Recensione La collina dei conigli: su Netflix, scontro fra roditori in CGI

La recensione de La collina dei conigli, nuovo adattamento seriale del romanzo di Richard Adams disponibile su Netflix.

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La collina dei conigli: una foto della nuova serie tv

La collina dei conigli è una miniserie in quattro parti, prodotta da BBC e Netflix e basata sull'omonimo romanzo di Richard Adams. Un gruppo di conigli deve lasciare il proprio habitat in seguito all'intervento dell'uomo, anticipato da una visione profetica del giovane Fiver (doppiato in originale da Nicholas Hoult). Guidati da Hazel (voce di James McAvoy), i superstiti cercano un nuovo posto dove vivere, e devono fare i conti con diverse minacce: gli abitanti di una fattoria, le strade invase dalle automobili e la comunità di Efrafa, una società dispotica dominata dal crudele generale Woundwort (voce di Ben Kingsley). Riusciranno ad avere una vita tranquilla sulla collina?

Buona la terza?

Quando si pensa a La collina dei conigli viene in mente soprattutto il film del 1978, una delle produzioni britanniche più acclamate e controverse di sempre: da un lato è sempre stato oggetto di ammirazione per la qualità dell'animazione e per la fedeltà ai contenuti e alle tematiche del romanzo originale, il che diede vita a un lungometraggio insolitamente cupo considerando che è una storia con protagonisti animali parlanti; dall'altro, proprio per la sua natura tutt'altro che edulcorata, genera ancora scalpore quando ignari genitori scoprono che non è una simpatica fiaba per bambini, al punto che nella natia Inghilterra la BBFC - la commissione che decide i limiti d'età - riceve ogni anno lamentele per avergli assegnato il visto "per tutti". Per questo motivo, la serie animata trasmessa dal 1999 al 2001 adottò un tono decisamente meno dark, eccetto per la terza stagione che non fu proprio trasmessa nel Regno Unito.

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La collina dei conigli: una foto della nuova serie tv

Ora siamo arrivati al terzo adattamento del libro, in partnership tra la BBC e Netflix: la rete ammiraglia inglese ha trasmesso i quattro episodi in due blocchi, il 22 e il 23 dicembre, mentre il gigante dello streaming propone la miniserie completa al pubblico internazionale in contemporanea con la conclusione della messa in onda britannica. In entrambi i casi entra a far parte del palinsesto natalizio, soprattutto in patria dove la programmazione festiva è sempre molto importante (nel 2018 manca all'appello Doctor Who, ma ci sono speciali natalizi di altre serie di punta, oltre all'ormai consueto appuntamento con le opere di Agatha Christie). E proprio questo dettaglio la dice lunga sul percorso che ha portato a questa terza trasposizione: il periodo di programmazione, così come lo slot nel palinsesto della BBC (prima serata), suggerisce che il target non sia limitato a una fascia d'età più adulta come invece capitato con il film. C'è anche una componente intertestuale e metatelevisiva in tal senso, con un'entrata in scena del gabbiano Kehaar che è accompagnata da una musica che sembra uscita da un episodio delle avventure del Signore del Tempo (non a caso, il personaggio è doppiato da Peter Capaldi). Insomma, da Watership Down (il titolo originale) siamo passati a watered down: una storia ammorbidita nei toni, che segue la struttura del romanzo ma altera, aggira o elimina del tutto i passaggi più cruenti.

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Una trama avvincente e un grande cast

Stonehearst Asylum: lo sguardo attonito di Ben Kingsley in una scena del film
Stonehearst Asylum: lo sguardo attonito di Ben Kingsley in una scena del film

Rimane inalterata l'efficacia del racconto, una trama dallo stampo molto classico, con atmosfere omeriche e un elemento allegorico che non lascia indifferenti. In questa sede è anche lodevole il tentativo, non sempre riuscito, di dare uno spessore maggiore ai personaggi femminili, che nel libro esistevano praticamente solo per scopi riproduttivi. Anche per questo motivo, presumibilmente, tutti gli adattamenti del romanzo di Adams sono sempre riusciti ad attirare la crème de la crème della recitazione britannica (basti pensare che nel 1978 Hazel aveva la voce di John Hurt). Da Tom Wilkinson a Rosamund Pike, anche i personaggi minori tendono ad avere degli interpreti conosciuti, tutti in grado di dare ai conigli quella componente umana che in questo caso è fondamentale per compensare un difetto formale di non poco conto. Particolarmente memorabile e inquietante è il cattivo Ben Kingsley, il secondo ottimo antagonista animale su Netflix nel mese di dicembre dopo lo Shere Khan di Benedict Cumberbatch in Mowgli - Il figlio della giungla.

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Peccato che sia in CGI

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La collina dei conigli: una foto della nuova serie tv

La qualità della sceneggiatura e delle voci non distoglie però del tutto l'attenzione dall'unico, grande difetto di una miniserie che resta comunque complessivamente godibile: l'apparato visivo. Non che l'uso dell'animazione digitale sia di per sé un problema, anzi, è naturale che, quarant'anni dopo l'originale, si voglia tentare di aggiornare il look delle avventure di Hazel e compagnia bella. Solo che in questo caso, considerando anche chi c'è dietro in termini di produzione, l'estetica è davvero altalenante, per non dire sciatta in più momenti (soprattutto in diverse scene notturne, dove diventa difficile distinguere i personaggi dagli ambienti). Alle sequenze veramente belle, come il flashback iniziale del quarto episodio o la spiegazione della mitologia dei conigli nel primo, si alternano frammenti di piattezza estrema che fanno sì che, passato l'entusiasmo iniziale come evento natalizio, questa nuova incarnazione della storia non sia in procinto di diventare l'equivalente odierno di ciò che fu ai tempi la versione del 1978. Forse anche per questo, almeno in Italia, l'arrivo della miniserie su Netflix non è stato accompagnato subito dalla messa a disposizione del film, al fine di evitare paragoni troppo impietosi.

Movieplayer.it

3.0/5