Un bacio spezzato e una pellicola distrutta. L'illusione del cinema che d'improvviso svanisce portando via con sé anche l'incanto del desiderio. Quella del primo appuntamento fra Sebastian Wilder e Mia Dolan al Rialto di Los Angeles è una delle scene più emblematiche di La La Land: un momento di "cinema nel cinema" in cui l'omaggio a un grande classico, Gioventù bruciata di Nicholas Ray, funge non solo da veicolo per l'evoluzione della love story fra i due protagonisti, ma anche da esempio dell'armoniosa convivenza, all'interno del film, del duplice piano della realtà e dell'immaginazione.
E a maggior ragione all'interno di un musical, in cui per forza di cose qualunque intento mimetico deve piegarsi alle regole ben codificate del genere di appartenenza, la realtà viene contaminata puntualmente da una dimensione 'altra', riconducibile alla sfera della creazione artistica: il cinema, magnifica ossessione della Mia di Emma Stone fin dall'infanzia, e la musica, a cui il pianista Sebastian di Ryan Gosling si è consacrato con dedizione assoluta. Per entrambi, tuttavia, la sfera artistica non è soltanto una vocazione a cui è impossibile sottrarsi, ma anche un rifugio dalle insoddisfazioni del reale: un rifugio ammantato, come nel caso della serata al Rialto, di un'intensa nostalgia per un'epoca lontana eppur viva e presente.
E non è un caso, allora, se Mia compare coma una visione davanti allo schermo, illuminata dal raggio del proiettore; e se il primo bacio fra lei e Sebastian sta per consumarsi davanti alle immagini di Gioventù bruciata, salvo poi interrompersi, un attimo prima del contatto fra le labbra, all'incepparsi della pellicola. James Dean si dissolve, le luci si riaccendono e i due innamorati vengono bruscamente richiamati alla realtà. Almeno fino alla scena successiva...
Leggi anche: Recensione di La La Land: la vita non è un musical
"A somewhere that's just waiting to be found": Mia nella città delle stelle
L'anelito al passato, indispensabile modello di riferimento nella costruzione del futuro, tanto per Mia quanto per Sebastian, si propone come un leitmotiv per tutto il meraviglioso film di Damien Chazelle: un film in miracoloso equilibrio fra l'ispirazione dai classici e una modernità incontestabile. Per Mia, come per Sebastian, il legame con il passato costituisce un approccio privilegiato all'esistenza stessa, la "chiave di lettura" per un presente che non lesina frustrazioni e sconfitte. Dopo la folgorante apertura in long take con Another Day of Sun, nell'assolato inverno losangelino ritroviamo Mia in un café degli studi della Warner Bros: un luogo imbevuto di un'eredità leggendaria, di cui lei racconta di essersi nutrita fin da bambina, sfogliando libri sul cinema della Golden Age di Hollywood. Ora, da adulta, Mia vive immersa nel 'teatro' di quella "età d'oro", nella speranza di poter anche lei entrare a far parte di un mondo tanto a lungo ammirato.
Quello di Mia è innanzitutto un amore per i luoghi del cinema (durante la visita di Sebastian, lei gli indica con entusiasmo il balcone di Casablanca) e per le sue icone. In questo senso, la scenografia dell'appartamento della ragazza offre una perfetta espressione del suo universo interiore, fra i poster di pellicole comprese tra gli anni Venti e i Quaranta e la gigantografia di Ingrid Bergman a riempire un'intera parete. Un puro vezzo cinefilo di Chazelle? Non del tutto: se La La Land è senz'altro un film rivolto anche al passato, a innervarlo di modernità è proprio la consapevolezza della distanza incolmabile fra quel passato, mai vissuto e quindi inevitabilmente idealizzato, e un "qui e ora" che rende i due protagonisti incapaci di sentirsi veramente parte del proprio tempo. Una sorta di alienazione suggerita, mediante una messa in scena di formidabile intelligenza, nella seconda parte del numero musicale Someone in the Crowd.
Nel cuore del "party selvaggio" di qualche pseudo-celebrità del sottobosco hollywoodiano, all'apice della frenesia danzerina dipinta con i movimenti vorticosi della macchina da presa, di colpo la melodia rallenta, tutte le comparse si paralizzano in una temporanea immobilità e la voce di Emma Stone si riempie di sfumature malinconiche. Nel bel mezzo della sala Mia, un "qualcuno nella folla" in cerca di qualcun altro simile a lei, realizza in maniera inconfutabile il proprio senso di solitudine, sottolineato dagli ultimi versi della sua strofa: "Somewhere there's a place where I find who I'm gonna be/ A somewhere that's just waiting to be found".
Leggi anche: La La Land, i numeri musicali: tutte le magie di Damien Chazelle
"City of stars, are you shining just for me?": l'ultimo romantico
Contemporaneamente ai sogni di gloria di Mia, sulla scia di un canovaccio simile a quello di innumerevoli musical dell'età d'oro incentrati sul topòs della "scalata al successo" (dai toni gioiosamente frivoli di Cantando sotto la pioggia a quelli ben più struggenti di È nata una stella), La La Land ci invita a seguire il percorso parallelo di Sebastian. In questo caso Chazelle si smarca, almeno in parte, dagli stilemi del musical tradizionale, a riprova del fatto che La La Land non è affatto una sterile imitazione di un genere ormai cristallizzato, e recupera dal precedente film del regista, Whiplash, gli elementi chiave dell'amore per il jazz e della musica come passione totalizzante, destinata a condizionare ogni altro aspetto della vita del protagonista. Se l'appartamento di Mia è una collezione di locandine di film in bianco e nero, Sebastian custodisce gelosamente i cimeli dei propri idoli del jazz, in uno strenuo tentativo di proteggerne la memoria dall'incalzare del presente e delle sue contaminazioni (l'odiatissimo binomio "salsa & tacos").
