La rivincita della paura
L'argomento Scream va trattato con un certo riguardo. E' difficile dare un giudizio equilibrato di questo film. Diciamo subito, per evitare equivoci, che chi scrive lo considera uno dei migliori film del terrore dell'ultimo decennio e forse anche qualcosa di più.
Dicevamo che non è facile scriverne una recensione. Perché? Perché è il film che ha avuto l'indiscusso merito di riportare il pubblico nelle sale a vedere horror, risollevando un genere fino a pochi anni prima dato per morto. Perché ha generato dei seguiti non sempre all'altezza del capostipite, dando l'impressione che Craven, dopo questo fortunato exploit, fosse stato narcotizzato dalla pioggia di quattrini che si sono riversati su di lui. Perché ha dato i natali a un discutibile sotto-genere (il teen-horror) che ci ha regalato delle perle di pura spazzatura come So cos'hai fatto, Urban Legend e, ultimo ma non ultimo Valentine. Inoltre è uno dei pochissimi film "di paura" a fare anche ridere senza essere ridicolo; ha lanciato uno stuolo di giovani talenti, fra attori e sceneggiatori, che hanno poi invaso gli schermi cinematografici; ha iniziato la moda della strizzatina d'occhio cinefila, dell'autoreferenzialità che non ci permette mai di capire dove finisca la citazione e cominci la scopiazzatura, che ci fa vedere il tutto come un'elegante presa in giro, con l'impressione che il regista non voglia mai fare sul serio, anzi si diverta a farci credere che stia solo giocando, come un bambino mascherato per carnevale.
Non male per un filmetto a basso costo, sceneggiato da un esordiente e diretto da un regista, come Wes Craven, il cui ultimo film degno di qualche interesse risaliva al 1989 (Sotto Shock) e che veniva da un fiasco colossale come Vampiro a Brooklin. Fatto sta che quando Scream uscì, nel 1996, si ebbe l'impressione di assistere a un miracolo. Torniamo alla domanda principale: perché?
Semplice, era un film dell'orrore. Un film dell'orrore vero, con sangue, colpi bassi allo spettatore, salti sulle sedie, assassini imprendibili e voglia di spaventare, Dio sia lodato!
Mentre Jason e Michael agonizzavano in una serie di seguiti inguardabili buoni solo per il mercato home video e Freddy era tornato per l'ultima volta in un film senza dubbio importante e molto bello, ma poco visto, ecco che una nuova icona si presentava sulle scene a prendere il posto dei capostipiti da un lato, e dall'altro e rivitalizzare le loro carriere stantie (vedi Halloween H20,che sembra una copia del peggior seguito di Scream) .
Eppure il genere a cui Scream appartiene e che ha contribuito a rilanciare, esiste da sempre, ed è anzi uno dei filoni più redditizi dell'horror: stiamo parlando dello slasher movie, detto anche "assassino mascherato fa strage di giovani fanciulle", o anche "serial killer vs college americano".
Non ci vuole poi molto a riconoscere in Scream uno dei figli prediletti di Halloween - La notte delle streghe o Venerdì 13, anche perché sceneggiatore e regista ci fanno capire abbastanza chiaramente quali siano le influenze del film (basta pensare allo scorrere delle immagini di Halloween sullo schermo televisivo in casa dei protagonisti di Scream).
Le telefonate minacciose e bisbigliate le avevamo già viste un milione di volte, della vittima di turno giovane, carina e un po' antipatica ne avevamo le tasche piene, e anche dei killer imprendibili, mascherati, indistruttibili e praticamente immortali non sapevamo più che farcene.
Scream non fa altro, apparentemente, che riprendere tutte le tematiche e i cliches più abusati, sfruttati e riciclati di una qualsiasi produzione di serie Z.
Non appena sentiamo squillare il telefono, in casa della sfortunata Drew Barrymore, abbiamo l'impressione di trovarci in un territorio familiare, di camminare su binari prestabiliti: questa cosa ci piace, come da bambini ci piaceva sentirci raccontare a ripetizione la stessa favola, anche un milione di volte.
Nonostante questo, il film di Craven è un prodotto di un'originalità senza precedenti. Non è un clone di Halloween - La notte delle streghe, non un' imitazione pedissequa di un qualunque Venerdì 13, è, finalmente, un qualcosa di nuovo.
La novità sta appunto nelle mille facce che Scream mostra di possedere: è una parodia, ma fa paura, è una lezione di cinema, è una riflessione sugli stereotipi della paura, è un ingorgo di citazioni, difficilissimo da districare, è un gioco che si prende sul serio, destruttura e ridicolizza l'horror, ma è anche una dichiarazione d'amore per questo genere che Craven ha sempre praticato e che dimostra di conoscere benissimo.
