L'arte del combattimento buddista
Le tradizioni delle arti marziali passano per il Muay Thai, tecnica e filosofia di combattimento che ha origine dai monaci tailandesi, che ne fanno un uso meditativo non violento, per la pericolosità dei suoi colpi che trasformano braccia e gambe in armi mortali.
Protagonista assoluto del film, è Tony Jaa, sorta di Bruce Lee thailandese, monopolizzatore e grande attrazione in ogni sequenza per l'impressionante rapidità dei suoi movimenti. Il regista Prachya Pinkaew, di conseguenza, più che a raccontare, si limita a puntare la macchina da presa sul suo eroe per riprenderlo in ogni dettaglio. Questo approccio, estremizzato dalle riprese da diversi angoli a enfatizzare i colpi di Jaa, relega il lungometraggio a un puro compiacimento per le sfide corpo a corpo, che bisogna ammettere, a volte, risultano impressionanti (l'uno contro uno stile Fight Club, in una arena di scommesse clandestine, non deluderà gli appassionati del genere). "Ong-Bak" è una statua di Buddha conservata in un tempio di un paesino nelle campagne tailandesi, la cui testa viene trafugata da un malvivente per consegnarla a un boss mafioso della città di Bangkok. Disperati per l'accaduto, gli abitanti incaricano Ting, giovane orfano vissuto con gli insegnamenti dei monaci, a recarsi in città per cercare di recuperare il sacro "capo".
Inseguimenti a piedi che hanno dell'incredibile, compagni di viaggio curiosi, "cattivi" irreprensibili e una inevitabile sfida finale, chiudono la storia.
Il regista movimenta la scena con tecniche diverse, spesso mutuate da quelle utilizzate nei videoclip musicali: velocizzazione delle immagini, montaggio a scatti diretto ad aumentare il dinamismo, scene di lotta ripetute da angolazioni diverse. L'unico obiettivo del film è rendere il Muay Thai nella sua essenza e nelle sue incredibili mosse (il salto con colpo di gomito a perpendicolo sul cranio dei malcapitati avversari trasmette dolore vero...). Il plot e i suoi personaggi sono relegati semplicemente a contorno del piatto forte Ong-Bak - Nato per combattere vive sulla boxe thailandese e sulle capacità di Tony Jaa di interpretare il suo ruolo senza controfigura alcuna, vivendo in prima persona ogni singola scena. Questo è il fascino del film. Tutto ciò che rimane è a volte ridicolo, a cominciare dalla banale e inconsistente sceneggiatura al limite della soap-opera che ci riporta a una recitazione anni'70, non omaggio al cinema d'arti marziali classico, bensì figlia dell'incapacità di emulare il meno originale degli action movie a stelle e strisce.
Una visione per gli amanti del cinema orientale da combattimento.