Una giovane artista, aspirante attrice porno, mette in scena il proprio sogno dall'interno della propria abitazione, luogo dove vita e cinema si intersecano all'insegna della scoperta (sessuale) di sé e di una volontà di mettersi a nudo - in tutti i sensi - in nome di una sfrenata ambizione creativa, mentre all'esterno si mette in discussione il ruolo della donna sul piano sociale ed erotico...
L'imprevedibilità dell'artista
Come il collega e connazionale Takashi Miike, il regista Sion Sono (classe 1961) è una figura quasi inclassificabile nel panorama della produzione cinematografica giapponese. Un cineasta folle, imprevedibile, versatile ed estremamente prolifico, con quasi cinquanta film - tra lunghi e corti - a partire dall'esordio nel 1984 (lo scorso anno sono usciti ben cinque progetti suoi, di cui uno proiettato alla Festa del Cinema di Roma, tre al Torino Film Festival e uno al Future Film Festival a Bologna). Capace di spaziare dal cinema di genere più folle, che si tratti dell'horror in salsa videoludica di Tag all'esilarante metacinema di Why Don't You Play in Hell?, al dramma post-Fukushima di Himizu (premiato alla Mostra di Venezia nel 2011), Sono è un personaggio poliedrico e sorprendente, dal quale ci si può solo aspettare di non sapere esattamente cosa aspettarsi. Il che, in un universo audiovisivo dove l'inatteso tende ad essere una rarità, non può che essere una cosa positiva.
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Eccoci quindi di nuovo al cospetto di un lungometraggio di Sono nel contesto del festival torinese, molto legato al cineasta (cinque anni fa gli fu dedicata una retrospettiva completa). Un film il cui titolo si annuncia provocatorio e molto intrigante: Antiporno. Un nome in apparenza semplice dietro il quale si cela un lavoro complessissimo, radicato nella tradizione nipponica del pinku eiga (film erotici softcore), genere in voga a partire dagli anni Sessanta, e in particolare la sottocategoria del Roman Porno, prodotto dalla major Nikkatsu (coinvolta anche nella realizzazione di Antiporno) tra il 1971 e il 1988. Un pezzo di storia del cinema giapponese che Sono ha vissuto in diretta e in questa sede omaggia, analizza e decostruisce con un misto vivace e bislacco di cinefilia, giochi cromatici (la parte finale è di una purezza visiva e visionaria dirompente) e satira politico-sociale. Il porno, escamotage già sfruttato da altri registi per esplorare tematiche più profonde, è qui il trampolino di lancio ideale per riflettere sul ruolo femminile in Giappone, con un discorso divertente e a tratti spiazzante sul cinema a luci rosse come vera espressione artistica alla ricerca di sé. Un elemento espresso perfettamente dalla protagonista quando dice, senza peli sulla lingua, "Voglio essere una puttana!".
La crescita di un'attrice
Come già in Why Don't You Play in Hell?, la riflessione si tramuta anche in un discorso sul cinema stesso, con il mezzo filmico che irrompe nell'intreccio e spezza ogni barriera tra realtà e finzione. Una scelta abbastanza logica dal momento che Antiporno, oltre ad essere un ibrido inqualificabile (in senso positivo) ed ipnotico, è anche l'esplorazione del percorso artistico di un'attrice, dentro e fuori lo schermo. Per il ruolo principale, che richiede nudità fisica ed emotiva in egual misura, il regista ha infatti scritturato la giovanissima Ami Tomite, professionista appena ventiduenne che è già alla quarta collaborazione con Sono, dopo Tag, The Virgin Psychics e un episodio del progetto collettivo Madly (presentato la scorsa primavera al Tribeca Film Festival). In Antiporno assistiamo ad una vera e propria maturazione, con l'attrice che domina quasi interamente da sola ogni scena, con un carisma e un'intensità che, come l'uomo che la dirige, non smettono mai di sorprendere. Un connubio artistico che continua a crescere in modo coerente eppure totalmente indefinibile, e che speriamo di rivedere in azione con la stessa grinta dimostrata finora.
Movieplayer.it
4.0/5