La Canzone di Faye, la recensione: una ballata country per un (tenero) film sull'amore e sui ricordi

La recensione di La Canzone di Faye: due miti del cinema USA (Dale Dickey e Wes Studi) per un emozionante film sull'amore nella terza età. Tra i silenzi, le stelle e le rocce del Colorado. In streaming.

La Canzone di Faye, la recensione: una ballata country per un (tenero) film sull'amore e sui ricordi

Un camper. Un lago che riflette i colori d'orati del Colorado. L'arrivo di una persona speciale che potrebbe sconquassare anima e cuore. Nonostante le rughe sul volto siano sempre più marcate. Come mai prima, il cinema indipendente (e narrativo) americano, sta puntando in modo preponderante sullo stretto rapporto tra la geografia e la geografia umana. Una relazione lampante in Nomadland, in American Honey, in Nebraska. Tre titoli diversi, tre annate diverse ma, tutti e tre, fanno del territorio una vera e sincera parte integrante della storia. Lo stesso rapporto, strettissimo, lo troviamo ne La Canzone di Faye (titolo originale A Love Song), scritto, diretto, prodotto e montato da Max Walker-Silverman, nato e cresciuto proprio in Colorado prima di frequentare la New York University.

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Locandina di La canzone di Faye

Dunque, uno spassionato endorsement ad aprire la nostra recensione: a giudicare dal suo film d'esordio possiamo dire senza timore che la poetica americana contemporanea potrebbe aver scovato un altro grande autore. È un momento ricco, nonostante tutto, e La Canzone di Faye (arrivato in streaming sugli store di Apple TV+, Prime Video, Rakuten, Google Play, Chili) dimostra quanto lì fuori ci siano ancora delle belle idee, tradotte come in questo caso in un cinema adorabile, dolce, volutamente riflessivo e magicamente sommesso. Del resto, come si può parlare dell'amore e del desiderio vissuto in tarda età, se non con uno sguardo silenzioso e ricercato, carico di tenerezza e meraviglia?

In viaggio con Dale Dickey

E quanta tenerezza e quanta poesia nella protagonista, Faye, interpretata da Dale Dickey, vera e propria icona del cinema statunitense con alle spalle una sequela infinita di ruoli. Una donna sull'orlo (superato) dell'anzianità, che passa le sue giornate a pescare gamberi e ad osservare il volo degli uccelli. Faye è da tempo vedova, viaggia in camper ma, intanto, è ferma in un campeggio da qualche parte del Colorado. È ferma ma, intanto, si muove, sogna, impara. Soprattutto, aspetta. Come la terra arida attende la pioggia. Siamo nel cuore del selvaggio west, quello iconico, quello visto e rivisto in tanti film in bianco e nero. La location leggendaria dove sono nati - tra sangue e violenza - gli Stati Uniti d'America.

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La canzone di Faye: un'immagine

Proprio dal west arriva Lito (Wes Studi, altro mito del cinema USA, dal sangue cherokee), una figura del suo (tra)passato, anch'esso pronto ad un po' di ritrovata compagnia. Amici alle elementari, uno dei due ha provato a baciare l'altro (non sapremo mai la verità!), ora condividono birra fresca e ricordi. Due protagonisti che avrebbero tanto da dire ma, per scelta stilistica (notevole), decidono di lasciarsi andare quasi esclusivamente tramite gli sguardi e le guance rosse, mentre abbracciano idealmente la scarna e sostanziale sceneggiatura di Max Walker-Silverman.

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Musica e cuore

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La canzone di Faye: un momento del film

Dicevamo, la geografia. Una caratterizzazione umana delle sensazioni, che si unisce in modo diretto con il panorama circostante. La terra del Colorado, i mandriani e il loro strambo approccio alla vita (interpretati dagli amici del regista!), le stelle che, nelle notti buie, indicano la via per un casa che non ha confini. Un cosmo umano e naturale quello de La Canzone di Faye, che il regista fa (ri)suonare come fosse una straziante ballata country. È la musica, infatti, uno degli elementi più importanti del film, fin dal titolo. Il personaggio di Lito era un musicista, lo score di Ramzi Bashour è dosata ma alterna gli umori, ed è poi splendida la cover di Be Kind to Me di Michael Hurley reinterpretata da Dale Dickey e Wes Studi. Un featuring che, da solo, vale la visione. Non solo, la vecchia radio di Faye pare gracchiare sempre la traccia giusta.

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La canzone di Faye: una scena del film

Del resto, La canzone di Faye - prestato al Sundance, alla Berlinale, al Tribeca - è per stessa ammissione del regista un film dedicato alla sua terra d'origine, facendo degli spazi aperti e dei silenzi pregevole materiale cinematografico. I dialoghi sono fugaci, sommessi - "Ho dato il dono del silenzio con la consapevolezza che questi ruoli sarebbero stati interpretati da due maestri", ha dichiarato Max Walker-Silverman al Sundance - e allora ogni parola nel film è importante, fondamentale. Parole, musica e il suono naturale degli uccelli, dei grilli, del vento, del lago. Strati e archetipi, la solitudine e la semplicità. La prova che il tempo può sfuggire, ma che alla fine si torna sempre al punto di inizio. La Canzone di Faye è un film che resta, nella sua piccola e calda dimensione.

Conclusioni

Dale Dickey e Wes Studi sono due miti del cinema americano, perfettamente inseriti in un film che gioca con i silenzi e con i ricordi. Il tutto, davanti la cornice magica e impervia del Colorado. Dunque, concludiamo la recensione de La Canzone di Faye consigliandolo a tutti coloro che amano una certa narrativa statunitense, capace di unire – con semplicità e tenerezza – la geografia territoriale alla geografia umana. Il risultato, in questo caso, è un dolce e malinconico film sul bisogno di amore anche durante la terza età.

Movieplayer.it
3.5/5
Voto medio
3.2/5

Perché ci piace

  • I protagonisti, pazzeschi.
  • Il Colorado.
  • La musica, assoluto fulcro del film.
  • La tenerezza che lega i ricordi.
  • La durata, appena un'ora e venti.
  • È una storia d'amore d'âge, che si prende i suoi tempi...

Cosa non va

  • … tempi che potrebbero allontanare l'approccio del pubblico abituato allo streaming.