"Sei un romantico", lo accusa la sorella Laura (Rosemarie DeWitt), e la replica di Sebastian è esemplare: "Lo dici come se fosse una cosa negativa". Sebastian, del resto, è l'alfiere di un romanticismo forse fuori dal tempo, ma a cui non è disposto a rinunciare, al punto da trasfigurare perfino le proprie disgrazie nei cliché di un canonico racconto di rivincita: "Sto lasciando che la vita mi colpisca finché non si stanca; poi risponderò ai colpi. È un classico rope-a-dope". E se a proposito di Mia avevamo fatto riferimento a un passato idealizzato proprio in quanto mai vissuto direttamente, ma solo attraverso i suoi simboli, il medesimo discorso è addirittura più valido nel caso di Sebastian: la 'causa' a cui non può fare a meno di dedicarsi è il jazz più puro. Al contrario ad essere inesorabilmente bersaglio di scherno e fonte di imbarazzo, nella sequenza della festa primaverile, è la musica pop degli anni Ottanta, ovvero il decennio dell'infanzia di Sebastian e Mia: una musica rivisitata a suon di anacronistici sintetizzatori e di pacchiani costumi sgargianti.
Leggi anche: La La Land, il piano sequenza iniziale: quando il cinema si fa meraviglia
"We've stumbled on a view that's tailor-made for two": due per la strada
Allo stesso modo in cui The Artist, altro crowdpleaser canonizzato dagli Oscar, non si limitava a riesumare i codici del cinema muto, ma li 'indossava' con uno spirito a suo modo contemporaneo, La La Land non può essere bollato come un semplice divertissement intenzionato a ricalcare le convenzioni del musical classico. Anzi, in misura ancora superiore rispetto al film di Michel Hazanavicius, Damien Chazelle riesce a conferire un preciso significato al "gioco di specchi" fra il suo musical datato 2016 e le pietre miliari di registi come Vincente Minnelli, Gene Kelly, il Robert Wise di West Side Story e il Bob Fosse di Sweet Charity, pur recuperando da tutti costoro (e da altri) il materiale per citazioni più o meno evidenti. In La La Land, infatti, la rievocazione dell'immaginario del musical, e in generale della Hollywood degli anni Quaranta e Cinquanta, è strettamente correlata alla profonda nostalgia che accomuna Mia e Sebastian, alla coscienza della natura irripetibile (irripetibile, se non appunto nello spazio/tempo dei sogni) di quel mondo, spazzato via dall'incedere del tempo (la chiusura del Rialto, il declino del jazz).
Come resistere, pertanto, a un tale struggimento? Con la fantasia, ovviamente... e così, se la pellicola di Gioventù bruciata va a fuoco e i cinema storici devono cedere il passo ai multisala, Mia e Sebastian possono sempre trovare riparo nel planetarium del Griffith Observatory, sulle orme di James Dean e Natalie Wood, per volteggiare insieme fra le stelle. Se però i musical della Hollywood classica sancivano il trionfo incontrastato della dimensione del sogno, portandolo ad aderire appieno alla realtà messa in scena, in La La Land tale coincidenza non è più possibile: Mia e Sebastian sanno bene che la via del successo richiede compromessi non sempre conciliabili con i sentimenti, e che le strade della vita talvolta possono far prendere alle persone direzioni divergenti. In questa prospettiva, il film di Damien Chazelle si rivela molto più prossimo al cinema di Jacques Demy, in particolare all'indimenticabile Les Parapluies de Cherbourg (indicato fra l'altro da Chazelle come la sua fonte d'ispirazione primaria), che non all'ottimismo privo di ombre o quasi del musical classico.
Leggi anche: Scene da musical: 30 film e momenti indimenticabili
"Here's to the hearts that ache": ode ai folli sognatori
Se dunque l'autunno di La La Land si sviluppa nel segno di un progressivo disincanto rispetto ai palpiti di una primavera di passione, ancora più forte è il valore assunto dall'epilogo del film, ambientato a cinque anni di distanza dagli eventi narrati in precedenza. Più forte perché, se Mia e Sebastian hanno rinunciato entrambi all'amore che li univa, l'irruzione inattesa del sogno nelle loro vite rialza il sipario, benché soltanto per la durata di un'ultima melodia, su un mondo che hanno perduto per sempre. Epilogue, meraviglioso numero che nell'arco di sette minuti ripercorre la storia dei due ex amanti, fra ricordi indelebili e dolcissimi what if, diventa così una perfetta sublimazione del rimpianto: una macrosequenza che fra echi di Un americano a Parigi, con quelle scenografie fatate e vistosamente artificiali, e dello sfondo stellato di Balla con me, chiude il capolavoro di Chazelle con uno dei momenti di cinema più spettacolari e commoventi a cui si possa avere la fortuna di assistere. E appena la musica finisce, quasi per paradosso, sono i due elementi più semplici della grammatica filmica, un campo e un controcampo, a trasmetterci la malinconia e il dolore di due innamorati che conserveranno sempre nel cuore quelle immagini e quelle note. Esattamente come noi, dall'altra parte dello schermo.