Ci sono film che, dal momento dell'uscita, si portano dietro una nomea strana e rimangono in un limbo tra due fazioni, tra chi li ama e chi, invece, li detesta: uno di questi è senza dubbio L'uomo d'acciaio, diretto da Zack Snyder, uno dei registi più discussi e criticati del nostro tempo. Regista consacrato nel lontano 2007 con l'adattamento cinematografico di 300, Snyder da lì in poi ha basato gran parte della sua carriera sui cinecomics. Dotato di uno stile unico, che dipende molto da una messa in scena spettacolare e d'impatto tanto da sacrificare spesso l'impianto narrativo, il regista è stato spesso criticato per le sue opere. Sappiamo che proprio l'accoglienza negativa di Batman v Superman: Dawn of Justice è stata un duro colpo per i piani produttivi del DC Extended Universe, l'universo narrativo dei supereroi di casa DC Comics. Nato come un progetto che si poneva agli antipodi rispetto al più amato Marvel Cinematic Universe, già a partire da Suicide Squad di David Ayer ha perso molto di ciò che lo contraddistingueva per rincorrere un modello di cinecomics più ordinario e apprezzato. Lo stesso progetto di Zack Snyder, che prevedeva cinque film dedicati a Superman e un immaginario più "dark" e meno pop, è stato accantonato.
Negli ultimi tempi il nome di Zack Snyder si è legato soprattutto alla "Snyder Cut" di Justice League, ovvero la sua versione del crossover tra i supereroi, all'epoca concluso da Joss Whedon che fu un fiasco al botteghino. È per caso nata una rivalutazione del progetto iniziale? Lo sapremo all'uscita di questa famigerata director's cut, ma nel frattempo è bene fare un passo indietro e tornare al primo discusso episodio della saga, quel primo film dedicato a Superman che non piacque particolarmente e che, invece, nasconde un approccio innovativo per il genere. L'uomo d'acciaio ci sembra, quindi, un film sottovalutato, che ancora si trascina critiche legate al momento dell'uscita (quando si era ancora esaltati dal primo Avengers) e degno di una rivalutazione.
L'effetto Nolan
Tutto ha inizio con il successo della trilogia del Cavaliere Oscuro di Christopher Nolan, capace di rinnovare il mito dell'uomo pipistrello abbandonando la componente più fantasy e pop, inserendolo in un contesto realistico. Non si era mai fatta un'operazione simile al cinema nel tentativo di portare sul grande schermo i supereroi dei fumetti: lo scopo era sempre stato quello di ricreare la pagina colorata, il tono scanzonato e l'avventura leggera per tutta la famiglia. Quella di Nolan fu una rivoluzione che andava replicata. Rincorrendo il successo dell'universo condiviso Marvel che stava conoscendo il successo della Fase Uno (e tuttavia ancora lontano dal clamore dei film successivi), in casa Warner decisero di dare avvio a un'unica storia lunga vari film e di iniziare con Superman, il primo supereroe. Fino a quel momento i film dedicati a Superman erano sempre stati in qualche modo legati al classico film di Richard Donner: anche la più recente incarnazione con Brandon Routh e diretta da Bryan Singer, Superman Returns del 2006 si ricollegava alla trama, ai personaggi, ma anche al modo di raccontare del film del 1978. L'uomo d'acciaio, invece, da un lato voleva replicare l' "effetto Nolan" e dall'altro - sfida ben più complicata - intendeva portare il mito di Superman a un nuovo pubblico di spettatori cancellando la blanda continuity che legava i precedenti cinque film. Venne richiamato lo sceneggiatore David S. Goyer e Nolan scelse personalmente il regista, da lui definito come "uno dei più grandi registi visivi della sua generazione".
