La recensione di Jersey Boys (2014)

Prodotto dalle due colonne portanti dei Four Seasons, Frankie Valli e Bob Gaudio, Jersey Boys non è fortunatamente un film su commissione, ma il racconto sincero di una grande epoca musicale e di un sogno che ha rischiato di infrangersi più volte, narrato da un autore con la "A" maiuscola.

84 anni e non sentirli. Se fossimo maliziosi dovremmo presumere che Clint Eastwood abbia fatto un patto col demonio, ma siamo propensi a credere che quando un uomo, in particolar modo un artista, sempre legato alla proprio mondo interiore, fa quello che ama, le energie vitali si auto rigenerano.

Non è tanto la quantità di film girati da Eastwood a lasciarci sorpresi, quanto la sua la capacità di lanciarsi in progetti rischiosi e molto diversi fra loro. Ultimo tassello di questo puzzle quarantennale (il primo lungometraggio è del 1971) è Jersey Boys, opera biografica dedicata a Frankie Valli e i Four Seasons, tratta dal musical di Marshall Brickman e Rick Elice.

Siete i Four Seasons? Tornate quando sarete neri

Negli anni '50, quando i Beatles non avevano ancora sconvolto il mondo della musica, due ragazzi del New Jersey, Frankie Castelluccio e Tommy DeVito, sognano di sfondare come cantanti; figlio di un'onesta famiglia di origini italiane il primo, criminale di mezza tacca il secondo, passano le loro giornate tra lavoro ufficiale (Frankie è il garzone di un barbiere) e attività clandestine (furto e ricettazione). Sotto la guida illuminata del boss Gyp De Carlo, i due mettono su un gruppo che punta sulle originali doti vocali di Frankie, ammiratore di Sinatra e desideroso di diventare migliore di The Voice. Manca però quella scintilla in grado di distinguerli da altre band come la loro. La soluzione viene trovata da un amico comune, Joe Pesci, che li mette in contatto con Bob Gaudio, giovane autore di talento. Dopo alterne vicende, Frankie, Bob, Tommy e il bassista Nick Massi fondano un nuovo gruppo, i Four Seasons e con la collaborazione del discografico Crewe scalano le classifiche americane con i loro pezzi orecchiabili. E' un successo travolgente, il loro, che rischia di essere vanificato per la pessima gestione di Tommy, ancora legato al passato da criminale.

Per un pugno di note

Jersey Boys: John Lloyd Young in una scena del film nei panni di Frankie Valli
Jersey Boys: John Lloyd Young in una scena del film nei panni di Frankie Valli

Poche settimane fa Eastwood ha ultimato le riprese di un altro biopic, American Sniper, ispirato storia del tiratore scelto americano Chris Kyle (Bradley Cooper); ulteriore conferma che per il regista di San Francisco il racconto biografico sia una sorta di forma elettiva di narrazione, un genere che gli permette di immedesimarsi in toto con le vite dei personaggi, distanziandosene quel tanto che basta per evitare agiografie e descrizioni stereotipate. Lo dimostrano opere come Invictus, in cui si relazionava al "mito" di Nelson Mandela, un film forse poco epico nello sviluppo, ma genuinamente commovente o come J. Edgar, in cui lo sguardo di Eastwood si è quasi raggelato nel seguire la storia del capo dell'FBI, Hoover. Discorso che acquista un significato ancora più profondo se si parla di lavori legati alla musica. Volto arcigno dei western di Sergio Leone, regista di culto del cinema americano, Eastwood ha saputo imprimere il suo marchio di fabbrica inconfondibile, unione di stile essenziale e racconto classico, soprattutto nei ritratti di musicisti. Un'empatia dovuta sicuramente al grande amore che il regista prova per il mondo delle sette note e che lo coinvolge in prima persona come autore di colonne sonore. Se nel lungometraggio di finzione Honkytonk Man, Eastwood si mette in gioco completamente interpretando un antieroe musicista country, nelle biografie musicali la sua passione viene distillata e messa al servizio della storia raccontata. Bird è una delle raffigurazioni più intense e commoventi della fragilità di un musicista geniale come il sassofonista Charlie Parker. Nel documentario The Blues: Piano Blues, poi, episodio del progetto collettivo prodotto da Martin Scorsese, il pianista Eastwood si è confrontato con personaggi del calibro di Ray Charles, Dave Brubeck e Marcia Ball. Il viaggio quindi si conclude (per il momento) su Frankie Valli e i Four Seasons e, quasi fosse un elemento del gruppo, l'occhio del cineasta si combina con le armonie vocali del gruppo, valorizzandole e sostenendole, proprio perché Eastwood mette al primo posto la musica, servendola quasi con umiltà.

