Il provino ha funzionato per vari mesi, quanto bastava perché mi gettassi nell'abisso delle riprese de La visita... come la donna che si era lanciata tra i coccodrilli, e li abbracciava mentre se la mangiavano.
Per un regista quale Pedro Almodóvar, che fin dagli anni Ottanta si è imposto sulla ribalta internazionale come uno dei pionieri del postmoderno, un aspetto fondamentale della sua poetica è costituito dalla rivisitazione di due generi emblematici del cinema classico, spesso amalgamati l'uno all'altro: il melodramma e il noir. Il connubio fra le esplosioni emotive del mélo e la fatalità torbida e tragica del noir fungeva da perno già per il primo esperimento di Almodóvar in tal senso, ovvero Matador del 1986, e ancor di più in seguito per La legge del desiderio del 1987, primo successo trasversale per il cineasta castigliano. Ma è nel 2004, con La mala educación, che tale connubio raggiunge il suo picco più elevato, in virtù di un'opera tanto inquietante quanto fascinosa, in cui Almodóvar riversa passioni cinefile e stilemi da sempre al cuore della sua filmografia, a partire dall'elemento metanarrativo.
Ed è un regista, non a caso, il personaggio su cui si apre la pellicola, nella Madrid del 1980: si tratta del giovane Enrique Goded, interpretato da Fele Martínez (lanciato pochi anni prima da Alejandro Amenábar), che ritaglia articoli di giornale in cerca di un'ispirazione per il suo prossimo progetto; ispirazione che, all'improvviso, bussa alla porta del suo ufficio nelle sembianze di Ignacio Rodriguez (Gael García Bernal), attore spiantato nonché ex-compagno di collegio di Enrique, all'epoca in cui entrambi erano bambini. Ignacio, che ora ha assunto il nome d'arte di Angel Andrade, consegna nelle mani di Enrique un racconto intitolato La visita e basato su una vicenda avvenuta sedici anni prima, al tempo della loro infanzia: la convivenza di Ignacio ed Enrique nella scuola cattolica diretta da padre Manolo (Daniel Giménez Cacho), sacerdote dedito ad atti di pedofilia, e la scoperta di un desiderio reciproco da parte dei due studenti, prima della loro repentina separazione.
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Riscrivere il passato: un tuffo nell'abisso
Con la lettura de La visita da parte di Enrique abbiamo il primo spostamento di focalizzazione di un film imperniato appunto sulla pluralità delle prospettive, sulle oscillazioni della memoria e dello sguardo, ma anche sulla volontà di rivivere i ricordi nel tentativo di assumere il controllo del passato e, magari, di riscrivere la storia e ridefinire la propria identità. L'identità, del resto, è una delle ossessioni di numerosi personaggi almodóvariani: che si tratti di travestiti o transessuali, come ne La legge del desiderio, Tutto su mia madre e, per certi versi, il successivo La pelle che abito, oppure di alter ego (la scrittrice de Il fiore del mio segreto) o di proiezioni di se stessi, come nel caso dell'autobiografico Dolor y gloria. E ne La mala educación, Enrique è il regista - ergo, il narratore - che sceglie di rituffarsi in un'infanzia traumatica, con impeto autodistruttivo ("come la donna che si era lanciata tra i coccodrilli, e li abbracciava mentre se la mangiavano"), attraverso il linguaggio del cinema.
Ma "l'abisso" a cui fa riferimento Enrique è un sistema di scatole cinesi in cui ogni narrazione ne apre una nuova, in un gioco di specchi via via più complesso e vertiginoso. Il racconto di Ignacio/Angel ci riporta al 1964, al contrasto stridente fra le note di Moon River in una soleggiata oasi bucolica e l'apparizione minacciosa di padre Manolo nelle tenebre notturne del collegio; passando però anche per il 1977, data del fugace incontro fra un Enrique adulto, inebriato dall'alcol, e un Ignacio che nel frattempo ha assunto l'aspetto di una drag queen di nome Zahara, determinata a ottenere l'agognato riscatto per gli abusi a cui era stata sottoposta. Nel film non si parla esplicitamente di politica, ma tra le violenze subite dai protagonisti e la loro rinnovata esistenza da adulti, immersi nel clima della Movida, si colloca una significativa cesura: la morte di Francisco Franco nel 1975 e la transizione democratica della Spagna, che proprio nel 1977 sarebbe tornata alle prime elezioni libere dopo oltre quarant'anni.
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Il noir secondo Almodóvar e la femme fatale di Gael García Bernal
E tuttavia, la libertà di questi personaggi ormai cresciuti non corrisponde a un completo senso di pacificazione, come Pedro Almodóvar sembra suggerirci mediante i dettagli delle loro vite attuali: il blocco creativo di Enrique, che ha preso in affitto una villa semivuota, in cui gli scatoloni ancora da disfare indicano uno stato di perenne transitorietà; e l'insistenza di Ignacio sullo pseudonimo di Angel, quasi a voler obliterare un intero passato. "La gente cambia con il tempo", replica stizzito, quando Enrique gli rimprovera di non riconoscere in lui il ragazzo di cui si era innamorato; "Se avessi continuato ad essere come il bambino che tu hai conosciuto, ora sarei morto". La mala educación, in fondo, è un'opera in cui i codici del melodramma e del noir sono strumenti per un'indagine sull'elaborazione di un trauma e sulla necessità di cambiare per sopravvivere, ma in cui il percorso dei protagonisti è turbato inesorabilmente dal fattore erotico, associato come da tradizione a un ineluttabile senso di pericolo.
L'attrazione omoerotica è l'arma utilizzata da Angel nei confronti di Enrique, in un rapporto sbilanciato di potere in cui l'aspirante attore si denuda a bordo piscina al cospetto dello sguardo del regista: uno sguardo in cui il desiderio di possesso per quel corpo da 'rimodellare' a fini narrativi si mescola al sospetto per un personaggio che corrisponde a una declinazione gay e postmoderna dell'archetipo della femme fatale. E il venticinquenne messicano Gael García Bernal, che si era già fatto conoscere grazie ad Amores perros e Y tu mamá también, conferisce al ruolo di Angel una duplicità in cui si fondono una mascolinità prorompente e una bellezza delicata ed efebica: Angel è Ignacio, ma è anche il suo Doppelgänger femminile Zahara e in seguito, come scopriremo, Juan, dark lady al maschile che architetta un omicidio indossando occhiali scuri, come Barbara Stanwyck ne La fiamma del peccato (citato in una galleria di poster di classici del noir). Il perfetto volto-simbolo di uno dei film più sensuali e conturbanti di un autore che ha saputo rileggere il cinema del passato in maniera personalissima e straordinariamente audace, e che qui ce ne fornisce una prova magistrale.