Con la recensione de La belle époque, opera seconda del regista francese Nicolas Bedos (noto soprattutto come uno degli sceneggiatori del film collettivo Gli Infedeli, ritorniamo con la mente al Grand Théatre Lumière, sala principale del Festival di Cannes dove il film è stato presentato in anteprima mondiale, fuori concorso, durante l'edizione 2019. Una cornice ideale per scoprire un film che, a suo modo, celebra la creatività del cinema in generale e di quello francese in particolare, un omaggio all'estro artistico transalpino e alla rivisitazione storica che, prima di debuttare nelle nostre sale, ha anche conquistato gli avventori della Festa del Cinema di Roma, indice di un potenziale che va ben oltre l'ambito festivaliero (dato che a Cannes il pubblico pagante in senso stretto non esiste) e il circuito delle sale in patria.
Tornare indietro
Protagonista de La belle époque è Victor, sessantenne frustrato sul piano professionale e personale, che si ritrova senza un tetto sopra la testa dopo l'ennesima litigata furibonda con la moglie Marianne. La salvezza, per così dire, arriva nella persona di Antoine, proprietario di una ditta specializzata in "viaggi nel tempo": secondo le esigenze del singolo cliente, Antoine e la sua squadra ricreano determinati eventi del passato, facendo interagire il diretto interessato con attori professionisti su un set dal realismo impeccabile. Victor, stuzzicato dall'idea, chiede di poter tornare al 16 maggio 1974: il giorno in cui incontrò Marianne. Circondato da volti e situazioni familiari, egli ci prende gusto e continua a rivisitare quel giorno, trovando in quel passato posticcio e nella versione più giovane della moglie quella felicità che gli mancava da tempo. Ma cosa accadrà quando l'illusione arriverà a termine? Victor sarà in grado di tornare a una vita quotidiana che ormai non gli regala più soddisfazioni?
Una vera illusione
Il film è una commedia romantica con una premessa che non sarebbe fuori luogo nel cinema di Charlie Kaufman, anche se Nicolas Bedos opta per un approccio più classico rispetto allo stile cervellotico del noto autore americano. Non ci sono colpi di scena particolari o mirabolanti escamotages visivi, solo un sincero amore per il passato che si riflette bene anche nella scelta degli attori, tutti volti di pagine gloriose del cinema francese: Daniel Auteuil (Victor) ha mosso i primi passi importanti con Claude Berri, Fanny Ardant (Marianne) ha recitato per François Truffaut e Pierre Arditi (un altro cliente della ditta di Antoine) è stato uno degli attori-feticcio di Alain Resnais. A questo aggiungiamo Guillaume Canet che, come il suo personaggio, nella vita è anche regista e si diverte quindi a regalarci sogni e storie sul grande schermo, anche se finora le sue opere dietro la macchina da presa hanno sempre optato per ambientazioni più contemporanee (fa eccezione la sua prossima fatica, il nuovo live-action di Astérix dove lui interpreta anche il celebre personaggio dei fumetti).
Che anno, il 1974!
Fondamentale, da quel punto di vista, la scelta del 1974 come anno da ricreare: è il periodo dell'esordio dietro la macchina da presa di Bertrand Tavernier, dell'uscita di Emmanuelle, dei momenti di gloria della New Hollywood con Chinatown e Il padrino - Parte seconda. È anche l'anno della morte di Georges Pompidou, dell'inaugurazione dell'aeroporto Charles De Gaulle, del primo governo Chirac (all'epoca primo ministro), dell'abbassamento della maggiore età francese dai 21 ai 18 anni.
Un'autentica belle époque che Bedos, classe 1980, ricostruisce senza mai scivolare nella nostalgia spicciola o nel citazionismo gratuito: l'elemento simbolico è innegabilmente presente, ma sempre in secondo piano rispetto alla volontà di raccontare una storia d'amore che diventa letteralmente senza tempo, saltando tra passato e presente con un gusto per i dialoghi e per le interazioni brillanti tra gli attori che è marcatamente, squisitamente gallico. Il romanticismo, per quanto veicolato da un'invenzione non senza qualche limite pratico ed etico (esilarante la sottotrama sulla vita privata di Antoine, che non sempre è in armonia con le sue ambizioni lavorative), è puro e toccante, regalandoci una relazione d'altri tempi che è perfetta per il 2019, un rimedio creativo al cinismo dilagante dei nostri tempi. Si ride, si piange (a volte), ci si innamora. Ci si innamora di questi personaggi, del loro vissuto, del loro amore. Ma anche delle potenzialità del cinema, qui in ottica quasi autoreferenziale, che con mezzi più modesti di un blockbuster medio americano riesce a creare un bel viaggio attraverso le epoche che non ha nulla da invidiare a veri salti temporali tipici della fantascienza.
Conclusioni
Giunti in fondo alla nostra recensione de La belle époque, l'istinto automatico è quello di ritornare in sala per vivere ancora una volta quel 1974 nostalgico ma non troppo che Nicolas Bedos ha ricostruito con fare certosino e romantico, all'insegna di una storia divertente, toccante e intelligente sui sentimenti al giorno d'oggi. Passato e presente si fondono in modo quasi magico, ricordandoci il fascino del cinema.
Perché ci piace
- La premessa è originale e divertente.
- Daniel Auteuil e Fanny Ardant sono perfetti insieme.
- La storia d'amore è affrontata in modo sincero, senza ricorrere al cinismo.
Cosa non va
- Alcuni dei personaggi secondari avrebbero meritato più spazio.