Ed è un oggetto che trasmette inquietudine. Un oggetto non perfettamente comprensibile, che lascia turbati. Ora, questo senso di disagio che aleggia, appena percettibile in tutto il film, non è da imputare alla divertente sceneggiatura di Kevin Williamson, il quale forse, aveva in mente un divertissemant senza pretese. Il merito è tutto di Craven e delle sue ossessioni, lasciate in secondo piano rispetto ad altri suoi gioielli (ad esempio Il serpente e l'arcobaleno), appena intravedibili, striscianti, forse, ma ben presenti.
Diciamocelo, in mano a un qualsiasi altro regista Scream non sarebbe stato niente di che. Nessuno lo avrebbe preso sul serio. Invece, Wes Craven è un cineasta che si prende maledettamente sul serio, che crede sempre a quello che gira e che, anche divertendosi, anche giocando, riesce a lasciare nello spettatore la sensazione che quello che vede non sia solo un film.
Il senso di disagio comincia sin dalla prima, indimenticabile scena: l'omicidio di Drew Barrymore, forse uno degli incipit più riusciti di tutta la storia del cinema horror.
Il tono scherzoso dell'inizio si smorza quasi subito. Craven ci lascia appena il tempo di sorridere sui commenti che Casey fa a proposito dei vari seguiti di Nightmare - Dal profondo della notte ("Quel film dava i brividi" - "Solo il primo, però. Gli altri facevano schifo"). La battuta successiva è una doccia fredda: l'assassino può vedere Casey, quindi, è molto più vicino a lei di quanto si pensi.
La situazione è ancora più terrificante perché Craven non smette di fare dell'ironia. Tutti i gesti che Casey compie sono prevedibili e risaputi. Si chiude a chiave e noi sappiamo che in certe situazioni chiudersi a chiave è inutile; il solo fatto che alluda ad avere un ragazzo che "è grosso, gioca a football e ti caccerà tutti i denti in gola!", ci fa capire che il poveraccio è già spacciato.
E' il fatto che quella di Casey sia una morte annunciata che ci spaventa, perché Craven non da nessuna speranza alla ragazza e tutta la suspence sta solo nel capire quando, e dopo quali torture avverrà questa morte.
Il sadico accanimento con cui Craven porta il personaggio verso la sua fine, il carico di terrore che la costringe a sopportare, il modo in cui si prende gioco di lei facendo tornare i suoi genitori a casa, proprio mentre il killer le è addosso e la pugnala: tutto questo trasmette un senso di disagio profondo, fa male come un pugno in pieno volto, e fa male proprio perché l' impressione è che Craven si stia divertendo un mondo.
"E' un gioco" dice l' assassino al telefono.
"E' un gioco, state tranquilli" è come se ci sussurrare Craven all' orecchio, ma quando vediamo Drew Barrymore sventrata e appesa a un albero (un'inquadratura che dura una frazione di secondo, ma che non si dimentica) , ci rendiamo conto che è un gioco al massacro, che forse in quello che ci spinge ad andare a vedere la morte rappresentata sullo schermo c'è qualcosa di malsano, che il cinema stesso è un oggetto pericoloso, instabile, come nitroglicerina. Soprattutto, ci passa un attimo per la mente la sensazione che quando guardiamo uno schermo che proietta immagini, siamo anche guardati, da qualcuno, o da qualcosa...
Insomma, al di là delle citazioni, al di là dell' intento semi-parodistico, al di là delle rassegnate accuse che qualche critico ha voluto vedere, al vuoto e alla mancanza di valori degli adolescenti americani, Scream è essenzialmente una riflessione sul potere del mezzo cinematografico.
I film dell'orrore non creano nuovi pazzi, servono solo a rendere i pazzi più creativi: l'assassino mascherato di Scream avrebbe ucciso ugualmente, anche se non si fosse ispirato all'horror. Craven non ha nessun intento reazionario e tanto meno censorio quando ci dice di considerare il film come un oggetto potente, misterioso e straordinario. "L' horror è una forma d'arte sovversiva che riflette aspetti della società che non tutti vedono", dice Craven. O ancora: "L'horror trascina le persone nelle zone dell' inconscio che si visitano abitualmente solo durante il sonno o negli stati di allucinazione. E' un genere che tratta immagini e situazioni riflettenti l'angoscia dalla quale tutti siamo ossessionati, noi e tutti quelli della nostra cultura. In questo senso, i film dell'orrore sono primordiali".
Abbiamo accennato prima alla sensazione di essere guardati mentre guardiamo: il film è uno specchio, uno specchio che ci giudica e ci dice delle cose non sempre piacevoli. E' questo il suo potere, e questo è il senso ultimo di Scream. Lasciamo un'ultima volta la parola a Craven: "I film dell'orrore sono una variazione sulla paranoia (...). Trattano pensieri, emozioni e sensazioni che si collocano al di fuori del pensiero razionale, delle verità accettate e dei comportamenti considerati corretti. Materiale fuorilegge che quindi è fonte di turbamento. Da parte della società più chiusa e organizzata ci saranno sempre opposizione, shock e repulsione nei confronti dell'horror perché prevale il tentativo di controllare quanto più possibile l'irrazionalità e le verità più penose da accettare".