Al suo quarto lungometraggio di finzione dopo Tornando a casa (2001), Vento di terra (2004) e L'ora di punta (2007), Vincenzo Marra - autore in passato di diversi documentari e docu-film piuttosto apprezzati dalla critica e nel circuito dei festival - con La prima luce propone un asciutto dramma familiare fortemente limitato da una sceneggiatura non all'altezza che, specialmente nella seconda parte del film ma non solo, propone passaggi narrativi poco convincenti e uno scarso approfondimento psicologico dei personaggi.
Marco e Martina sono una coppia che vive insieme a Bari da diversi anni. Lui è un avvocato piuttosto sicuro di sé, mentre lei è una donna cilena che affronta ormai con notevole disagio la propria quotidianità in Italia, sia nel contesto lavorativo che in quello familiare. Il rapporto tra i due si è irrimediabilmente incrinato e a farne le spese è in primis Mateo, il figlio di otto anni che in buona sostanza rappresenta da tempo l'unico motivo che tiene ancora uniti Marco e Martina. Quest'ultima si sente sempre più sola e incompresa e, giunta ormai ai limiti della depressione, prende la drastica decisione di scappare a Santiago del Cile con Mateo. Da qui parte la personale odissea di Marco, la cui ricerca del figlio perduto lo porterà a uno snervante, drammatico e solitario viaggio in Cile.
Personaggi deboli e svolte narrative poco credibili
Se lo spunto di partenza della trama è interessante e nella prima parte "italiana" del film si segue con interesse il rapporto tra i tre personaggi per cercare di comprendere le ragioni dell'atteggiamento freddo e a tratti aggressivo di Martina nei confronti del compagno, mano a mano che il film va avanti ci si rende conto che il potenziale non detto in attesa di essere sviluppato è in realtà parte integrante di una sceneggiatura (scritta a quattro mani dallo stesso Marra insieme ad Angelo Carbone) in cui le dinamiche psicologiche alla base dei personaggi non sono mai adeguatamente approfondite.
In particolare, le motivazioni che spingono Martina a scappare con l'intenzione di non far rivedere più Mateo al padre sono delineate in maniera piuttosto superficiale e alcuni comportamenti di lei, ancor di più nella seconda metà del film ambientata in Cile, appaiono quasi del tutto ingiustificati. Così come risultano inevitabilmente poco credibili diverse svolte narrative, compreso il finale consolatorio e tagliato con l'accetta. Il punto di vista del bambino inoltre non viene mai davvero indagato e, di conseguenza, è praticamente impossibile provare empatia per il piccolo Mateo, costretto a seguire la madre e a cambiare completamente vita pur avendo un forte legame con il padre.
Un film deludente in cui spicca l'interpretazione di Riccardo Scamarcio
Nonostante possa contare su una regia discreta al servizio della storia e su una intensa interpretazione di Riccardo Scamarcio, sempre a suo agio nei panni del protagonista e particolarmente abile nel dare corpo alla disperazione del proprio personaggio, il film del quarantatreenne cineasta napoletano è nel complesso deludente. E conferma le perplessità già emerse otto anni fa dopo la visione del poco riuscito L'ora di punta, l'ultimo film di finzione girato da Marra che rappresentava tra l'altro anche la sua prima esperienza con attori professionisti.
Movieplayer.it
2.0/5