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Un dio greco a dimensione umana
Superman non è Batman. Se portare in un contesto più realistico l'uomo pipistrello sembra più semplice data la natura crime del progetto, altrettanto non si può dire dell'uomo d'acciaio. Tenendo fede a uno scontro, anche in relazione alla stessa natura biologica dei personaggi, che verrà esplorato in Batman v Superman: Dawn of Justice, si può affermare che è facile immedesimarsi nell'uomo di Gotham City, un orfano che decide di combattere il crimine indossando un costume. Più difficile appassionarsi a un dio perfetto, invincibile, immortale che, provenendo da un altro mondo (in questo caso Krypton) è persino estraneo ai nostri stessi sentimenti quotidiani. Il tentativo di Snyder e Goyer è stato proprio quello di portare il mito di Superman in una dimensione più umana, nel costruire il personaggio prima che diventasse il supereroe che noi da sempre conosciamo. È una netta frattura dal modo in cui il supereroe era sempre stato raffigurato al cinema e che l'ha reso fragile, incompreso, capace di sbagliare (l'uccisione di Zod, così contro natura delle caratteristiche del personaggio serve proprio a questo) in modo da poter creare un legame emotivo con lo spettatore. A chi interesserebbe un dio perfetto al suo primo film? L'uomo d'acciaio è una vera e propria storia d'origine addirittura incompleta rispetto alle controparti dei film stand-alone che abbiamo imparato ad amare. Il film del 2013 è solo un primo tassello di un mosaico (che doveva essere) più grande: alla fine del film non assistiamo alla nascita di Superman, ma semplicemente alla prima apparizione dell'eroe davanti al mondo intero. Il titolo del film è esemplificativo in merito: l'uomo d'acciaio sottolinea la natura umana, imperfetta, bassa dell'eroe. Ancora distante dall'essere "super".
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Nascere come un dio, vivere come un uomo
Il suono dei battiti di un cuore. La prima immagine del film è un primissimo piano sfocato, con la camera a mano, della madre Lara che sta partorendo. Una storia di origini che inizia proprio dal primo respiro del supereroe protagonista. La scelta di iniziare dal parto connota sin da subito la natura umana del protagonista: a differenza del canone di Richard Donner, in questa versione della storia, i figli di Krypton sono artificiali e Kal-El, il vero nome di Clark Kent, è il primo bambino biologico del pianeta dopo secoli. Come tale è in qualche modo unico e collegato alla natura (non a caso il suo primo pianto è legato dal montaggio al verso di un animale del pianeta). Questo lo rende in qualche modo puro, consapevole di poter operare delle scelte e agire attraverso il libero arbitrio, al contrario del suo antagonista, ovvero il generale Zod, che agisce seguendo il codice programmato per cui è stato creato. A una nascita divina e miracolosa, senza alcun codice di programmazione dentro di sé, segue un'educazione umana datagli dai coniugi Kent. Il protagonista è così diviso tra due tipi diversi di natura e di cultura: quella aliena e quella terrestre, che lo portano ad essere indeciso e insicuro. Vivere come un uomo sembra essere il mantra da seguire: non a caso l'evento che dovrebbe dare inizio alla ricerca della propria identità, la morte di papà Jonathan, in questo film avviene per nascondere agli occhi del mondo i poteri del protagonista. Clark può salvare il padre, ha il potere e la possibilità di farlo, ma rinuncia per dare retta al principio educativo per il quale mostrarsi come un essere superiore potrebbe essere visto come un pericolo per il mondo. La morte di Jonathan si trasforma in un vero e proprio trauma a cui segue un senso di colpa.
Lo scontro con Zod
La seconda metà del film preme sul pedale dello spettacolo e della distruzione, due elementi che sembrano a prima vista stonare con il tono più intimo dell'inizio, al netto della grandiosità visiva (stiamo pur sempre parlando di un blockbuster). Non a caso, proprio lo scontro finale con Zod fu criticato per l'eccessiva distruzione delle strade di Metropolis, tanto che proprio nel sequel Snyder capovolgerà il punto di vista e si assicurerà che lo scontro finale possa avvenire in un luogo desolato e distante dal resto della popolazione. È uno scontro soprattutto ideologico: Zod rappresenta il passato di Krypton, un pianeta ormai distrutto e inesistente, e allo stesso tempo la natura artificiale dei kryptoniani. Per l'uomo d'acciaio duellare con Zod significa dover scegliere chi essere: se l'uomo Clark o il kryptoniano Kal-El; se lottare per il libero arbitrio o seguire il codice di programmazione. Ed è proprio seguendo quello stesso codice che Zod non può che trovare la morte: incapace di portare a termine lo scopo per il quale è nato, non potrà esserci altra alternativa che perdere la vita. Con la morte del suo opposto, nasce definitivamente l'eroe. Fino alla fine vorrebbe evitare di ucciderlo, ma è costretto a farlo: è un sacrificio per il bene maggiore o, per meglio dire, per il suo popolo, quello della Terra. Registicamente i tempi, le inquadrature e il sonoro di quei momenti, subito dopo aver ucciso Zod, ricordano la prima sequenza con la quale si apre il film, quello della sua nascita biologica (ricordiamo il pianto che qui diventa un urlo).
