La guerra è finita è la nuova fiction di Rai 1 che è riuscita a raccontare un tema doloroso come quello dell'olocausto con una storia poco conosciuta permettendo di guardare all'orrore con occhi innocenti. Grazie a due attori del calibro di Michele Riondino e Isabella Ragonese, ma soprattutto ai giovani elementi del cast, veri protagonisti delle vicende, questa fiction ha saputo colpire al cuore gli spettatori della rete ammiraglia della Rai premiandola con il 21% di share. Più di 4 milioni di persone si sono ritrovate davanti alla tv per seguire le vicende di Davide, Giulia e Ben alle prese con la costruzione di una casa famiglia per l'accoglienza di tutti i bambini e ragazzi reduci e orfani dei campi di concentramento. Liberamente ispirata a una storia vera, La guerra è finita è diretta da Michele Soavi e prodotta da Rai Fiction e Palomar e ci accompagnerà in prima serata ogni lunedì fino al 3 febbraio 2020.
Come è nata la serie
Girare questa serie ha richiesto molto lavoro, sia per rielaborare i fatti in una storia originale, sia per la realizzazione effettiva (ne abbiamo parlato nella nostra recensione de La guerra è finita). Carlo degli Esposti, durante la conferenza, ha fatto luce su una parte del percorso che ha portato al prodotto finale: "A distanza di venti anni dalla fiction Perlasca un mio amico israeliano mi portò un libro che raccontava questa storia e con Sandro Petraglia decidemmo di trasformarla in un progetto originale. In questa storia ho portato l'esperienza di aver lavorato già con i bambini in Braccialetti rossi, questi sono un po' i braccialetti rossi del dopoguerra." Aggiunge poi: "L'Italia è cambiata, ci sono tanti meccanismi che stanno ricominciando piano piano a funzionare e un film del genere ci dà un termometro di come siamo messi nel paese, spero che il pubblico ci dia un grande segnale di speranza."
Il regista Michele Soavi aggiunge un tassello relativo al lungo percorso di lavorazione parlando delle sue motivazioni e impressioni: "Per fare questa serie mi sono aggrappato a due cose: una la mia famiglia, perché mia nonna si chiamava Levi di cognome ed era la cugina di Natalia Ginzburg, che è stata citata in questa storia, e questo mi ha fatto sentire molto calore, qualcosa che di familiare. L'altra è stata una filastrocca che ricordo fin da ragazzo, che mi ha turbato tantissimo e che si avvicina a quanto raccontato: parlo del Re degli Elfi di Goethe che racconta di un padre, che per me era Michele Riondino, che corre all'impazzata al galoppo nella notte stringendo al petto un fagotto, suo figlio, e corre, corre nel tentativo di salvarlo. Questo raggio di speranza è quello che ci ha fatto fare questo lavoro, la speranza che lui trovasse sua moglie e il figlio." Parlando della creazione di questo racconto, della scelta di cosa raccontare e di come raccontarlo aggiunge: "La stesura di questo storia ci ha spinto a trattenere delle cose, a non raccontarle, perché alcune non sono raccontabili. Raccontare in modo così filtrato ci da la speranza di farci seguire da un pubblico giovane."
La difficoltà nel mettere su schermo l'orrore
Sandro Petraglia, sceneggiatore di La guerra è finita, ha tenuto a mettere in luce la difficoltà, se non l'impossibilità, di raccontare correttamente esperienze così traumatiche e inumane: "È quasi impossibile raccontare i campi, raccontare il lager. Non è filmabile. Quindi quando Carlo mi ha parlato di questa esperienza avvenuta in un piccolissimo comune della Lombardia ho pensato che quello che questa serie poteva raccontare era il dopo, quindi non l'orrore dei campi, se non con brevi flash, perché non possiamo raccontare quelle magrezze, quelle sofferenze. Il dopo, invece, è pieno di speranza e oltre alla storia dei bambini è importante raccontare le macerie del dopo guerra, ma anche lo stupore nel venire a sapere dei campi, perché nel 1945 in Italia nessuno sapeva niente."
Michele Riondino e Isabella Ragonese interpretano due figure adulte che, nel cercare di restituire una quotidianità ai giovani ragazzi si imbatteranno nelle dure e terrificanti rivelazioni che in vari modi trapeleranno durante il difficile recupero di una vita normale: "Credo che questa serie e il progetto in sé ha dato la possibilità a noi interpreti, ma anche agli spettatori, di ascoltare le storie che siamo abituati a sentire dai sopravvissuti, persone adulte con una certa età, dal punto di vista delle vittime fresche, appena salvate" ha affermato Riondino, che ha aggiunto: "Sentirle dalle voci pulite e inconsapevoli di chi ha subito traumi indescrivibili, tentativi di suicidio, stupri, mancanza di cibo e da interpreti che non conoscono la storia dei campi di concentramento forma una sorta di contrasto che è un valore aggiunto. Voler raccontare il dramma dell'olocausto con la forza narrativa del diario di Anna Frank, è questa la forza di questo progetto, un modo nuovo per affrontare il tema e dare forma alla memoria, sopratutto oggi che si tende a far diventare un opinione quello che è stato un crimine." E ha poi aggiunto Isabella Ragonese: "Tutti noi facciamo i conti col passato, Giulia non ha vissuto in prima persona la guerra. Il senso di colpa familiare è un motore per lei, vuole sanare questa ferita. Vuole far parte di questa bella generazione che sono stati i nostri nonni e bisnonni e che hanno costruito un'idea di futuro."