Big Boys don't cry

Un grande autore si vede anche quando riesce a raccontare delle storie minori, quando cioè si cimenta con personaggi che non debbono necessariamente essere bigger than life. La corsa al successo di Valli e del suo gruppo, quindi, non rappresenta all'apparenza la quintessenza della poetica eastwoodiana, ma permette al cineasta di focalizzare la sua attenzione su un gruppo di predestinati, obbligati a scegliere tra l'arruolamento nell'esercito, l'affiliazione ad un clan e il successo, e sul loro desiderio sfrenato di realizzare il grande sogno americano. E' questo l'aspetto più interessante del film, la possibilità, per Eastwood, di mettere in scena gli aspetti nascosti dello showbiz, da quelli più spietati, a quelli più vitali e romantici. Se la società americana si costruisce attraverso la pubblicità, le esibizioni che ne veicolano la potenza intrinseca, Eastwood ci dice che questo meccanismo si realizza anche in un ambito più leggero, come può essere quello del pop. In maniera non dissimile a quanto avviene ai protagonisti di Flags of Our Fathers, costretti a "riprodurre" in maniera seriale il gesto che li ha resi noti, diventando una vera ispirazione per il popolo americano, Frankie Valli e i Four Seasons (bravo John Lloyd Young nei panni di Valli, bravissimo Vincent Piazza in quelli di DeVito) diventano l'emblema di una cultura che punta al successo e che lascia intatti i suoi eroi solo se riescono a mantenere inalterata la propria purezza, per dirla con Eastwood, il proprio spirito. Ecco che un film piccolo si trasforma in un prezioso pezzo del racconto della mitopoiesi americana, che parte dalla musica, si intreccia con il cinema e la televisione e arriva fino a noi.

Walk like a Man

Jersey Boys: Vincent Piazza nei panni di Tommy De Vito in una scena
Jersey Boys: Vincent Piazza nei panni di Tommy De Vito in una scena

Se qualcosa manca nel film è quell'approfondimento nei personaggi che ti porta a guardarli con occhio diverso, che ne esprima al massimo i conflitti interiori, le tensioni inespresse, soprattutto nelle relazioni umane, è pur vero che si tratta dell'adattamento di un musical di Broadway che nelle mani di Clint diventa più complesso e drammatico, senza rinunciare alla leggerezza. Jersey Boys è un film che sprizza vitalità da ogni parte, anche nei momenti più malinconici e crepuscolari, ed è la stessa energia che da sempre sostiene un regista come Eastwood. Un artista che sa come raccontare una storia, o meglio, sa come affascinare lo spettatore e portarlo dalla sua parte, senza artifici subdoli, ma con la forza della parola. I protagonisti, sguardo in macchina, e tanta faccia tosta, parlano direttamente col pubblico e siglano un patto tacito, stabilendo una connessione rafforzata dalla musica. E si ride tanto grazie alle straordinarie performance di Christopher Walken, criminale-mentore dal cuore tenero e di Mike Doyle, che interpreta il discografico Bob Crewe. La regia è morbida, senza sbavature, supportata da una fotografia vintage (firmata da Tom Stern), che restituisce appieno il décor dell'epoca, ammantandola di quella nostalgia che è l'elemento in più del racconto. Non sarà sicuramente il film più bello della sua carriera, ma Jersey Boys colpisce nel segno, nel racconto di una giovinezza che sfiorisce lentamente, delle grandi occasioni perdute, delle scelte compiute in nome di un ostinato senso dell'onore.

Conclusione

Se un regista come Clint Eastwood ha ancora la forza di mettersi in gioco e regalare al pubblico un'opera trascinante, anche nei momenti più oscuri, il minimo che si possa fare è stare al gioco e lasciarsi trasportare da una storia fatta di grandi successi e rovinose cadute, di amicizia virile e amore; un film non perfetto, ma diretto in maniera esemplare.

Movieplayer.it

4.0/5