Nel segno di James Wan. Pochi, se non nessuno, degli altri filmaker hollywoodiani hanno saputo imporre in questi anni la visione de la propria Casa degli Orrori come questo artigiano-cineasta di origini malesi. Deflagrando veri e propri fenomeni horror capaci non solo di scalare le vette del box office worldwide ma di creare le dinamiche per una altrettanto redditizia richiesta di produzioni seriali (la fiera sadica di Saw - L'enigmista, da Insidious fino al secondo capitolo Oltre i confini del male - Insidious 2), senza mancare dei consueti spin-off a farne da contorno (vedi il successo del recente Annabelle).
Con un occhio, linguaggio e stile calibratissimo ormai facilmente decodificabili per il pubblico, già desideroso di compiere un atto di fede nonché di salire dentro un ottovolante sinfonico che risponda alle parole di profondo viaggio nel terrore. Per una lunga cavalcata ed oscura visione ben al di sopra della media fra le produzioni a tema possessioni degli ultimi tempi.
Il buio oltre la siepe
Dopo la parentesi blockbuster Fast & Furious 7 (sesto incasso della storia del cinema), dev'essere stato come tornare a casa per Wan, verso un crescendo di brividi e incubi in grado di far rimanere inchiodati alle poltroncine del multiplex. Perché sotto la sua formicolante spina dorsale The Conjuring - Il caso Enfield, sequel de L'Evocazione - The Conjuring uscito nel 2013, è il trionfo assoluto dell'horror contemporaneo. L'incredibile dimostrazione di un enorme spettacolo di paura, dove far ribollire un senso di inquietudine costante e tagliente per risvegliare le nostre più ancestrali emozioni, trasformando un piccolo sobborgo londinese in un angolo d'inferno sulla Terra. Dunque, non il classico film da jump scare, quale unico o inflazionato elemento che innesti un'operazione nostalgia tutta a base di tensione e spavento. Si avverte invece il desiderio, oltre che l'abilità, di demonizzare ogni anfratto, ogni singolo spazio domestico che trasformi qualsiasi rumore in una potenziale minaccia. Grazie all'uso sapiente di tutte le regole del genere messe in scena con classe cristallina, omaggiando a pieni mani opere cult anni '70/'80 quali L'esorcista di Friedkin e il Poltergeist: demoniache presenze diretto da Tobe Hooper.
Tornano gli investigatori del paranormale Ed e Lorraine Warren (Patrick Wilson e Vera Farmiga), sei anni dopo i terribili fatti di Harrisville, Rhode Island, per fronteggiare ancora lo scetticismo ed esaminare il nuovo caso incentrato sulla famiglia Hodgson di Enfield, cittadina poco a nord di Londra. Qui, tra mura decadenti e scantinati scricchiolanti, si sospetta che Janet (bravissima Madison Wolfe), una delle più giovani di quattro figli di una madre single, sia posseduta da un'entità misteriosa; tanto da scatenare un gran circo mediatico attorno alla casa infestata. È tutta una finzione, o si cela davvero uno spirito maligno nell'ombra? Starà a Ed e Lorraine scoprirlo, cercando di non perdere la loro fede e mantenendo saldo il loro amore al sopraggiungere dell'oscurità della notte.
Quando il sequel batte l'originale
Innovativo nella resa tecnica quanto accattivante nella sua evoluzione, vuoi per gli angoscianti silenzi vuoi per i raggelanti tracking shot, The Conjuring - Il caso Enfield porta a galla la cifra stilistica di un'autore alla sua massima potenza artistica. Il regista non lascia davvero fuori nulla, creando una somma di fattori che consegna ai nostri occhi un'architettura visiva che non lo lascia mai scampo allo spettatore. Con sequenze ad alto tasso di imprevedibilità chiuse in una morsa diabolica e dantesca, spinte a loro estremo dalla prima all'ultima inquadratura. Anche laddove il pericolo sembra arrivare dietro le spalle, eccolo colpire ai lati dell'immagine: lambendo terrori adolescenziali, abissi morali, o ancora, corpi classici declinati su arti moderne e informi (il cartoonesco spirito Crooked Man, l'Uomo Storto) nel nome di un più cupo dinamismo quasi demodé. Eppure - nonostante l'oscurità meravigliosamente generata dall'ambiente maligno - perviene l'inaspettato cuore che arde, perchè Wan guarda ad un epico romanticismo in lotta contro un mondo divorato dall'interno; espresso dai suoi protagonisti lungo il tormento che attraversano e l'amore che si dimostrano l'un l'altro, fra toccanti attimi d'immersione e il brio del sentimento a sancire ogni scontro ultraterreno con chi li ha sfidati.
Il meccanismo cela il trucco
Insomma, franchise destinato a proseguire col già ventilato terzo capitolo, questo eccellente sequel non manca di regalare volti memorabili (una spaventosa suora pronta a diventare l'assoluta protagonista di uno spin-off a lei dedicato) nè villain dotati di un certo carisma in contesti iconografici come la camera dell'infazia, la tenda indiana, l'albero dei giocattoli di spielberghiana memoria. Un'opera gioiosamente derivativa, raccontata attraverso la semantica degli oggetti anziché focalizzata al mero barocchismo uditivo. Capace, non ultimo, di traghettare sulle note di Can't Help Falling in Love di Elvis le sempre ottime performance di Patrick Wilson e Vera Farmiga, oltre che su un baricentro emotivo fatto di tenerezza e amore reciproco. Si rimane allora ammirati, sbalorditi, dinanzi al fantastico talento di Wan e al suo saper manipolare il buio cinematografico, così il battito cardiaco sotto la pelle dello spettatore. Poichè il trucco qua è retrostante, armonizzato ad una costruzione della suspense lenta ma implacabile, che finisce per scuotere violentemente i meandri più oscuri del nostro sub-conscio. Secondo tutti i suoi rinomati marchi di fabbrica, verso la definitiva consacrazione a nuovo maestro del cinema dell'orrore.
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Movieplayer.it
4.0/5