Una bellezza semplice. Un volto pulito. Un sorriso luminoso. Guardando Vittoria Puccini è facile immaginarla davvero all'interno di una fiaba, perfettamente a suo agio nei panni della più classica delle principesse. Questa volta, però, con l'uscita dell'atteso La Bella e la Bestia, la beltà di Vittoria se ne sta in disparte, nella penombra di una sala di doppiaggio. Mentre Belle prende le fattezze di Emma Watson e la Bestia si trasforma in Dan Stevens, Puccini presta la voce al leggio per dare fiato alla Maga Agata, ovvero il mitico personaggio che, di fatto, dà il via alla storia, lanciando la sua maledizione sul borioso e viziato principe. Tutto parte da quel monito travestito da punizione, da corpi che si tramutano, dalla ridefinizione del concetto di bello e di brutto.
Un prologo fondamentale per calare lo spettatore nelle atmosfere magiche di uno dei racconti più celebri del patrimonio fiabesco europeo, un incipit che, nella versione italiana del cartone animato La bella e la bestia, era narrato dalla voce calda e pastosa di Nando Gazzolo. La storia raccontata attraverso quel mosaico vetrato ha segnato l'infanzia di molti, per cui il compito di Vittoria Puccini non è stato certo dei più facili. Va detto che, in un film molto simile e fedele all'originale, il prologo è una delle sequenze de La Bella e la Bestia che più si distanzia dalla versione animata, senza affidarsi a quella sintesi iconografica apprezzata nel 1991. Tra nostalgia, ricordi da spettatrice e aneddoti sul suo lavoro, abbiamo parlato del nuovo e del vecchio La Bella e la Bestia proprio con Puccini, per scoprire cosa rende eterno questo racconto sempreverde come una rosa che non appassisce mai.
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Qual è il tuo rapporto con il cartone animato originale?
Mi sento molto legata a La Bella e la Bestia soprattutto per l'ammirazione che ho sempre provato nei confronti di Belle. Adoravo il suo coraggio di andare contro il giudizio degli altri, la sua non curanza dei pareri altrui. Belle è forte e determinata, infatti supera il disagio di essere poco inserita nel suo contesto sociale, perché sostanzialmente non dà peso alle opinioni altrui.
Arriviamo al tuo lavoro di doppiaggio. Come è stato diventare la voce narrate del film?
È stata un'esperienza davvero molto divertente e impegnativa, perché si è svolta senza un vero e proprio punto di riferimento. Quando si doppia, di solito, si ha punto di riferimento forte e necessario come un attore in carne e ossa oppure animato. In ogni caso ci sono occhi, corpi, espressioni che ti servono da guida. Qui invece non c'era niente di tutto questo, mi trovavo quasi sospesa nel vuoto. E poi ad una voce narrante spetta l'arduo compito di ricreare subito la magia del racconto. C'è un intero mondo da costruire soltanto con la voce.
Secondo te quali sono gli elementi innovativi di questa versione live action?
Sicuramente c'è una maggior attenzione sul tema della cultura. Prima vediamo Belle che legge un libro ad una bimba del villaggio e poi il primo avvicinamento tra lei e la bestia avviene all'interno di una biblioteca. È bello che i personaggi si riconoscano in questa passione comune, perché la lettura e la cultura hanno un potere enorme che libera dalla paura del diverso. In generale si tratta comunque di un film davvero molto fedele all'originale, e credo sia bello proprio per questo. La Bella e la Bestia ribadisce il potere immortale dei grande classici, un potere che qui viene rafforzato dalla tecnologia e da uno stile visivo diverso, ancora più spettacolare. Questa aderenza all'originale è importante, perché discostarsi troppo sarebbe stato rischioso.
Visto che parliamo di fiabe, secondo te qual è la morale de La Bella e la Bestia?
Si tratta di una storia densa e ricca di significati. Di sicuro, assieme a La sirenetta è stato uno dei film che ha emancipato molto la figura femminile all'interno dei cartoni animati. Belle è un'eroina moderna, dotata di una femminilità sempre attuale. E poi è un film che parla dell'amore vero, che non conosce egoismi, quello che spesso si traduce nel lasciare andare qualcuno. Come fa la Bestia con Belle, o come fa la mamma di Belle con sua figlia e suo marito. Questo gesto quasi speculare è una delle cose che più ha colpito del film. Infine, credo che una delle morali più significative sia nella bellezza di capire i propri errori e nell'immancabile ricerca del Principe Azzurro. Non credo affatto che desiderarne uno sia antifemminista.
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Da spettatrice come ti poni nei confronti di questi remake in live action di vecchi classici dell'animazione?
Mi piacciono tanto e mi stupiscono ogni volta. Sono capaci di ricreare nello spettatore lo stesso senso di meraviglia di un tempo, perché anche grazie alle tecniche di oggi ci restituiscono immagini coinvolgenti. Per questo, da grande fan del cartone, mi piacerebbe vedere un film de La Sirenetta.
Ti piacerebbe lavorare come attrice in un film del genere?
Moltissimo. Sono una gran sognatrice sin da bambina, e credo che questi film fiabeschi abbiano un grande dono: evadono dalla realtà, ma allo stesso tempo la raccontano benissimo attraverso tante metafore belle da cogliere. Certo, forse preferirei interpretare un ruolo inedito, perché scomodare un personaggio iconico potrebbe facilmente deludere le aspettative del pubblico. È facile che uno spettatore abbia sempre vivo nella propria memoria quel personaggio.
Secondo te, a parte Il Racconto dei Racconti, come mai il cinema italiano è allergico a questo genere?
A livello cinematografico non ci è mai appartenuto tantissimo, ma devo dire che negli ultimi anni qualcosa sta cambiando. Ci sono dei segnali di una maggior voglia di evadere dai soliti generi italiani. E in questo Lo chiamavano Jeeg Robot è un esempio assolutamente incoraggiante.
Chiudiamo con una curiosità. Tu come hai interpretato la battuta finale di Belle sulla barba del principe? Ha spiazzato anche te?
Sì, è stata divertentissima. Credo che in quel momento Belle ammetta che sulle donne il fascino del rude fa sempre un certo effetto.