"Roba per bambini", così in tanti liquidavano il cinema d'animazione, i cosiddetti cartoni animati, nel nostro occidente dominato da Walt Disney. Per fortuna, poco per volta, questo preconcetto sta crollando anche da noi e finalmente ci si sta accorgendo di quanto l'animazione, tradizionale o al computer che sia, sia solo un mezzo per raccontare una storia che può essere di qualunque genere. In Giappone lo sanno bene e da sempre, da noi è un'idea che si sta affermando sempre di più grazie al lavoro di alcuni autori che abbiamo la fortuna di apprezzare soprattutto in ambito festival e di uno studio come la Pixar che non si tira indietro quando le corde per raccontare una delle sue storie non sono solo quelle accessibili ad un pubblico di bambini (nel dirlo pensiamo ai primi dieci minuti di Up, ed ecco che le lacrime già inumidiscono gli occhi).
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Chi però questo concetto lo ha assimilato da tempo, e per lo più si tratta di appassionati del Giappone, del suo cinema e della sua tradizione animata, è probabile che sia stato svezzato a questo tipo di emozioni da un lungometraggio in particolare, da uno dei primi lavori firmati Studio Ghibli e diretto da colui che l'ha fondato insieme ad Hayao Miyazaki, Isao Takahata. Un film contemporaneo a Il mio vicino Totoro, che però non potrebbe esserne più distante in termini di spirito, sensazioni e crudezza: La tomba delle lucciole, datato 1988 e noto fin qui da noi come Una tomba per le lucciole, che arriva in sala per un evento speciale di due giorni il 10 e 11 Novembre 2015 grazie a Koch Media con un nuovo adattamento italiano curato dal direttore del doppiaggio Gualtiero Cannarsi.
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Vittime di guerra
Sappiamo tutti quanto la seconda guerra mondiale sia una ferita aperta per il Giappone, quanta arte ha affrontato, analizzato o semplicemente mostrato quel dramma per cercare in qualche modo di razionalizzare ed assimilare qualcosa che non può essere accettato. Per lo più sono le due bombe atomiche ad ergersi a simbolo di quell'orrore con il loro inconfondibile fungo, ed ovviamente non potrebbe essere altrimenti, ma il dramma nipponico legato a quel terribile conflitto non si limita ai due ordigni nucleari lanciati su Hiroshima e Nagasaki il 6 e 9 Agosto del 1945. La tomba delle lucciole, infatti, inizia la sua storia un po' prima, nel giugno di quell'anno a Kobe, mettendo in scena il dramma di due ragazzini, Seita e la sorellina di circa cinque anni Setsuko, separati dalla madre durante il bombardamento a base di napalm ed il conseguente incendio della città. Quella dei due ragazzi è un'odissea drammatica in un mondo reso spietato dal conflitto, un viaggio fatto di sofferenza, che li porta solo brevemente a casa di una zia per poi stabilirsi, soli e disperati, in un rifugio in prossimità di un lago, alla ricerca di un modo per sopravvivere e procacciarsi del cibo.
Neorealismo animato
La tomba delle lucciole è una storia di sopravvivenza che racconta l'ordinario di un momento di straordinaria tragedia come può essere la guerra. Senza casa, senza genitori, senza cibo o soldi, Seita e Setsuko vivono e ci fanno vivere ogni passo di questa sofferenza quotidiana in cui si trovano catapultati. La loro è una storia realistica, non solo perché tratta dal romanzo semi-autobiografico di Akiyuki Nosaka, ma perché di vicende del genere una guerra come il secondo conflitto mondiale del '900 ne è inevitabilmente piena. È anche una storia raccontata con una sorta di neorealismo animato, che spiazza ancor più se si pensa al mezzo usato per metterla in scena: non ci sono concessioni leggere, momenti di respiro, parentesi spensierate che l'animazione potrebbe portarci ad attenderci. C'è invece un ritmo compassato, che ci permette di apprezzare l'elevato livello tecnico ed artistico con cui il film è realizzato, la cura nei fondali che riproducono la Kobe dell'epoca, lo spettacolare e quasi affascinante incendio che la distrugge, la poesia di alcune immagini; pause nella narrazione che consentono anche di ragionare sul dramma vissuto dai due fratelli, che piano piano sedimenta nello spettatore diventando intollerabile.
Un pugno nello stomaco
Niente ci viene risparmiato e ogni volta che pensiamo di essere arrivati al fondo della tragedia, altro accade per acuirne la sofferenza, tanto che ci viene quasi il dubbio che Takahata goda nel mostrarci il dolore, che quel suo indugiare sia compiaciuto. Ma non è così, la sua sofferenza è partecipe e sincera, ed è figlia di quella ferita a cui abbiamo accennato che nell'animo giapponese è ancora aperta e viva a più di mezzo secolo di distanza; una ferita di cui Seita e Setsuko diventano simboli. Lo sguardo di Takahata è compassionevole e ispirato, il suo tocco delicato e vibrante, la sua narrazione sentita e calda, in quella che potremmo definire una poesia della sofferenza. È difficile trattenere le lacrime al cospetto di situazioni che sono, indubbiamente, un pugno nello stomaco, eppure è ugualmente difficile distogliere lo sguardo e fingere che drammi del genere non siano accaduti. È uno dei ruoli che il cinema, e quello di guerra in particolare, sa di dover svolgere e un film emotivamente potente come La tomba delle lucciole ha la capacità e il dovere di metterci faccia a faccia con la realtà, non per esorcizzarla ma per conoscerla.
Movieplayer.it
4.5/5