La Dolce Villa, recensione: più che un film, un cliché generato con l'AI

Non si salva praticamente nulla di una commedia dall'artificiosità opprimente, sfociando addirittura in uno spot continuo e smaccato. In streaming su Netflix.

I protagonisti di La Dolce Villa

Oltre la mera cartolina, qui siamo dalle parti della guida turistica. Una guida patinata, ruffiana, totalmente irreale rispetto ad una veridicità filtrata attraverso uno sguardo cinematografico totalmente nullo. Se in passato siamo stati cattivi nei giudizi con titoli statunitensi girati e ambientati in Italia come To Rome With Love o Mangia, Prega, Ama (erano pur sempre diretti da Woody Allen e Ryan Murphy), qui siamo ben oltre lo spot di una film commission. E fa strano pensare che dietro La Dolce Villa (un titolo che è tutto un programma: sic!) ci sia Mark Waters, lo stesso regista di Mean Girls e di altre commedie di inizio Millennio (da Quel pazzo venerdì a La rivolta delle ex, ed ha pure prodotto 500 Giorni insieme).

La Dolce Villa Scena Film
Violante Placido e Scott Foley

In mezzo al film Netflix (e dove sennò?), un plot che assembla la riscoperta di certi territori, il valore delle piccole cose, il rapporto padre e figlia, e poi pure l'ecosostenibilità (giusto per non far mancare nulla), un vecchio stereo che gracchia Luciano Pavarotti e l'immancabile primo piano sul gelato. Il gusto? Ovviamente stracciatella. Il tutto, tracciato seguendo uno schema narrativo tarato e misurato con l'algoritmo. Insomma, dopo l'imbarazzante Love & Gelato del 2022 (ambientato a Roma), ci risiamo: Netflix rimpinza il catalogo con operazioni che dovrebbero esportare il panorama italiano (facendo la stessa cosa con altre mete turistiche, dalla Grecia alla Francia), risultando però finta e impostata. Con tanto di auto-citazione: "Non c'è niente di interessante su Netflix?", chiede Giuseppe Futia, che interpreta lo spasimante della protagonista, in uno scambio di battute che vorremmo dimenticare.

La Dolce Villa: un americano in Toscana

La Dolce Vita Scena Film Toscana
Giuseppe Futia e Maia Reficco

Irradiato da una fotografia da catalogo, e seguito da un costante accompagnamento musicale (per riempire il vuoto della sceneggiatura?), La Dolce Villa racconta di Eric (Scott Foley), classico workaholic statunitense che vola in Italia per scoraggiare l'intraprendente figlia Olivia (Maia Reficco) ad acquistare (per solo un'euro!) una splendida cascina poco fuori un idilliaco e ipotetico paese toscano chiamato Montezara (il film è stato girato nella meravigliosa San Quirico d'Orcia, in provincia di Siena, mentre la villa si trova a San Gregorio, vicino Tivoli, nel Lazio, ed è un agriturismo). La casa però è da ristrutturare, e così i lavori vengono seguiti dalla sindaca Francesca (Violante Placido) che, nemmeno a dirlo, colpirà i sentimenti di Eric, che finirà pure a fare le mozzarelle.

Un film generato con l'AI

La Dolce Vita Scena Film Netflix
Una scena de La Dolce Villa

Osiamo, e puntelliamo un giudizio che non può essere mai salvifico, mortificheremo altrimenti la nostra onestà intellettuale: La Dolce Villa sembra scritto e girato dall'intelligenza artificiale. Avete presente le foto e i filmati generati dall'AI, nel quale tutto è inquietantemente saturato e inquietantemente illusorio? Ecco: il film di Waters, scritto da Elizabeth Hackett e Hilary Galanoy (autrici di frivole commediole), è esattamente così. L'irreale che prova ad imitare la realtà, sfruttando il luogo comune come motore narrativo, fino all'epilogo ampiamente prevedibile (nemmeno a dirlo). A spiccare, i dialoghi vicini all'inverosimile.

La Dolce Villa Scena Maia Reficco
Un primo piano di Maia Reficco

Un'insieme di informazioni che diventano quindi dei personaggi impossibili, all'interno di un prodotto frutto di un'idealizzazione standard, e se vogliamo ormai superata: il giro in bicicletta, una Fiat 500 (elettrica, tanto che c'è un continuo ammiccare alle colonnine di ricarica, come fosse una sorta di inside spot), le vecchiette impiccione sedute sulle panchine che citano pure Dunkin' Donuts, per l'ennesimo, smaccato e inconcepibile messaggio promozionale. E, tenetevi forte, ne La Dolce Villa c'è pure la pizza, rigorosamente italiana, e rigorosamente surgelata, prima della scontata catarsi: l'americano pragmatico che si lascia rapire dalle bellezze italiche, ricostruendo il rapporto con la figlia emancipata.

E poi? Potremmo parlare del cast, impacciato e mai stimolante, mai credibile e mai agganciato allo script (l'unica a salvarsi è Maia Reficco, forse per via della sua giovane età); potremmo parlare di quanto ci sia un opprimente senso di generale artificio scenico, narrativo e, ripetiamo, interpretativo. Non è questione di visione leggera, né di sacrosanto intrattenimento: La Dolce Villa è solo un gigantesco, svilente e improbabile cliché (supportato dal Tax Credit), che sembra copiare e incollare le repliche dei film tv di quart'ordine che passano distrattamente il sabato pomeriggio.

Conclusioni

Se le piattaforme streaming sono diventate pura tv generalista, La Dolce Villa è l'esempio di quanto certe produzioni si siano ormai consolidate sul livello della mediocrità. Un film in cui si salva poco o nulla (forse, solo Maia Reficco), rimpinzato da cliché continui, frasi improbabili, dialoghi al limite della macchietta e continui rimandi a marchi o prodotti. Uno smaccato product placement turistico, avvolto da una snervante sensazione di artificiosità.

Movieplayer.it
1.0/5
Voto medio
3.0/5

Perché ci piace

  • Forse, si salva solo Maia Reficco.

Cosa non va

  • Una sceneggiatura nulla.
  • Stereotipi da intelligenza artificiale.
  • Un continuo spot.
  • Artificiosità generale.