C'era una volta e forse c'è ancora: è il dolore sopito, il trauma mai affrontato, il passato tenuto nascosto sotto il tappeto del presente e con il tempo tramutatosi in fobia, angoscia, insicurezze. C'era una volta la zavorra di un ricordo infiltratosi sotto pelle, la sofferenza che si quadruplica, diventando un trauma fraterno, da spezzare e condividere in famiglia, come un segreto indicibile, una memoria da non proferire per inscatolarla nello spazio della fantasia.
Come sottolineeremo in questa recensione de La caccia, la fiaba nera diretta e interpretata da Marco Bocci si slega dagli ancoraggi dei lieti fini per inoltrarsi nel buio profondo dei segreti famigliari. A farsi calce costruttiva è una mescolanza di realtà e fantasia, ricordi falsati e memorie saldate. Un mix desolante, distruttivo, pronto ad attivarsi quando le parti in gioco si ritrovano per collidere al centro di un rendez-vous infernale, sabotatore, deflagrante. Ciononostante, qualcosa va perdendosi in questo labirinto di ricordi da reprimere e riunioni fraterne da cui scappare. Costruito su fondamenta solide, La caccia traballa proprio nel momento in cui dovrebbe sferrare il colpo decisivo. Ottimo nella presentazione delle proprie pedine, non trova il coraggio di muoverle all'interno del proprio gioco perverso di traumi e non detti, camminando in punta di piedi sulla superficie retorica di una morale esacerbata e mai veramente limata.
La caccia: la trama
Luca, Giorgio, Silvia e Mattia sono quattro fratelli diversi nel carattere e nei divergenti stili di vita. Luca (Filippo Nigro) è un abile venditore d'auto che progetta di allargare la propria attività; Giorgio (Paolo Pierobon) un padre e marito succube della propria famiglia; Silvia (Laura Chiatti) è una ex tossicodipendente, pulita ormai da tempo; Mattia (Pietro Sermonti) un pittore che si sforza di sopravvivere con lo stretto indispensabile. A seguito della morte del padre, i quattro si ritrovano nella villa di famiglia per risolvere la questione dell'eredità. Ed è proprio nello spazio dei luoghi che li hanno visti nascere, crescere, soffrire, che l'ombra del proprio passato riprendono vita colpendoli a pieno volto. E così, corridoi, sale e boschi lasciano che il ricordo riaffiori e con lui le paure, le insicurezze, i rimorsi e la sete di vendetta.
Fiaba nera per un racconto di odio contemporaneo
Ha un che delle fiabe grottesche dei Fratelli Grimm, La Caccia di Marco Bocci: nessun "vissero felici e contenti" ad accogliere i propri protagonisti alla fine del proprio cammino, ma solo un desolante "e sopravvissero in timore e fobie". Il fatto che il dolore generato da lutti e sensi di colpa continui raggiunga in maniera così profonda lo spettatore è direttamente proporzionale alla capacità di Bocci di tratteggiare con cura i propri personaggi. Con fare investigativo, il regista (qui alla sua seconda prova dietro la macchina da presa) insegue a debita distanza ognuno dei quattro fratelli; ce li mostra nella propria quotidianità, rivelando per loro stessa ammissione i propri punti deboli e le proprie fragilità. Con fare deciso modella caratteri, stabilisce dei precedenti credibili, sviluppa psicologie profonde: presi singolarmente i suoi protagonisti emanano interesse, magnetismo, sono pagine umane di una storia in cui immergersi e da approfondire. È nel momento in cui la caccia ha inizio e la lotta alla sopravvivenza prende vita, che tutto si depotenzia, sgonfiandosi come un palloncino usurato.
Fratelli serpenti
La famiglia come nido di serpi; il nucleo domestico come fucina di angosce, frustrazioni e incomprensioni: Marco Bocci prende in prestito un canovaccio di antiche memorie, adattandolo allo scorrere dei nostri tempi. Una reiterazione di storie e stilemi resa possibile da un'universalità di fondo, di covi famigliari in cui nascondersi o da cui scappare. Pietro Sermonti e Paolo Pierobon si fanno massimi rappresentanti delle aspirazioni di uomini perduti, schiacciati dal peso di sogni strappati, o responsabilità soffocanti. Poli opposti di modi di (soprav)vivere divergenti, Giorgio e Mattia raccolgono al proprio interno anche le esistenze dei propri fratelli, risultati errati di operazioni genitoriali compiute con superficialità, dolore, violenza. Molecole impazzite, incapaci di coesistere insieme, i fratelli di Marco Bocci vengono sempre più isolati da riprese parlanti, capaci di sottolineare e reduplicare i legami sfilacciati di fratelli che non riescono ad aggrapparsi ai propri affetti reciproci, lasciandosi sopraffare dal peso del proprio passato.
A Tor Bella Monaca non piove mai, la recensione: il neorealismo pop di Marco Bocci
Killin' me softly
C'è una forza implicita, nascosta, che si muove silente nella complessa parentesi conoscitiva con la quale Bocci introduce con sicurezza passato e presente dei propri protagonisti in campo. Sviluppati gli archi involutivi, ecco che tutto cambia improvvisamente: le fasi della caccia con la quale annientare i propri fratelli sfidanti, quasi a voler distruggere i fantasmi del proprio passato, perdono di intensità: la pazzia prende il sopravvento, ma la regia di Bocci non riesce a gestirla, riducendo tutto a un susseguirsi di eventi confusionari, sfibrati e poco convincenti.
Non c'è nulla della lotta alla sopravvivenza tipica del più perfido Re Lear, o del cult televisivo di Succession: La caccia di Marco Bocci è una torta dalla base morbida, invitante; il suo impasto è ben compatto, mentre le storie personali dei suoi protagonisti sono strati divergenti, luciferini, aspri, ma saporiti a modo loro; quello che stucca è il gusto della crema che tutto riveste. Una stratificazione poco uniforme, destinata a squagliarsi, in un viaggio confusionario tra passato e presente, pronto a perdersi nello spazio di un'atemporalità minacciosa, ma mai destabilizzante, violenta, cattiva, come vorrebbe.
È una caccia senza sangue, quella di Marco Bocci: un inseguimento pieno di attesa, ma poca concretezza. Vittime e carnefici si mescolano, in una fiaba nera colorata da una fotografia cinerea, grigia, buia, ma colorata da poche sfumature rosso sangue.
Conclusioni
Concludiamo questa recensione de La caccia sottolineando come la seconda opera da regista di Marco Bocci tenti di insidiarsi nelle profondità dei ricordi per motivare la sete di vendetta e le recriminazioni anche fraterne nascosti nei nuclei domestici. Peccato che non sempre il regista riesca ad affondare come vorrebbe il colpo mortale lasciando gli intenti scorrere tutti in superficie.
Perché ci piace
- La costruzione dei personaggi.
- Le performance degli attori.
- La fotografia cinerea e ombrosa.
Cosa non va
- Una certa confusione nel gestire la parte centrale dell'opera.
- Un senso di confusione ad altezza epilogo.