All'inizio della nostra recensione de La belva vogliamo porre (e porci) una domanda a cui cercheremo di dare risposta attraverso il film di Ludovico Di Martino: è questo il cinema italiano di genere dal sapore internazionale che vorremmo vedere sempre più spesso? Una domanda sicuramente non facile che deve tener conto di vari aspetti, sia produttivi che intrinsechi al film stesso, che in qualche modo anche si contrappongono tra di loro. Se c'è una casa di produzione che sta lottando con forza nell'ammodernare il cinema italiano e trovare nuove vie, e di conseguenza nuovo pubblico, è la Grøenlandia di Matteo Rovere. I film che produce, oltre quelli che Rovere stesso dirige, hanno lo scopo di rinnovare la tradizione del nostro cinema contaminandola con ciò che ha più successo a livello internazionale, addirittura appropriandosi del linguaggio cinematografico contemporaneo. La Belva, disponibile su Netflix, si inserisce perfettamente in questo contesto produttivo e regala un action movie veramente atipico se consideriamo a cosa comunemente ci riferiamo quando parliamo di cinema italiano. Come spesso accade, quando ci ritroviamo di fronte a questi esperimenti da una parte c'è l'estrema felicità di poter dimostrare di riuscire a realizzare film che guardano anche al mercato estero, dall'altra però è necessario addentrarsi in misura maggiore sul film stesso per capire se, paradossalmente, è questo che cerchiamo per fare un cinema diverso che sappia, come tutto il cinema di genere commerciale, catturare l'attenzione del pubblico.
Un orso a caccia
Il film racconta la storia di Leonida Riva, un veterano di guerra affetto da stress post-traumatico che non riesce più a legare con la sua famiglia. Troppa violenza nel suo passato, troppi traumi che lo obbligano a passare nottate insonni e giornate sotto tranquillanti. Nonostante cerchi un legame affettivo, incapace di dimostrarlo, Leonida è un corpo estraneo rispetto ai suoi due figli, un figlio maggiore di nome Matteo e Teresa, la piccola di famiglia, e sua moglie Anna. Una sera, però, una banda criminale con a capo un individuo che si fa chiamare Mozart rapisce proprio Teresa. Mentre un vicequestore indaga sul rapimento, Leonida decide istintivamente di scendere in campo, portando con sé tutta la cattiveria, la testardaggine e soprattutto la sua esperienza militare per salvare sua figlia e fargliela pagare cara ai criminali. Roma diventa una città metropolitana marcia e sporca, irriconoscibile e teatro di corse contro il tempo, inseguimenti in auto, combattimenti rudi e brutali, ossa rotte e sangue versato. Leonida, nome che richiama non a caso una certa figura legata a Sparta e che descrive il personaggio, è un vero e proprio orso affamato a caccia della preda.
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Un protagonista incredibile
Lo stesso orso ruggente è cucito sulla giacca del protagonista interpretato da Fabrizio Gifuni, una vera e propria forza della natura. Sembra richiamare il personaggio dell'autista in Drive, quello interpretato da Ryan Gosling (e che aveva invece uno scorpione come animale sulla giacca), silenzioso, osservatore di ciò che lo circonda ma grosso, cattivo, pericoloso. È un orso umano, complice anche il look, che prosegue nella sua ricerca di vendetta con una perseveranza e una voglia di sfogare la rabbia che cova dentro che fa spavento. Un protagonista semplicemente perfetto capace di rendere il film iconico e che, pur essendo praticamente un personaggio muto, spicca nel variegato cast, non alla stessa altezza e un po' disomogeneo. Se il physique du rôle rende il personaggio di Leonida subito iconico, la stessa volontà di descrivere attraverso il volto e il corpo ciò che caratterizza gli altri personaggi tende a renderli bidimensionali: buoni o cattivi, si nota subito da che parte stanno (i cattivi hanno sempre il volto tatuato e lo sguardo minaccioso; i buoni, d'altro canto, sono più acqua e sapone), riducendo la possibilità di colpi di scena narrativi e facendo mancare quella tensione che un action, con una punta di mistero, dovrebbe regalare.
Una confezione internazionale
Il film sceglie la via più semplice, quella del genere puro e dell'intrattenimento, strizzando l'occhio al cinema internazionale. A questo proposito spiace constatare come proprio questo sguardo esterofilo renda il film parecchio distante da un'italianità che possa rendere La Belva perfettamente inserito nel nostro Paese. Manca quel perfetto equilibrio di contaminazione che dovrebbe mettere in risalto prima di tutto l'aspetto locale e, in secondo luogo, il linguaggio cinematografico contemporaneo e internazionale. Se non fosse per i nomi dei personaggi, la storia avrebbe potuto svolgersi in qualsiasi parte del mondo senza che il fulcro della storia ne venisse modificato e depotenziato. Il risultato è che, per uno spettatore appassionato del genere, il film di Di Martino sembra inseguire un modello che non ci appartiene invece di crearne uno nuovo da esempio per la nostra industria. Il che è un peccato, perché a livello stilistico e registico, al di là di qualche scelta un po' fuori tempo massimo come i numerosi ralenty durante le sequenze d'azione, La Belva è un film girato ottimamente capace di mettere in scena stunt di livello rispetto alla media delle nostre produzioni. E colpisce tantissimo anche il lavoro sul sonoro, da sempre il problema maggiore dei film italiani, capace di risultare sempre chiaro, di lavorare sui suoni e sui rumori con un mixaggio semplicemente perfetto.
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Conclusioni
A conclusione della nostra recensione de La Belva non possiamo che lodare le ambizioni produttive del film di Ludovico Di Martino e della Groenlandia di Matteo Rovere. Il tentativo di modernizzare e rendere più internazionale il cinema italiano, ritornando ai generi, è sempre apprezzato anche se, in questo caso, la mancanza di una componente locale forte si fa sentire e depotenzia il film. Con un protagonista veramente perfetto, La Belva però non colpisce duro come vorrebbe, dando l’impressione di inseguire i modelli action già ben assimilati. Notevoli le sequenze d’azione, girate con mano sicura, e ottimo il lavoro sul sonoro.
Perché ci piace
- Il protagonista Fabrizio Gifuni assolutamente perfetto per la parte e capace di rendere il film iconico.
- Notevoli le sequenze d’azione e ottimo il lavoro sul sonoro: qualcosa che non si trova quasi mai nelle nostre produzioni.
- Il film intrattiene lo spettatore con una storia semplice ma coinvolgente.
Cosa non va
- Non tutto il resto del cast funziona come il protagonista.
- La mancanza di una forte componente locale fa perdere al film l’eccezionalità risultando un canonico film d’azione di stampo internazionale.