La gente vola
Non capita spesso di uscire da una sala cinematografica con la consapevolezza di aver visto un grande film. E' quello che avviene dopo la visione di Anton's Right Here, documentario diretto dall'ucraina Lyubov Arkus, presentato Fuori Concorso alla 69.ma Mostra Internazionale d'Arte Cinematografica di Venezia. L'Anton del titolo è un ragazzo autistico che vive con la madre in un quartiere periferico di San Pietroburgo. Quando alla donna viene diagnosticato un tumore maligno, il rischio che il giovane corre è quello di finire i suoi giorni in una clinica psichiatrica, assieme ad altri 'incurabili' come lui. Fondatrice della rivista Séance, di cui è stata editore fino al 1993, autrice di un apprezzato libro su Aleksandr Sokurov, la Arkus racconta la storia di queste persone, seguendole in un arco di tempo molto ampio, dal 2008 ad oggi, lavorando ad un progetto diventato una ragione di vita più che un semplice cimento lavorativo (la pellicola è oltretutto il suo esordio registico).
Diviso in cinque capitoli che scandiscono in maniera rigorosa l'evoluzione di Anton, adolescente con gravissimi handicap cognitivi e comportamentali prima e, dopo svariati anni trascorsi in una clinica riabilitativa, giovane uomo in grado di vivere da solo poi (seppur con la stretta vicinanza di volontari), il film mostra fin da subito e senza fronzoli la sfida rappresentata dal vivere con un figlio autistico. La madre Rinata è giustamente angosciata dall'idea che il suo Anton possa crescere da solo. Con un padre allontanatosi volontariamente ed una malattia destinata ad aggravarsi sempre di più, il ragazzo avrebbe avuto poche speranze di riuscire a condurre un'esistenza dignitosa. E' l'incontro tra una madre disperata e una regista sui generis a rivelarsi invece salvifico per tutti; come se vivere in primo piano quella storia e esserne testimoni potesse in qualche modo mettere tutti sullo stesso piano e quindi rappresentare per ognuno di loro una via d'uscita dalla disperazione. Il documentario raggiunge un bilanciamento perfetto tra cronaca dei fatti e forma cinematografica, con una compiutezza stilistica che sorprende ed emoziona; un equilibrio raro e prezioso tra storia e immagini. Tutto ciò è stato possibile grazie all'approccio 'rivoluzionario' adottato dalla regista, supportata dal grande lavoro del direttore della fotografia Alisher Khamidkhodzhaev; la Arkus infatti non tratta la storia di Anton come se fosse un mero oggetto di studio, ma riesce a relazionarsi con lui in maniera profonda, seguendone i tempi, assecondandolo, senza mai dare l'idea di spiarlo. Il rapporto tra regista e 'attore' nasce quindi su basi totalmente affettive e non utilitaristiche e il risultato che si ottiene è un'opera palpitante e vera. "Invece che con un progetto, dovevo misurarmi con un ragazzo", racconta l'autrice nel suo commento fuori campo. Nelle quasi due ore di durata entriamo nell'universo di questo ragazzo che vediamo cambiare sotto i nostri occhi ed è grazie al contatto umano che Anton impara a comunicare col mondo, a presentarsi agli altri senza paure, perfino a piangere. Scrive i suoi pensieri e li condivide, ritrova il padre assente proprio grazie alle immagini che la Arkus al termine delle riprese ha presentato all'uomo, dapprima spaventato dal compito di doversi occupare del figlio da solo dopo la morte della ex moglie. Il titolo del film altro non è che la forte rivendicazione del protagonista, un modo per dire che esiste, che non può essere ignorato o peggio ancora cancellato. 'La gente sopporta, la gente si scompiglia i capelli, la gente ha fretta, la gente vola', scrive Anton nel tema che legge ad alta voce al termine del documentario. Il regalo finale che Lyubov gli fa è mettere tra la sue mani la macchina da presa e lasciarlo libero di riprendere. Il regalo che Anton fa a noi spettatori è un'inquadratura del cielo.Movieplayer.it
5.0/5