Ci rendiamo perfettamente conto che nello scegliere per questo articolo un titolo del genere, rischiamo di far sembrare questo terza opera di Jeremy Saulnier (una delle sorprese di Cannes due anni fa, con Blue Ruin) quasi un film di serie Z in style Asylum se non un nuovo folle videogioco dagli autori di Piante contro Zombie, ma non è che ci siano poi tanti modi più efficaci e sintetici di descrivere quanto abbiamo appena visto.
Green Room vede infatti protagonisti quattro giovani ragazzi, membri della banda punk rock The Ain't Rights, che si trovano ad assistere loro malgrado ad un omicidio in seguito ad una performance live in un locale frequentato da skinheads. Il bassista chiama immediatamente la polizia, ed è lì che le cose si fanno davvero complicate, perché i proprietari del locale nascondono un segreto e non vogliono gli sbirri in giro. Per questo motivo decidono di imprigionare i ragazzi nella stanza del titolo, quella tradizionalmente destinata agli artisti in attesa di esibirsi, e di lasciarli sorvegliati da un bestione armato di pistola. I ragazzi aspettano l'arrivo della polizia, ma quando capiscono che non c'è nessuna intenzione di risolvere la questione con le buone, sanno di non avere altra scelta se non provare una rischiosa e probabilmente letale fuga.
Nazi Punks Fuck Off
Il film di Saulnier si gioca le sue carte un po' alla volta: parte come una commedia, si trascina lentamente verso il thriller atipico, si trasforma poi in un survival horror in stile Non aprite quella porta (in questo caso, un avviso da prendere alla lettera) per poi bruscamente virare verso lo splatter. Il regista stesso invece dice di considerarlo più un film di guerra. Il bello del film è proprio questo: sono tutte definizioni che si adattano perfettamente a questa opera che trascende i generi ma che ha come unico punto fermo tanta ironia e sano divertimento, ma anche una paradossale ricerca del realismo.
Perché è vero che il film ha diverse cose in comune con alcuni thriller/horror - come, giusto per citarne altri due, Le colline hanno gli occhi di Wes Craven o il Distretto 13: le brigate della morte di Carpenter - ma la differenza sta proprio nell'approccio: c'è tanta ironia sì, diversi dialoghi molto divertenti e geniali (in primis l'ultimissima battuta già culto), ma non per questo i personaggi risultano forzati o poco naturali, ma piuttosto reagiscono esattamente come farebbero dei ventenni in una situazione molto più grande di loro. E lo stesso vale anche per i nemici, tutti personaggi con personalità, motivazioni e dinamiche ben precise, che commettono errori proprio come le persone che si trovano a cacciare e che sono guidati non da entità soprannaturali o leader carismatici e imbattibili, ma da semplici uomini.
I Wanna Be Sedated
Questo non vuol dire che il film siamo meno brutale e selvaggio di molti altri horror, tutt'altro. Proprio perché sia protagonisti che antagonisti sono così umani e fallibili, tutto il film diventa un crescendo di situazioni che li vede spingersi sempre più al limite, e reagire nell'unico modo possibile: uccidere prima di essere ucciso. Ma uccidere può essere qualcosa di incredibilmente semplice quando sei un folle con una motosega, lo è certamente di meno quando sei costretto a combattere a mani nude o utilizzando gli oggetti che trovi in giro.
Da questo punto di vista il merito è certamente di Saulnier e della sua ottima sceneggiatura, ma vanno elogiati anche tutti gli attori che contribuiscono a rendere sempre credibile e mai forzata questa escalation di violenza: Anton Yelchin, Alia Shawkat e Imogen Poots spiccano tra i ragazzi, mentre è ovviamente il carismatico Patrick Stewart a troneggiare su tutti (nonostante a tratti non riesca a nascondere il suo purissimo accento british) dalla parte dei cattivi.
Questo Green Room ha insomma tutte le caratteristiche per diventare un nuovo classico del cinema di genere. O forse, a giudicare dall'entusiasmo visto in sala qui a Cannes, lo è già diventato. Quando si dice instant cult...
Movieplayer.it
4.0/5