La catena della morte parte dal cellulare
Approda nelle nostre sale, in un'estate particolarmente ricca di uscite, The Call - Non rispondere, ennesimo horror orientale soprannaturale, con, ancora una volta, uno strumento di comunicazione come oggetto del terrore. Il titolo del film, le tematiche e le innegabili somiglianze con analoghi prodotti del cinema orientale, rischierebbero di far storcere la bocca ed instradare pregiudizi anche ai più fedeli appassionati del genere, se non ci fosse come motivo di curiosità ed interesse la presenza dietro la macchina da presa di uno dei registi più anticonvenzionali del Giappone: Takashi Miike. Autore superprolifico di decine di pellicole di ogni genere (dal musical al gangster-movie, dall'horror alla commedia grottesca), Miike è pressoché sconosciuto in Italia, dove nessun suo film è stato distribuito. Nonostante questo è autore di culto a cui sono state dedicate molte rassegne, ed alcuni suoi film come Visitor Q e Audition, godono di una discreta fama in virtù della loro programmazione sulla tv satellitare.
Conclusa la necessaria premessa (necessaria perché potrebbe essere forviante che il grande pubblico scopra Miike con il meno personale dei suoi lavori), dedichiamoci alla trama e cioè all'elemento meno avvincente del film. La tranquilla vita scolastica di un college è turbata da eventi tragici con al centro lo strumento più usato dagli studenti: il cellulare. Quando una melodia ossessiva e ridondante sostituisce l'usuale suoneria e sul display appare la scritta "chiamata persa" con il proprio numero segnalato, l'ineluttabile segno del destino, sotto forma di richiamo dal mondo dei morti, è segnato. Sul telefono apparirà ora un messaggio che comunicherà dalla voce stessa del proprietario il momento della sua morte. Sarà compito di Yumi Makamura, amica di tutte le vittime, e di Hiroshi Yashimita, fratello della prima ragazza colpita, quello di far luce su questo terrificante mistero, vista la tipica reticenza e cecità della polizia.
Horror mainstream, scritto per spaventare nei modi più tradizionali e lontano anni luce dall'originale e molto spesso geniale approccio di Miike al cinema, The Call è comunque un prodotto di buona fattura (enormemente superiore a Phone, per confrontarlo con il titolo più affine) dove agli elementi orrorifici si mescolano la satira iperrealista (la parantesi sul cannibalismo televisivo) ed i toni melodrammatici (rintracciabili nella strutturazione della storia amorosa tra i protagonisti). Il regista giapponese, da abile narratore qual è, trova con grande semplicità un ottimo equilibrio tra le esigenze produttive e il suo inconfondibile stile, riuscendo a fornire al film un tocco personale, che i suoi ammiratori sicuramente riusciranno a scovare.
In virtù di questo, e delle premesse sulla convenzionalità del plot, è piacevole gustarsi il lavoro che Miike fa sul testo: nella prima parte, manipola e decompone la materia filmica in questione, pur mantenendo intatte tutte le coordinate narrative principali, semplicemente affidandosi al suo usuale e macabro senso dell'umorismo e utilizzando i prototipi del genere (su tutti il Ringu di Nakata, ma anche il suo successivo Dark Water) come cornici dotate di senso autonomo. Questa sensazione di citazione svogliata e pedissequa, quasi irriverente (Miike sembra volere celebrare la definitiva morte del genere più che il suo omaggio-adesione), si fa ancora più evidente negli sviluppi più ad alta tensione, nei quali il regista giapponese si affida per lungo tempo a suggestioni del tutto e per tutto assimilabili allo Ju-on: Rancore di Shimizu, prima di lasciarsi andare ad una coreografia dell'orrore in qualche modo personale. Nella parte conclusiva, infine, si concede un finale scoppiettante, ricco di ribaltamenti e a suo modo struggente e romantico.