La prima mutazione
Un campo di concentramento e un bambino separato a forza dai suoi genitori: si apre esattamente come il primo X-Men di Bryan Singer, questo nuovo film, a metà tra prequel e reboot, dedicato ai supereroi mutanti targati Marvel. Un nuovo inizio necessario, dopo le critiche rivolte agli ultimi due capitoli (in cui includiamo lo spin off X-Men - Le origini: Wolverine) e l'abbandono del progetto, sempre ad opera di Synger, di una nuova pellicola dedicata interamente al villain principale della saga, il letale Magneto. E' tuttavia proprio da questo progetto che nasce lo spunto per questo X-Men: l'inizio, primo capitolo di quella che è stata annunciata come una nuova trilogia: qui, il personaggio del (futuro) mutante malvagio mantiene un ruolo fondamentale, inserito tuttavia da una parte in una logica di confronto/contrasto con la sua nemesi di sempre, il Professor X, e dall'altra in una struttura corale che ci mostra le origini dei personaggi della saga così come li conosciamo, lo strutturarsi dei loro rapporti reciproci e dei due gruppi in cui presto si divideranno. Lo scenario, dopo il (bel) flashback che apre il film, più lungo e strutturato di quello della prima pellicola, è quello degli anni '60 e della crisi dei missili di Cuba; in quest'ultima, la sceneggiatura immagina abbia giocato un ruolo il crudele Sebastian Shaw, mutante intenzionato a far estinguere il genere umano e responsabile della morte della madre di Erik Lehnsherr, il futuro Magneto. Quest'ultimo, mosso da un cieco desiderio di vendetta, incontrerà e stringerà amicizia con il giovane e brillante Charles Xavier, futuro Professor X, e con il suo gruppo di mutanti intenzionati a fermare il piano del malvagio Shaw.
Uno dei principali motivi di interesse di questo nuovo film, diretto da quel Matthew Vaughn di cui abbiamo appena visto nelle sale il divertente Kick-Ass, è proprio l'aver esplorato le origini dell'antagonismo tra i due personaggi più carismatici della saga, mostrando una travagliata ma sincera amicizia che si trasforma in scontro, colorando la storia di toni epici e (melo)drammatici. Un contrasto "sinergico", quello tra l'idealista e intransigente Charles e il giustificatamente cinico Erik, che attraversa tutto il film diventando via via più profondo nel corso della narrazione, ed esplodendo nel finale che diviene culmine di un climax in cui non manca il coinvolgimento emotivo. Un risultato raggiunto certo grazie anche a due interpreti che si rivelano molto efficaci nei rispettivi ruoli, come il cupo ma a volte fragile Michael Fassbender (lo avevamo già apprezzato in Bastardi senza gloria di Quentin Tarantino) e l'altrettanto intenso James McAvoy nel ruolo del giovane professore. In mezzo, una pletora di personaggi (tra cui quelli che diverranno poi protagonisti della saga) a cui la sceneggiatura riesce quasi sempre a dare il giusto peso, mostrandone peculiarità ed evoluzione: a cominciare dal malvagio Shaw, interpretato da un sempre bravo Kevin Bacon, per continuare con la problematica Raven/Mystica di Jennifer Lawrence, il futuro Bestia di Nicholas Hoult e la bella e letale Emma Frost, a cui dà il volto la January Jones di Mad Men. Un altro aspetto in cui la sceneggiatura si rivela abbastanza efficace è il tratteggio degli incontri/scontri sentimentali che si creano all'interno del gruppo, tra i quali spicca quello, giustamente problematico, tra la fragile Raven e il timido ma brillante Nicholas, tutto giocato su una dialettica tra l'accettazione (con la conseguente rivendicazione) del proprio stato di "diversi", e il rifiuto totale dello stesso, e su come questo contrasto porterà i protagonisti a vivere nell'ambito della società umana. Un motivo, quest'ultimo, che in effetti è stato sempre uno degli aspetti più importanti della saga, e che qui trae nuova linfa da un'ambientazione anche storicamente significativa (il mondo diviso in blocchi e sull'orlo di una nuova guerra) e dall'amara riflessione sulla sostanziale identità del comportamento umano, a prescindere dalle divisioni, quando si tratta di eliminare le diversità. E' difficile non comprendere, e non provare persino empatia con il rabbioso Erik quando nel finale fa definitivamente la sua scelta di campo, condannando con una sentenza definitiva l'umanità nel suo complesso. E si può anche perdonare allo script, alla luce di questo, l'evoluzione un po' forzata e poco approfondita di qualche personaggio, tra cui quello della Angel Salvadore interpretata da Zoe Kravitz (figlia del noto cantante Lenny). Questo X-Men: l'inizio, prequel che presenta quindi le peculiarità e gli obiettivi programmatici del reboot, si rivela così un prodotto godibile e ben costruito, che grazie anche a un'attenta e vivace regia riesce a non annoiare mai nei suoi 130 minuti di durata. Un riazzeramento che dona nuova freschezza a una saga che sembrava aver detto, cinematograficamente, tutto quello che doveva dire: merito dell'idea iniziale di Synger, "padre" cinematografico del franchise, ma anche di una sceneggiatura che riesce a ricreare e approfondire, intelligentemente, il background di personaggi che per la loro problematicità non smetteranno mai di essere fonte di fascino. Segno che la serialità e il ri-narrare (ma non è questo, in fondo, ciò che il cinema nella sua storia ha sempre fatto?) non sono necessariamente segni di mancanza di idee o di prodotti di scarso spessore concettuale.
Movieplayer.it
3.0/5