Sette anni dopo il controverso Dobermann, Jan Kounen è tornato e dirigere Vincent Cassel in questo Blueberry, in uscita nelle nostre sale il 15 luglio dopo i risultati non esaltanti ottenuti in Francia. Regista e protagonista hanno partecipato alla converenza stampa romana per la presentazione del film.
Il film è liberamente tratto dagli albi di Moebius (Jean Giraud). Forse troppo liberamente. Volendo andare in una direzione tanto diversa, valeva davvero la pensa di utilizzare il nome del fumetto? Jan Kounen: E' vero, negli albi non succede quello che è narrato nel film; Bleuberry incontra uno sciamano morto, io ho immaginato cosa sarebbe successo se ne avesse incontrato uno vivo. E' una storia che Giraud avrebbe potuto illustrare...
Vincent Cassel: In realtà per capire il legame con Blueberry bisogna pensare al lavoro più tardo di Giraud, agli ultimi anni della serie, quando introdusse l'interesse per lo sciamanesimo. Luui stesso dice di aver trovato una seconda identità in Messico, a contatto con gli sciamani.
Cassel, come mai un western? Vincent Cassel: A dire la verità non sono stato attratto dall'idea di fare un western, né un adattamento del fumetto Blueberry: quello che mi attravea era il tema dello sciamanesimo, un interesse che io e Jan condividiamo da anni. Si può dire che l'origine di questo film risalga a quando, dopo la fine delle riprese di Dobermann, gli passai i miei libri di Carlos Castaneda...
Kounen, come mai ha lasciato passare tanto tempo per girare un altro film? Jan Kounen: Questo progetto è stato molto più che cinematografico: è stato mistico. Si è trattato di un'esperienza che mi ha coinvolto molto profondamente. Nel frattempo ho anche girato D'autres mondes, la controparte documentaristica di Blueberry, che racconta il mio percorso di scoperta delle culture sciamaniche dell'America centrale.
E come mai per raccontare questo percorso iniziatico ha scelto un western? Jan Kounen: Quello di fare un western è praticamente il sogno di ogni regista; si tratta di una mitologia radicata nel nostro immaginario collettivo. Volevo prenderne gli stereotipi e rilaborarli, e soprattutto volevo raccontare il mistero dell'incontro tra due culture tanto diverse.
Quale crede potrebbe essere la reazione dello spettato re medio al suo film? Non pensa che patirà la mancanza di un background informativo? Jan Kounen: Io credo che lo spettatore aperto al misticismo non rimarrà spiazzato. Per apprezzare il film bisogna aprirsi ad esso, è una pellicola molto sensoriale. Quando si assiste a un concerto, si gode della musica anche se il messaggio non è esplicativo e didascalico. Con un film, invece, si pretende di sapere e capire tutto. Mi ha disturbato sentir dire che il film non avrebbe senso. Quando ho visto per la prima volta 2001: Odissea nello spazio ero bambino ma, davanti all'esperienza sensoriale della parte finale, non mi sono certo detto che "non aveva senso".
Volutamente ambiguo è il personaggio di Michael Madsen. La caratterizzazione di questo personaggio era così vaga anche nella sceneggiatura o ha tagliato qualcosa in fase di montaggio? Jan Kounen: Non ricordo di aver tagliato scene con Madsen; il personaggio è stato concepito così com'è nel film. Io credo che gli spettatori intelligenti non abbiano bisogno che gli venga raccontato tutto. Quello di Wally è un personaggio imprevedibile, è questa la caratteristica che trovo più inquietante nei villain - per questo ho scelto Michael Madsen per il ruolo, lui è davvero così. Wally è rude, violento, ma allo stesso tempo ha un grande amore e rispetto per la natura. Non è colpevole come Blueberry crede che sia, e le sue intenzioni non sono quelle che sembrano... credo che il film dica a sufficienza per capire questo.