L'abbiamo sentito, palpabile nell'aria improvvisamente immobile, mentre le ultime immagini di Youth scorrevano magnifiche sullo schermo del Grand Théatre Lumière per la proiezione stampa del 68. Festival di Cannes, che qualcosa di singolare stava per succedere. Qualcuno si è alzato dopo un applauso di rito, ma quasi tutti sono rimasti immobili ad aspettare che arrivasse quel momento in cui il nostro impavido Paolo Sorrentino, calatosi infine nei panni del ritrovato eroe e maestro Fred Ballinger/ Michael Caine, si sarebbe fatto avanti per ricevere il suo tributo e i suoi fischi. Perché naturalmente a qualcuno dà fastidio che lui lo sappia, di aver aver girato un film splendido.
In realtà in Youth il Sorrentino funambolo e sfacciato è meno presente che in altri suoi film; ma è il direttore d'orchestra ai margini della performance che fa brillare i suoi solisti, ma soprattutto assicura che ci siano fluidità ed equilibrio al cuore dell'esibizione. Cosa che gli riesce stavolta come mai prima.
Le cose belle
Ha certamente senso che, al centro della sua personale ed emozionante riflessione sulla memoria e sulla vecchiaia, oltre che il regista interpretato da Harvey Keitel, Sorrentino voglia un musicista, direttore d'orchestra e compositore; per lui il cinema è sempre stato come una sinfonia, con tanti elementi che si rincorrono e si sovrappongono alla ricerca della bellezza assoluta, e per noi il suo cinema è come la musica, così bello e istintivo che non c'è bisogno di applicarsi per capirlo.
L'amicizia è uno dei temi portanti del film, e Fred e Mick, amici da sessant'anni, sono quasi la stessa persona: appunto, non c'è bisogno di applicarsi per capirlo. Non è la stessa cosa nemmeno per una coppia longeva; gli sposi condividono ogni cosa, la gioia e lo strazio, le emozioni e la noia, ma gli amici hanno l'opzione di condividere solo i momenti felici e le notizie liete - solo le cose belle, quelle che rendono più preziosa la reciproca compagnia. Fino a che punto lo scoprirete vedendo il film.
Sulla montagna incantata
È un pensiero naturale quello che, di fronte a questo idilliaco scenario alpino, di fronte a questo luogo liminale dove varia umanità converge per una lussuosa, indolente vacanza, corre a Thomas Mann e a uno dei massimi romanzi europei. Ma se Sorrentino guarda a Mann è per allontanarsene. Questa montagna incantata che assomiglia tanto al Berghof manniano non è pervasa dalla malattia e dalla morte, se Hans Castorp lascia la sua storia per andare a morire in guerra, Fred Ballinger, davanti a sé, ha le sterminate possibilità della giovinezza.
Basta anche solo un giorno, un'ora; magari sarà un anno. Lo diceva Cicerone nel De senectute, invitandoci attraverso i secoli a non morire prima del tempo: "Nessuno è tanto vecchio da non pensare di poter vivere un altro anno". Altro che Cicerone, Sorrentino il pensiero del futuro lo mette in bocca al suo eroe di gioventù Diego Armando Maradona, anche lui (fittizio) ospite del nostro Berghof: rovinato dagli stravizi, grottesco nella stazza, ma amichevole, grato, e ancora capace di dare calci a un pallone con gioia, El pibe in Youth è una tra le tante festose celebrazioni della vita di cui è disseminato il film e la battuta in questione ("A cosa stai pensando?" "Al futuro") ricorda talmente da vicino quella che chiude Mia madre di Nanni Moretti da creare un legame arcano e pieno di ottimismo tra i due meravigliosi film italiani in concorso in questa edizione del Festival.
Le emozioni sono tutto ciò che abbiamo
Si dice sempre che ai vecchi restano solo i ricordi; in Youth c'è una scena in cui Mick / Harvey mostra il passato e il futuro attraverso un binocolo alla sua giovane collaboratrice: il futuro è un enorme massiccio montuoso che sembra venirci incontro, tutto da esplorare, ammirare, scalare (come fa, letteralmente, la figlia di Fred, interpretata da Rachel Weisz); il passato è un'immagine deforme che si proietta lontano da noi. I ricordi ci sfuggono, mutano, e qualche volta si ripresentano inattesi; siamo fatti di ricordi e per questo siamo destinati a svanire, i più oscuri di noi come i più celebri.
Siamo fatti di ricordi ma non sono tutto quello che ci resta: finché respiriamo abbiamo un futuro, e la possibilità di sentire. Questa è la lezione di Mick, che non si sazia della sua lunga carriera e ha sempre bisogno di un nuovo progetto, di un ultimo film, al suo amico che, lasciando la musica, ha lasciato tutto il resto, spegnendosi come sua moglie, dimenticando la vita prima della morte.
Che musica, maestro
Accanto a questo insegnamento, che abbiamo sentito altre volte ma che raramente è stato trasmesso con tanta commovente purezza, ruota il piccolo mondo dell'hotel alpino, ruota un film che pieno di vita, orchestrato come una sinfonia, ma stavolta senza sbavature e senza eccessi. Paolo Sorrentino non si nasconde, sarà sempre l'artista che è, uno che non ha paura di far vedere quanto è bravo, ma qui anziché lasciarsi andare ai virtuosismi e alle immagini d'effetto si mette al servizio di un sentire universale, e si affianca premuroso, sincero, al suo protagonista e al suo pubblico.
Movieplayer.it
4.5/5