei), che fin dalla prima notte di nozze di Songlian non lesina i tentativi di riconquistare l'attenzione del marito, e la Seconda Signora, Zhuoyun (Cao Cuifeng), la quale dietro una maschera di gentilezza cela la subdola crudeltà che ne contraddistinguerà le mosse. Ago della bilancia in questo precario equilibrio di potere, il signor Chen (Ma Jingwu) rimane però volutamente "fuori fuoco": Zhang Yimou lo inquadra sempre in campo lungo oppure di spalle, quasi a renderlo un'entità per certi versi astratta, e al contrario riserva i primi piani solo alle sue consorti. È la società stessa a trasformare queste quattro donne in avversarie, e pertanto l'unica opzione possibile è scagliarsi l'una contro l'altra, secondo un meccanismo talmente ineluttabile da colorarsi delle fosche tinte della tragedia.
Dietro la compostezza formale, la costruzione geometrica delle inquadrature, le lunghe riprese fisse senza movimenti di macchina, Lanterne rosse svela quindi un'intensità logorante: un'intensità che si fa via via più accesa in prossimità dell'epilogo, accendendosi nel volto diafano di una straordinaria Gong Li. L'attrice cinese, partner di Zhang dai tempi di Sorgo rosso fino a La triade di Shanghai (i due torneranno poi a collaborare a partire da La città proibita), disegna qui una protagonista memorabile: dalla mansuetudine delle prime sequenze, la sua Songlian apprenderà in fretta le regole del gioco, sfoderando una ferocia i cui effetti saranno devastanti, ben oltre le intenzioni della ragazza. Fin troppo desiderosa di detronizzare le rivali, la Quarta Signora arriverà così ad abusare del proprio potere contro la domestica Yan'er (Kong Lin), perpetrando a sua volta una logica di vessazione e di violenza in cui lei è al contempo vittima e carnefice. E quando quella logica si farà insostenibile, a Songlian non resterà che ritirarsi dalla partita per vagare nella dimora come uno spettro; in fondo, come lei stessa ci aveva ricordato, "tra gli uomini e i fantasmi, la sola differenza è il respiro".