Romeo Aldea è un medico affermato e rispettato che non è mai dovuto scendere a compromessi: allontanatosi da Cluj e dalla Romania durante la dittatura di Ceausescu, è ritornato in patria dopo la rivoluzione del 1989 con la speranza di poter contribuire attivamente a ricostruire un paese migliore. Una speranza presto disillusa, tanto che adesso l'unica aspirazione che gli rimane è quella di riuscire a mandare l'unica figlia a studiare all'estero, a Londra, grazie ad una borsa di studio conseguita con ottimi voti, grandi sacrifici per tutta la famiglia e nessuna raccomandazione, mai nulla che non sia mai stato realmente meritato.
A pochi giorni dagli esami finali, in cui la ragazza non deve fare altro che confermare gli ottimi risultati ottenuti durante l'anno, quando ormai a Romeo tutto sembra fatto e il sogno di una vita ormai avverato, tutto sembra andare storto: prima uno sconosciuto tira un sasso contro la sua casa, rompendo un vetro per poi fuggire; poco dopo la figlia Eliza viene aggredita e (quasi) stuprata mentre si reca a scuola.
"Sarebbe potuta andare molto peggio" dice a Romeo il poliziotto e amico di una vita, ma l'uomo non riesce a trovare pace, perché sa che la figlia non avrà più la tranquillità necessaria per dedicarsi a quei delicati esami e perderà così la possibilità di vincere la borsa di studio e lasciare la Romania. Perderà l'occasione della vita. È così che, messo alle strette e su consiglio dell'amico, Romeo fa l'unica cosa che gli è rimasta da fare: va dal preside della scuola a chiedere un trattamento speciale.
Un cinema ricco e sfaccettato
Abbiamo detto in più occasioni che, a nostro parere, la new wave rumena ha rappresentato spesso le vette più alte raggiunte dal cinema europeo degli ultimi dieci anni; e tra i tanti registi che si sono contraddistinti certamente Cristian Mungiu ne è il massimo esponente oltre che il più noto. Dopo aver vinto una meritatissima Palma d'oro nel 2007 con 4 Mesi, 3 Settimane e 2 Giorni e altri premi importanti (sceneggiatura e premio ad ex aequo alle due attrici protagoniste) cinque anni dopo con Oltre le colline, ora Mungiu torna in concorso a Cannes con questo suo quarto lungometraggio, Un padre, una figlia (Graduation), e lo fa ancora una volta da protagonista.
Nel momento in cui scriviamo non sappiamo se riuscirà nell'impresa di fare sua quella clamorosa doppietta che è stata finora appannaggio di pochissimi registi e del calibro di Francis Ford Coppola, Emir Kusturica, Michael Haneke e i fratelli Dardenne - tra l'altro tra i rivali più agguerriti e accreditati c'è anche l'amico e collega Cristi Puiu con il suo altrettanto splendido Sieranevada - ma di certo assistere ad un film di Mungiu rappresenta un'esperienza che ha pochi eguali nel cinema contemporaneo, considerato il modo in cui riesce a coinvolgere lo spettatore pur confezionando film complessi, ricchissimi e dalle mille sfaccettature.
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Gli esami non finiscono mai
Per capire meglio il valore di questo film basterebbe rendersi conto proprio della quantità di temi e toni che riesce a toccare in poco più di due ore: a molti il plot potrebbe sembrare una mera scusa per fare di Graduation un character study - ovviamente impreziosito dalla magistrale performance di Adrian Titieni, coadiuvato dagli altrettanto convincenti Maria-Victoria Dragus e Vlad Ivanov - ma sarebbe un'affermazione assolutamente riduttiva; il film di Mungiu indaga a fondo nei suoi personaggi e ne mostra paure, speranze e segreti, ma va molto oltre perché riesce a raccontarci i sogni svaniti di un'intera generazione che pensava e sperava di poter cambiare qualcosa ma che si trova invece nuovamente prigioniera degli stessi errori, dello stesso sistema corrotto.
A tutto questo Mungiu riesce anche ad aggiungere, nella sua impressionante sceneggiatura, inserti mistery (anche se una vera e proprio risoluzione non ci sarà mai, al massimo una qualche suggestione nello stile di Haneke e il suo Niente da nascondere), sottotrame romantiche/familiari e qualche battuta ironica e sagace sul sistema, senza però mai perdere compattezza o forza nella sua riflessione. E senza mai abbandonare il suo protagonista, ma accompagnandolo e seguendolo passo dopo passo nella sua avventura grazie all'ottima fotografia di Tudor Vladimir Panduru.
Lo stesso faceva in fondo anche con la meravigliosa Otilia, la protagonista della sua prima Palma d'oro, che era alle prese con decisioni e situazioni altrettanto difficili, soffocata dal senso di responsabilità per un futuro che sembrava sgretolarsi. Romeo non è una giovane studentessa, ma nel momento in cui viene chiamato ad affrontare un momento importante della vita sua e della figlia, si ritrova nella stessa trappola, a dover scegliere tra quello che è giusto e quello che è legale, tra quello che lui desidera per la persona che ama e quello che disprezza, combatte e da cui vorrebbe allontanarla. Romeo capisce ben presto che per lui e la Romania non c'è una reale alternativa, non c'è salvezza, e che non gli resta altro che sperare che vada meglio alla prossima generazione, che possano essere loro a cambiare davvero le cose. Da un punto di vista cinematografico almeno Mungiu e i suoi coetanei ci sono riusciti, e noi gliene siamo grati.
Movieplayer.it
4.0/5