La dimensione mitologica, gotica e fantasy ha costituito uno dei principali fulcri di attrazione nella filmografia di Neil Jordan fin dai tempi del suo primo cult-movie, In compagnia dei lupi, realizzato nel lontano 1984. Dopo i lupi mannari, passando per la rivisitazione della leggenda delle selkie nel deludente Ondine, nel 2012 Jordan è tornato a confrontarsi con l'iconografia del vampiro per la seconda volta nella sua carriera, e a diciotto anni di distanza da quello che resta il suo maggiore successo di pubblico, Intervista col vampiro, fortunata trasposizione del best-seller di Anne Rice.
In Byzantium, presentato al Festival di Toronto 2012, lo spunto di partenza è offerto da A Vampire Story, una pièce teatrale dell'autrice inglese Moira Buffini, che ha curato anche l'adattamento cinematografico, offrendo al regista irlandese la perfetta opportunità di coniugare ancora una volta la fascinazione per l'immaginario vampiresco con gli stilemi del thriller, del noir e dell'horror (generi nei quali Jordan si è cimentato in più occasioni), dando vita a un connubio di indiscutibile fascino.
I diari del vampiro
Difatti, a dispetto del rischio di un effetto di saturazione dovuto al sovraffollamento di vampiri fra piccolo e grande schermo, in Byzantium il regista de La moglie del soldato dimostra di aver ritrovato lo smalto dei tempi migliori, con un'opera che sa sfruttare in maniera esemplare le suggestioni legate al proprio mito di riferimento, innervandole all'interno di un racconto costruito come un enigma e attraversato al contempo da uno struggente senso di malinconia. Jordan, del resto, ha sempre guardato con interesse e con simpatia ai personaggi estranei, disadattati, borderline, alle prese con una difficile (talvolta addirittura impossibile) accettazione di se stessi e della propria natura. Una categoria umana nella quale si inserisce anche la "non più umana" Eleanor Webb, diafana sedicenne con oltre due secoli di vita alle spalle, impegnata in una perenne fuga insieme alla madre Clara, anche lei condannata a nutrirsi di sangue per l'eternità. Ellie, che affida i propri ricordi alle pagine di un diario per poi abbandonarle di volta in volta in balia del vento o delle onde, ha l'innocente candore della talentuosa Saoirse Ronan, già adolescente inquieta nell'acclamato Espiazione; mentre Clara, che sbarca il lunario lavorando come spogliarellista o ragazza squillo, ma che all'occorrenza non esita a sfoderare gli affilatissimi canini, ha invece la sensualità e il carisma di Gemma Arterton, la spigliata e seducente Tamara Drewe del film di Stephen Frears, mai così brava come nel ruolo di questa feroce mamma-vampiressa.La sinfonia dell'orrore
Il background dei personaggi, costretti ad un'esistenza plurisecolare trascorsa sotto il segno di un'incessante minaccia, ci viene svelato poco a poco, in un crescendo drammatico che procede su un duplice piano cronologico: un passato risalente all'epoca delle guerre napoleoniche, con l'iniziazione di Clara e di sua figlia ai segreti dell'immortalità per mezzo di una dannazione senza scampo; e un presente ambientato in una contemporaneità di desolante grigiore, le cui atmosfere dai toni cupi e invernali sono rese magistralmente dalla fotografia di Sean Bobbitt (collaboratore di fiducia di Steve McQueen in pellicole come Shame e 12 anni schiavo). Jordan, coerentemente con la propria poetica, sceglie di mantenere il focus del film sui tormenti e le contraddizioni delle due protagoniste, portando gradualmente alla luce la loro complessa (in)umanità: Clara, amorevole prostituta animata da un istinto di sopravvivenza - e di protezione materna - in grado di far affiorare la sua implacabile determinazione, in particolare nei momenti di pericolo; e l'introversa Ellie, descritta dai suoi insegnanti come "la strana figlia di Edgar Allan Poe e Mary Shelley". Attorno a queste due figure Jordan elabora un'angosciosa sinfonia dell'orrore, scandita dall'avvolgente partitura musicale del compositore spagnolo Javier Navarrete (Il labirinto del fauno), per poi riprendere verso l'epilogo i sentieri del noir con un finale di formidabile tensione.
Il buio si avvicina
Ma Neil Jordan, grande sperimentatore con una predisposizione per le commistioni fra i generi, non si accontenta di rimanere entro i confini dell'horror (e in effetti, proprio il suo carattere di horror assolutamente atipico potrebbe motivare l'insuccesso commerciale del film). Il suo Byzantium è anche e soprattutto un dolente canto di solitudine, segnato dalla triste consapevolezza di una "diversità" incurabile, vissuta come una vivificante dannazione (sublime paradosso) che può essere abbracciata soltanto spontaneamente. "Come fai a uccidere?" domanda a Ellie il suo coetaneo Frank (Caleb Landry Jones), malato di leucemia; "Non uccido mai. Sono loro a volerlo" risponde Ellie, che sembra portare sulle proprie fragili spalle il peso della cognizione di un dolore endemico alla condizione umana, come illustra lei stessa in un raggelante dialogo con la professoressa Morag (Maria Doyle Kennedy), alla quale spiega come solo il tempo, un giorno, potrà darle ragione. Del resto, per creature come Clara ed Ellie non esistono compromessi, né tantomeno possibilità di redenzione: una volta entrati nella caverna dei pipistrelli, le cascate dell'isola si tingono di un vermiglio color rosso sangue (una sequenza di straordinario impatto visivo) e si diventa vampiri per sempre. E ogni liberazione, perfino quella dalla morte, porta con sé un prezzo.Conclusioni
Dopo Intervista col vampiro, il regista irlandese Neil Jordan torna a confrontarsi con la figura del non-morto costretto a cibarsi di sangue umano, rivisitando gli elementi iconografici dell'immaginario vampiresco in un cupo ed affascinante racconto horror di ambientazione contemporanea, con protagoniste le giovani attrici Gemma Arterton e Saoirse Ronan. Il risultato è una pellicola di grande suggestione sospesa fra passato e presente, in grado di amalgamare la suspense tipica del genere di appartenenza ad un sottofondo di struggente malinconia.
Movieplayer.it
4.0/5