Il significato del titolo
Evitando la canonica struttura in tre atti, il film si conclude con una battuta di Lois, quello che diventerà il punto fermo per Clark: "Benvenuto al Planet" che, se visto in lingua originale, acquista tutto un altro sapore ("Welcome to the planet", benvenuto nel pianeta). Non è la nascita di Superman, del perfetto supereroe, ma di Super-Man, ovvero un uomo superiore, forte, con le capacità aliene ed estraneo, ma pur sempre un uomo. Per questo motivo il film non si chiama Superman ma L'uomo d'acciaio. Il percorso che Clark ha affrontato è stato il percorso di crescita alla ricerca di una propria identità. Le origini di Superman, in questa versione, riguardano solamente un discorso individuale e identitario, ma non è un riconoscimento pubblico da parte di tutti. Quest'aspetto verrà affrontato nel sequel in cui si cerca di rispondere alla domanda "Chi è Superman?", un contraltare del "Chi è Clark/Kal-El?" di questo film. Entrambi dovevano essere film di origini, pezzi di un puzzle più grande in cui, molto probabilmente, Superman sarebbe diventato il supereroe che tutti conosciamo solo al termine dei due Justice League.
Un nuovo approccio
Anche dopo un'analisi dei temi e della struttura del film, si potrebbe criticare Zack Snyder per non aver affrontato al meglio e in maniera più chiara e lineare ciò che avrebbe reso L'uomo d'acciaio un film amato in misura maggiore. Si potrebbe dire che, come il Lex Luthor del sequel, il regista e la produzione abbiano peccato di arroganza: troppo fiduciosi nel successo del film, troppo sicuri di portare a termine il progetto a lungo termine. Non è successo e, stando alle ultime notizie, la cosiddetta "Snyder Cut" sarà un vicolo cieco: l'universo DC cinematografico in stile Snyder non proseguirà. Questa decisione non contribuisce a valorizzare le opere fin qui realizzate del regista, dando l'impressione, seppur a distanza di anni, di essere progetti incompleti, imperfetti, scritti nel caos e con troppi elementi poco chiari. Ciò che rimane, invece, nonostante i vari difetti, è il rischio di un nuovo approccio, il voler affrontare la materia dei cinecomics sotto un'altra luce, distante dal mondo più pop e omologato dei successi degli ultimi anni. Un tentativo diverso, ma poco premiato da parte del pubblico e della critica. Sta a ognuno di noi decidere se i risultati sono stati deludenti perché frutto di un disastro interno al film o, più semplicemente, per la difficoltà di accettare un nuovo mito del personaggio di Superman, aggiornato ai giorni nostri e lontano da ciò che intendiamo comunemente come "film di supereroi". Eppure sembra strano che proprio in un anno in cui i supereroi al cinema hanno portato a termine un lungo ciclo durato dieci anni (ci riferiamo ad Avengers: Endgame), ora si senta la necessità di un nuovo approccio al genere (i multiversi previsti, la serie WandaVision), confortati da serie tv di successo che proprio della reinterpretazione ne hanno fatto un vanto (Watchmen) e richiedendo a gran voce la visione originale di un regista polarizzante (l'hashtag #ReleaseTheSnyderCut). Forse, alla fine, anche noi, come Clark in questo film, indecisi tra un codice programmato e l'inesplicabile imprevedibilità della natura umana stiamo lentamente cercando quella gioiosa imperfezione capace di farci anche arrabbiare. Perché anche arrabbiarsi fa parte dello spettro delle emozioni.