Vogliamo iniziare la nostra recensione de L'Arminuta partendo proprio dal termine dialettale che dà il titolo al film. Traducibile con la ritornata, si riferisce sia alla protagonista della storia, che è costretta contro la sua volontà a "ritornare" a vivere con la madre biologica, sia a un certo cinema di bambini, ben legato alla tradizione della nostra cinematografia, che li tratta in maniera adulta, da veri protagonisti. Adattando il romanzo di Donatella Di Pietrantonio, il regista Giuseppe Bonito mette in scena una storia drammatica e cupa, dal tono greve, e rappresentando un mal di vivere che raramente si applica a protagonisti così giovani. Perché L'Arminuta è una storia di disillusioni e di fratture di quel mondo infantile e solare spesso rappresentato in maniera addirittura nostalgica. Qui, invece, il passato è prima un peso emotivo di estrema sofferenza e, infine, una malattia da cui guarire. Per poter finalmente ritornare alla vita.
Una trama da scoprire
La trama del film potrebbe risultare quasi semplice a una veloce lettura. Una tredicenne, di cui non conosceremo mai il nome, di buona famiglia viene lasciata dallo zio nella casa di quella che è la sua madre biologica. Si tratta di una famiglia numerosa che appartiene completamente al mondo rurale e povero, dove ci si arrangia con quello che si ha, si parla in dialetto, si vive di piccole cose e, senza doverlo nascondere, si soffre anche molto. I genitori sembrano incapaci di provare affetto per i figli che, con l'eccezione del fratello maggiore Vincenzo e della piccola e spigliata Adriana, sembrano disprezzare la nuova arrivata. Per l'Arminuta si tratta di una vita che fatica ad accettare e desidera tornare alla vita di prima. Questo la porterà a indagare e cercare di capire perché la madre adottiva, con cui aveva un ottimo rapporto, l'abbia abbandonata. Non raccontiamo oltre per non rovinare le sorprese della storia che, se sulla carta avrebbero potuto dar vita a una narrativa densa dal punto di vista emotivo, non riescono a colpire a sufficienza lo spettatore. Si percepisce la presenza di conflitti che rimangono sin troppo nell'ombra, senza colpo ferire, lasciati troppo sullo sfondo e perdendo quel contrappunto emotivo che non sempre il film riesce a raggiungere. Prendiamo ad esempio un momento della storia, in cui un gesto del padre dovrebbe funzionare come catarsi, come momento climatico di un intero rapporto, ma che non riesce ad emergere come tale.
30 film italiani recenti da vedere
Silenzi e piccoli gesti
Eppure la regia di Giuseppe Bonito, nella sua semplicità e attraverso una messa in scena schietta e diretta, punta molto sui piccoli gesti e sui silenzi che, in realtà, raccontano molto con poco. Dimostrando di saper utilizzare al meglio il linguaggio cinematografico, quello legato alle immagini più che alla parola, Bonito ha fiducia nel proprio pubblico e nel suo sguardo. A questo proposito occorre sottolineare la ripetitività di alcune sequenze, soprattutto legate ai pranzi in famiglia, in cui il racconto passa attraverso il cibo, il mondo in cui i personaggi sono disposti a tavola, il modo in cui mangiano e si guardano. O il modo in cui due mani si toccano e si incrociano gli sguardi. Anche la fotografia tende a sottolineare, creando in alcuni momenti una certa dose di straniamento, un'atmosfera legata alla felicità o al disagio, spesso non seguendo il canonico schema cromatico che utilizza tonalità calde per momenti felici e tonalità fredde per quelli più tristi, arrivando a costruire un pregevole corto circuito in una delle sequenze finali. La grande forza del film sta nell'assenza dei dialoghi didascalici che normalmente assuefanno lo spettatore, relegando all'interpretazione degli attori gran parte della riuscita del racconto.
Un piccolo cast speciale
Ciò che sorregge L'Arminuta è la recitazione delle due giovanissime protagoniste, interpretate da Sofia Fiore e Carlotta De Leonardis, entrambe alla prima esperienza. Se la prima è inizialmente troppo impostata (nonostante il personaggio richieda un certo modo di esprimersi e comportarsi), aprendosi sempre di più man mano che il film procede, la piccola Adriana interpretata da De Leonardis è una vera forza della natura a cui è impossibile rimanere indifferenti. Insieme, le due ragazze costruiscono l'affetto e l'empatia catturando lo spettatore fino ai titoli di coda. Il cast degli adulti rimane un po' troppo sacrificato, non tanto per demeriti degli interpreti, ma più per una scrittura che appare troppo interessata a costruire una maschera, anche simbolica, invece di veri e propri personaggi. Fa eccezione la madre di Vanessa Scalera, che si ritaglia alcuni momenti di grande intensità, nonostante la sensazione di un'assenza di conclusione nel percorso del suo personaggio.
Conclusioni
A conclusione della nostra recensione de L’Arminuta non possiamo che consigliare il film di Giuseppe Bonito che trova la sua forza nell’uso del linguaggio cinematografico. Si richiede una forte attenzione nello sguardo dello spettatore, componendo i momenti migliori grazie a piccoli gesti anziché all’uso della parola. Non sempre la scrittura riesce a mettere in scena i conflitti in relazione ai personaggi, lasciando alcune trame quasi sospese e mancando quella potenza emotiva che avrebbe dato ulteriore spessore alle vicende. Il cast, soprattutto le due attrici protagoniste, che sorprendono con la loro intensità nonostante la prima esperienza davanti la macchina da presa, riesce però a dare vita a personaggi a cui lo spettatore si lega facilmente, costituendo quel legame empatico necessario.
Perché ci piace
- La scelta di usare il linguaggio cinematografico (immagini, più che parole) per narrare la vicenda.
- Sofia Fiore e Carlotta De Leonardis sono due attrici che sorprendono.
- La vicenda riesce comunque a catturare lo spettatore.
Cosa non va
- Non sempre la scrittura riesce a valorizzare i conflitti narrativi, sacrificandone la potenza emotiva.
- Alcune storyline appaiono senza una vera e propria conclusione.